Il Counseling Umanistico Esistenziale: percorso culturale, storico, scientifico


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Il Counseling Umanistico Esistenziale: percorso culturale, storico, scientifico
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Dipinto di Stefania Innamorati Titolo: Viva SperanzaDipinto di Stefania Innamorati Titolo: Viva Speranza
Il counseling, come strumento di comunicazione relazionale a modello umanistico esistenziale, è maturato negli anni all’interno di un percorso storico-culturale-scientifico che ne ha determinato il quadro delle caratteristiche e delle competenze.

Verso il 1870, con W. Wundt, psicologo tedesco (1832-1920), la psicologia assume i criteri metodologici della sperimentazione e quantificazione. In Germania, a Lipsia, è realizzato il primo laboratorio psicologico moderno di psicologia sperimentale; e la psicologia scientifica si sviluppa come disciplina accademica focalizzata allo studio delle leggi regolatrici dell’attività mentale comuni a tutti gli individui. Successivamente, il centro degli studi psicologici si sposta negli Stati Uniti; e verso l’inizio del secolo ventesimo si costituisce una psicologia interessata alle differenze interindividuali, sempre più applicata al contesto sociale, educativo e industriale.


Nel 1897 la psicologia applicata (4) inizia ad utilizzare, in modo sistematico e articolato, le teorie e i metodi della psicologia generale alla soluzione delle diverse problematiche della vita quotidiana, sia individuale sia collettiva. In questo periodo, H. Ebbinghaus, il fondatore della ricerca sperimentale sulla memoria, conduce indagini sulla fatica degli studenti e dei molti allievi diretti di Wundt, soprattutto quelli di nazionalità statunitense, primo fra tutti J. Mckeen Cattel. Lo stesso Cattel inventa il termine test, e nel 1890 fonda la Psycholgy Corporation: la prima organizzazione nordamericana e mondiale esplicitamente diretta a servire gli interessi dell’istituzione scolastica e dell’industria.



Durante e dopo la prima Guerra Mondiale, il numero degli psicologi applicati, inizialmente impiegati nella selezione e nell’orientamento del personale militare, cresce enormemente, soprattutto negli Stati Uniti, superando rapidamente il numero degli psicologi dedicati alla ricerca pura. Anche in Europa sono somministrati test attitudinali ai soldati prima dell’invio in guerra, e nella loro ricollocazione dopo il conflitto a seguito di trauma psicologico da guerra.

È in questi anni che si inizia ad usare il termine counseling.


Negli anni 1920-30 in America si somministrano test di personalità attitudinali, per la comprensione dell’attitudine ad attività criminale, con l’uso della Scala Minnesota Test (verifica rapporti con la società), su tre scale: 1. nevrosi; 2. psicosi; 3. rapporti sociali (scala paziente antisociale).

Agli inizi degli anni 30’, lo psicologo statunitense Rollo May (1904-1944) conduce conferenze divulgative in America sulla pratica ancora poco conosciuta del counseling. Queste sue lezioni sono in seguito pubblicate nel libro The art of counseling (L’arte del counseling), il primo in America sull’argomento. Questo testo è ancora oggi considerato fondamentale nella formazione teorica ed esperienziale del counselor.

Sempre negli anni 30’, a seguito delle leggi razziali in Europa, gli psicoanalisti francesi si trasferiscono in Argentina, continuando il filone del movimento psicoanalitico; mentre altri psicoanalisti si stabiliscono nell’America del nord, dove dalla ricerca psicologica sperimentale si sviluppa il movimento comportamentista (detto anche behaviorismo, da behaviour, comportamento). Nello stesso tempo, in Europa si afferma il movimento psicoanalitico.

Negli anni 50’, dall’interazione tra il movimento comportamentista e analitico si sviluppa la psicologia umanistica (5), che in seguito prenderà indirizzi diversi quali: la logoterapia, la psicologia della Gestalt, lo psicodramma.

Nel 1951 Carl Rogers (1902 - 1987), pubblica il suo lavoro principale The client-centered therapy (La terapia centrata sul cliente), in cui formula la sua teoria di base che rappresenterà il fondamento del counseling umanistico esistenziale, e insieme a Rollo May e Abraham Maslow (1908-1970) è tra gli psicologi che maggiormente contribuiscono a fondare e diffondere la psicologia umanistica. Questa recepisce la filosofia esistenzialista affermatasi in Europa negli anni 1940, che considera l’essere umano nella scelta che compie, come artefice della propria vita. Il modello rogersiano non direttivo centrato sul cliente si distingue per la sua natura esistenzialista: pone la centralità della persona nel processo di affermazione della propria personalità; e per il carattere fenomenologico: ha una modalità di osservazione comportamentista che sospende il giudizio morale e considera la persona nelle scelte che questa opera nel qui e ora.


Nel 1950 negli USA si afferma il Counseling e la figura professionale del Counselor; e più tardi negli anni 70’ anche in Europa, particolarmente in Gran Bretagna, nei servizi di orientamento pedagogico, sociali, e nel volontariato.

