CHAT… E POI? (numero 2) Ne uccide più il tablet che la clava

Inviato da Nuccio Salis

chat e poi

Saper costruire relazioni interpersonali affidabili ed appaganti è una competenza sempre più importante. Ci si rende sempre più conto che la buona gestione e la relativa stabilità delle stesse sta diventando un tema decisamente prioritario, dal momento che si comincia a comprendere che il pieno soddisfacimento di un individuo e di una collettività dipende principalmente dalle modalità con cui si conducono e si strutturano i rapporti umani.

 

Le scienze sociali hanno oramai messo da tempo al centro della questione della salute umana (sia individuale che collettiva) la necessità di sviluppare riflessioni e pratiche efficaci per una buona condotta dell’agire umano nell’ambito delle dinamiche di scambio e di confronto. Peraltro, è questo l’oggetto principale intorno a cui ruotano molte delle questioni che attanagliano di insicurezze, disagi e preoccupazioni tutto il genere umano.

Tempo fa, a questo proposito, scrissi un articolo, parafrasando Berne e contestualizzandolo nell’era digitale: “Chat… e poi?”, in riferimento al crescente analfabetismo socio-relazionale riscontrato tutti i giorni in rete e nei rapporti cosiddetti “virtuali”.

L’umanità, pur dopo numerose conquiste scientifiche, evoluzioni e invenzioni tecnologiche sopraffini, progressi nelle applicazioni informatiche, della micro-elettronica e delle telecomunicazioni, si è ritrovata in una sconcertante discrepanza fra disponibilità di strumenti e dispositivi dalle versatili e innumerevoli  capacità, ed uno scarso e preoccupante equipaggiamento nelle competenze di interazione personale e sociale, ancora essenzialmente bloccato su un processo inarrestabile di degenerazione egocentrica e di depauperamento dei rapporti umani, non più contrassegnati dal desiderio della condivisione e dall’empatia, ma da un visibile arroccamento su posizioni personali integraliste e sostenute con prepotenza e violenza verbale.

Da quando Berne descriveva le modalità disfunzionali dei giochi e quindi degli scenari drammatici con cui ciascuno entra nel palcoscenico delle vicissitudini condivise con gli altri, ad oggi non è cambiato granchè. La paura di manifestare la propria autenticità, le incompetenze relazionali, la fatica di entrare dentro una cornice di reale complicità e intimità col proprio partner relazionale, sono ancora elementi significativi di una società che non sa ancora come apprendere a gestire con efficacia i processi della relazione interpersonale. Ancora oggi, bisogna constatare (purchè in modo generale ma comunque riconoscibile) che non si sa andare oltre il “Ciao”. Le chat rimangono vuote di contenuti e di domande non risposte, piene solo di faccine e di orsacchiotti con frasi fatte. Per strada ci si chiede se stai lavorando, ci si lamenta un po’ del malessere finanziario e degli impostori che ci governano, ed una volta esaurite queste formali ritualità ciascuno rientra nel proprio guscio di lacrime nascoste, di vissuti mortiferi, di crucci e dolori non esperibili dentro la cultura dell’efficienza con le sue spinte ad essere sempre forti, sempre all’altezza delle prestazioni richieste, a procedere a tutti i costi, a “guardare avanti”, senza nemmeno domandarsi poi davanti cosa dovrebbe esserci.

Sono tutte condotte automatiche che, come la maggior parte delle azioni umane già pre-programmate, si attivano in modo uniforme appena il software biologico è raggiunto da precisi input che lo governano nell’unica direzione possibile. So molto bene che questa semplice spiegazione non può essere accettata da coloro che sono programmati per l’appunto nel modo in cui è stato stabilito per loro.

E questa discrepanza è peraltro molto pericolosa, perché consegnare oggetti multimediali dalle immense potenzialità, sarebbe come mettere in mano a dei sub-umani scimmioidi dei giocattoli molto pericolosi di cui servirsene soltanto a scopo di sopraffazione. Questo è quello che accade nel genere umano, l’unico a comportarsi contro-natura nel regno animale di cui fa parte, perché impegnato a devastare il proprio habitat e ad estinguere se stesso. In natura, si sa, questo comportamento non può affatto contraddistinguere una specie intelligente, eppure l’essere umano si autoproclama in modo convinto di appartenere ad una presunta suprema razza eletta che può disporre del pianeta e degli animali come vuole. 

Il genere umano è dunque da paragonare ad una curiosa specie di ominidi con lo smartphone, il cui uso preferenziale è come estensore del proprio ego e del proprio desiderio di affermazione e visibilità a tutti i costi, rilanciando un contesto da cui si fa a fatica a passare nel nuovo paradigma, ovvero quello in cui la collaborazione sostituirà la competizione.

Ma tutto questo ancora non sembra affatto contemplato. Tutti ti misurano sulla base del tuo status e della qualità dei dispostivi di cui sei in possesso.  Tu ed il cellulare venite messi sullo stesso piano: in questo mondo TU sei il tuo cellulare! Non a caso l’azienda Apple ha pensato in modo astuto (ma non solo) di dissacrare l’IO Sono (La Coscienza – Lo Spirito), promuovendo l’I-Phone, cacciando cioè la coscienza di sé dentro un rettangolino di circuiti integrati. Quindi se hai il cellulare “preistorico”, equivale a dire che TU sei preistorico, e che per aggiornarti ed essere accettato dal branco ti devi adattare ad averne uno alla moda. Il branco non può accoglierti (per fortuna) e verifica in questo modo se sei degno di appartenere. Trovo molto più nobile annusarsi il culo, come fanno gli animali.

