Il Counseling Umanistico Esistenziale: percorso culturale, storico, scientifico - Pagina 3


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Il Counseling Umanistico Esistenziale: percorso culturale, storico, scientifico
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Nel 1950 negli USA si afferma il Counseling e la figura professionale del Counselor; e più tardi negli anni 70’ anche in Europa, particolarmente in Gran Bretagna, nei servizi di orientamento pedagogico, sociali, e nel volontariato.

Nel 1963 l’APA (Associazione Psichiatrica Americana) fonda la divisione di counseling. All’interno delle comunità locali sono riorganizzati i centri territoriali di salute mentale, come servizio di prevenzione ai cittadini, e non come strumento di segregazione e contenzione. È anche avviata un’azione di sensibilizzazione e orientamento all’interno delle scuole.

Negli anni 60’-70’ Robert Carkhuff, già allievo di Carl Rogers, attribuisce al counseling un’ulteriore valenza sociopedagogica rispetto a quella clinica di Rogers, e contribuisce così alla diffusione del counseling come abilità d’aiuto e competenza trasversale applicabile a ogni contesto relazionale.

Uno sviluppo importante del counseling è in ambito militare. Nel 1968, durante la Guerra del Vietnam (1965-1975), in pieno conflitto, l’APA considera raro il trauma da guerra, e elimina dal manuale di diagnostica ufficiale DSM 3 ogni menzione dei disturbi da stress. Intanto gli ospedali americani devono fare fronte ai soldati rimpatriati con gravi danni psicologici da combattimento. Solo nel 1980 le sofferenze dei reduci dal Vietnam sono formalmente riconosciute come Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT).

La sofferenza psicologica da combattimento non è quindi più considerata anomala né patologica, ed è riconosciuta dignità a questa condizione. Di conseguenza, in ogni divisione dell’Esercito Statunitense è istituita un’Unità di Combat Stress Control, costituita da un nucleo operativo specificamente composto di: Psichiatri, Psicologi, Counselor, Assistenti Sociali e Infermieri militari.

L’Unità ha il compito di sensibilizzare alle problematiche del DSPT, presentandole come reazione normale a un evento anormale, attraverso la diffusione di informazioni, depliant e esercitazioni ecc. Inoltre sono coinvolte anche le famiglie al sostegno e al recupero dei militari esposti alla fatica psicologica da combattimento. In questo modo, il militare non si percepisce più vittima malata ma soggetto attivo, e recupera molto più facilmente un equilibrio e una funzionalità psichica, con un’esposizione nettamente inferiore allo sviluppo di un disturbo post-traumatico. Il militare isolato in un ospedale aveva basse aspettative di recupero. Ora invece il suo recupero avviene in prossimità dell’Unità operativa, e prevede il reintegro funzionale nella propria unità nei tempi più ridotti possibili (6).




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