Nel 1963 l’APA (Associazione Psichiatrica Americana) fonda la divisione di counseling. All’interno delle comunità locali sono riorganizzati i centri territoriali di salute mentale, come servizio di prevenzione ai cittadini, e non come strumento di segregazione e contenzione. È anche avviata un’azione di sensibilizzazione e orientamento all’interno delle scuole.

Negli anni 60’-70’ Robert Carkhuff, già allievo di Carl Rogers, attribuisce al counseling un’ulteriore valenza sociopedagogica rispetto a quella clinica di Rogers, e contribuisce così alla diffusione del counseling come abilità d’aiuto e competenza trasversale applicabile a ogni contesto relazionale.

Uno sviluppo importante del counseling è in ambito militare. Nel 1968, durante la Guerra del Vietnam (1965-1975), in pieno conflitto, l’APA considera raro il trauma da guerra, e elimina dal manuale di diagnostica ufficiale DSM 3 ogni menzione dei disturbi da stress. Intanto gli ospedali americani devono fare fronte ai soldati rimpatriati con gravi danni psicologici da combattimento. Solo nel 1980 le sofferenze dei reduci dal Vietnam sono formalmente riconosciute come Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT).

La sofferenza psicologica da combattimento non è quindi più considerata anomala né patologica, ed è riconosciuta dignità a questa condizione. Di conseguenza, in ogni divisione dell’Esercito Statunitense è istituita un’Unità di Combat Stress Control, costituita da un nucleo operativo specificamente composto di: Psichiatri, Psicologi, Counselor, Assistenti Sociali e Infermieri militari.

L’Unità ha il compito di sensibilizzare alle problematiche del DSPT, presentandole come reazione normale a un evento anormale, attraverso la diffusione di informazioni, depliant e esercitazioni ecc. Inoltre sono coinvolte anche le famiglie al sostegno e al recupero dei militari esposti alla fatica psicologica da combattimento. In questo modo, il militare non si percepisce più vittima malata ma soggetto attivo, e recupera molto più facilmente un equilibrio e una funzionalità psichica, con un’esposizione nettamente inferiore allo sviluppo di un disturbo post-traumatico. Il militare isolato in un ospedale aveva basse aspettative di recupero. Ora invece il suo recupero avviene in prossimità dell’Unità operativa, e prevede il reintegro funzionale nella propria unità nei tempi più ridotti possibili (6).



Questa diversa valutazione della condizione da stress ha avuto evidenti ripercussioni nell’ambito civile, dove la persona sottoposta, potremmo dire, a fatica e sofferenza da conflitto psicologico non è più considerata soggetto passivamente malato, ma soggetto attivo in grado di partecipare in modo propositivo al recupero della propria condizione ottimale, attivando le proprie risorse emotive, cognitive e comportamentali.

Dal 1900 al 1960 si delinea dunque il percorso che porta il counseling ad assumere competenze proprie rispetto alla psicoterapia, configurandosi sempre più come intervento preventivo alla promozione della salute, rispetto all’intervento terapeutico di competenza della psicoterapia per il recupero dalla patologia.

Nel 1997, l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) definisce il concetto di salute mentale non come cura ma come prevenzione. Il counseling trova piena collocazione in questo nuova cornice storica e concettuale, qualificandosi come intervento di rinforzo delle capacità dell’individuo. Connesso alla salute, è riformulato anche il concetto di crisi, considerata come passaggio fisiologico nello sviluppo della personalità e nella sua formazione. Il counseling assume dunque un carattere abilitativo delle capacità della persona per la sua salute e il suo benessere.


Il 18 maggio 2000, in Italia, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) presenta il “IV Rapporto di monitoraggio sulle associazioni delle professioni non regolamentate”, nel quale è acquisita la professione del Counseling e la figura professionale del Counselor, trasmessa dalla Società Italiana di Counseling (SICO) che istituisce il primo albo professionale italiano dei Counselor.


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4. Nell’ambito della psicologia applicata, la più diffusa è la psicologia clinica che consiste nello studio psicologico approfondito dei casi individuali, in una prospettiva globalistica che considera il soggetto umano nella sua totalità. Si avvale dei risultati sperimentali acquisiti dalla psicologia generale, soprattutto nei settori della personalità e della motivazione, e di una metodologia il cui strumento principale è il colloquio. Nella psicologia clinica, l’individuo non è considerato necessariamente malato o disturbato psichicamente; più comunemente può trattarsi di un individuo che chiede soltanto di essere sostenuto in una situazione della vita in cui si presenti un problema psicologico. Quando poi i conflitti del soggetto sono tali da entrare nella sfera patologica può rendersi necessario un intervento di tipo psicoterapeutico.

Enciclopedia L’Universale Garzanti, Filosofia vol. 6, Milano 2003, pp. 915, 919, 920, 1223.

5. Ma cos’è esattamente la psicologia umanistica? Fu un nuovo approccio, chiamato anche “terza forza”, che nacque come reazione alla psicologia sperimentale e alla psicoanalisi. Divenne un movimento definito negli anni cinquanta con la fondazione dell’Associazione americana della psicologia umanistica (AAHP). La sua origine, tuttavia, risale alla fine dell’Ottocento, quando William James, uno dei padri della “scienza della vita mentale” nei suoi Principi di psicologia (1890) rese la coscienza umana, l’esperienza e il libero arbitrio oggetti fondamentali della sua analisi. Oggi, l’approccio umanistico dibatte ancora questi temi.
Anziché prendere le mosse da regole istituzionalizzate per la ricerca e la terapia, la psicologia umanistica è soprattutto una filosofia che esplora l’esperienza umana cosciente nei suoi aspetti diversi – l’amore, la creatività, l’io, l’essere, il divenire, la responsabilità e il libero arbitrio, tanto per dirne qualcuno. In particolare Maslow riteneva che questi aspetti fossero trascurati dalla psicologia sperimentale che, fortemente influenzata dal comportamentismo, si era sempre principalmente occupata dello studio dei processi mentali umani e animali manipolando, in laboratorio, variabili che potevano produrre effetti sul comportamento.
D’altra parte la psicoanalisi, col suo credo nell’inconscio come forza propulsiva del comportamento palese, aveva i suoi inconvenienti per l’approccio umanistico. Perché – si obiettava – scavare nel nostro lontano passato pieno di oscure, tormentose ombre quando abbiamo il presente su cui agire in piena coscienza e in modo creativo? Gli impulsi inconsci, certo, possono essere riesumati in seduta analitica, ma solo per venire presto smitizzati e combattuti col ragionamento. Piuttosto – ci si chiedeva pure – perché si dovrebbe dare per scontato l’obbligo di adattarsi a una società repressiva invece che la libertà di cambiarla? Così, per lo psicologo umanista “qui e ora” divenne la dimensione preferita da considerare, una dimensione nella quale le interpretazioni soggettive che la gente dà degli eventi della propria vita – cioè, con consapevolezza cosciente – giocassero un ruolo fondamentale. Questo era dunque il punto di partenza per cambiare. Qui si può riscontrare l’influenza delle idee esistenzialiste, in voga più o meno a partire dagli anni trenta, che derivavano della fenomenologia, una filosofia fondata dal tedesco William Husserl (1859-1938).

Era lui a sostenere che i concetti astratti possono essere capiti solo attraverso il filtro dei modi della coscienza, mettendo così in primo piano il carattere profondamente soggettivo di tutta l’esperienza umana.
Alla teoria di Husserl venne dato seguito da Martin Heidegger (1889-1976), l’esistenzialista (sebbene lui rigettasse l’associazione con gli esistenzialisti) che ebbe predominante influenza su Jean Paul Sartre. L’opinione di Heidegger era che vivere un’autentica esperienza umana significasse essere coscienti della mutevole natura della realtà, della sua contingenza storica e delle restrizioni imposte ad aspirazioni e desideri individuali. Quindi l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che la nostra esistenza è parte del flusso universale della vita che culmina nella morte.

Queste premesse alquanto deprimenti portavano a chiedersi come individui normali (senza contare gli alienati) possano trovare la felicità o, almeno, la serenità in uno stato di cose così ineluttabilmente incontrollabile.
Psicologi e psichiatri umanisti europei hanno proposto svariate soluzioni, sviluppando terapie dirette ad aiutare i pazienti a dare significato alla loro vita in modi diversi. Per esempio, l’austriaco Viktor Frankl (1905-1997) suggerì attività soddisfacenti e contemplative come dipingere, costruire oggetti, creare giardini, apprezzare la bellezza e l’amore. Gli psicologi umanisti americani, in particolare,ridimensionarono il lato pessimistico della concezione esistenzialista, quella di una vita aggravata dal peso della mortalità e dalla libertà menomata, per esaltare invece la capacità di scelta. Questa era anche la presa di posizione di Maslow
. Interessato soprattutto a personalità sane, fu lui a sviluppare una teoria della motivazione umana che riposa su necessità a suo giudizio innate. Così, alla base di una piramide immaginaria troviamo un gruppo di fondamentali necessità “da privazione” – per lo più istinti fisiologici il cui fine è l’immediata soddisfazione dell’individuo. Seguono, a livelli più alti, necessità di sicurezza, di appartenenza e affetto, e di autostima. È abbastanza facile capire il meccanismo di ascesa nella gerarchia, poiché se le necessità di base non sono soddisfatte non c’è la volontà di soddisfare le necessità di ordine superiore. Solo individui equilibrati e appagati, perciò, riescono a raggiungere la vetta della piramide, dove risiede la suprema necessità “esistenziale” – l’autorealizzazione, che Maslow definì la “tendenza a diventare tutto ciò che uno è capace di diventare”.

Laura Maffey, Simonelli Editore, www.simonel.com/istrice.htlm


6. Corso Counseling in Psicologia dell’Emergenza, modulo 3.

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