In pratica mentre si trova scandaloso essere involuti sul piano della fruizione tecnologica anche se ignorati sul piano umano, rimane sullo sfondo forse il più grande degli scandali: essere evoluti tecnologicamente e regrediti in modo esecrabile sotto il profilo umano. È questa, io credo, la più disperata e deleteria delle dissonanze di questo disgraziato genere umano, rintronato e stordito da una tecnologia di cui spesso ne fa un uso stupido e mediocre, a riflesso del più diffuso livello di intelligenza oramai riscontrato. Sono critiche più che fondate e peraltro già autorevolmente rimarcate dal noto psichiatra Vittorino Andreoli, medico ed umanista di grande esperienza clinica e dalle notevoli doti di analisi sociologica. Egli ha recentemente definito l’attuale genere umano come la società dell’ homo stupidus stupidus, immaginandolo in uno scenario distopico ma forse volutamente e implicitamente ironico circa la contemporaneità di tali immagini, in quanto aderenti ad una società contemporanea principalmente occupata da persone frustrate, impaurite, incapaci di autocontrollo, capricciose ed egocentriche, in gara per accaparrarsi fette di potere ed agire al di sopra di un’etica comune per proteggere soltanto interessi faziosi, violente e tendenti a vedere nel prossimo il nemico da vincere e sopraffare. L’analisi di Andreoli è constatabile nei fatti, anche se procura mal di pancia e quindi resistenze ed obiezioni preconcette spesso vuote di contenuti. Questa è, peraltro, manco a dirlo, una solenne e irrinunciabile caratteristica dell’essere umano: mentire a se stesso per non mettersi in discussione ed impegnarsi nella vera crescita. Lungo direzioni molto simili si muovono peraltro i pareri e le riflessioni dello psicologo Mauro Scardovelli , il quale, pur indicando e divulgando ipotesi ed opzioni per migliorarci, sostiene che l’essere umano è riconoscibile da tutti gli altri animali perché egli è in grado di fingere, e di sapere che lo sta facendo, e quindi, abitualmente, il suo comportamento è basato sul doppio legame: si dice o si pensa qualcosa e poi se ne fa sistematicamente un’altra. Questa è per Scardovelli la descrizione più edificante e rappresentativa dell’essere umano.

Eppure, in tutti questi decenni e decenni di studi e ricerche nel campo psicologico, educativo e sociale, l’essere umano non sembra ancora in grado di comprendere se stesso, di fondare un modello di sviluppo comunitario per ospitare il nuovo paradigma così propugnato da chi è impegnato nel passaggio verso il nuovo.

L’approccio analitico-transazionale ha indicato più volte le posizioni necessarie per maturare e realizzare itinerari di vero progresso, partendo necessariamente dalla qualità delle relazioni umane. L’incontro e il rapporto con l’alterità presuppongono inevitabilmente un doppio invio di messaggi: quello verso se stessi e quello verso gli altri. E soltanto se questa doppia matrice è inserita in una coesa e congruente posizione valorizzante, allora un rapporto ha buone e forse anche ottime possibilità di sviluppare qualcosa di importante e di significativo. Tale doppia posizione è da considerarsi come da una parte la qualità funzionale attribuita a se stessi (Io sono OK  -  Io Non sono OK) e d’altra parte la qualità funzionale attribuita agli altri (Tu sei OK  -  Tu NON sei OK). È sufficiente una singola direzione squalificante per pregiudicare la sana espressione del confronto interpersonale. Dunque, dentro queste 4 possibili combinazioni, soltanto quella a doppia valutazione positiva (Io sono OK  -  Tu sei OK) può assicurare una piattaforma di base su cui intraprendere l’esperienza dell’incontro e dello scambio su presupposti attivi ed equilibrati (Ama il prossimo tuo come te stesso).

Si può dunque costruire il classico incrocio di variabili su una rappresentazione bidimensionale cartesiana, da cui estrarne quattro “caratteri” ciascuno associato alla propria collocazione esistenziale:

 

 

 

 

 

 

DIPENDENZA/SOTTOMISSIONE

(Sono inadeguato. Gli altri hanno sempre ragione. Gli altri sanno cosa fare. Devo solo obbedire ed adattarmi)

 

 

 

 

 

 

 

(asse –x)

  (asse +y)                             COOPERAZIONE

(Possiamo costruire insieme. Congiungiamo le nostre capacità. Valorizziamo le nostre rispettive esperienze. Ricerchiamo la collaborazione di tutti. Pianifichiamo per gli interessi comuni)

 

 

 

 

 

                                                                            (asse +x)

RASSEGNAZIONE/FATALISMO

( E’ tutto inutile, tanto non siamo capaci. Non possiamo riuscirci. Suicidiamoci)

EVITAMENTO /SOPRAFFAZIONE

(Devo liberarmi di te. Non sei capace. Non sei abbastanza competente. Sparisci)

 

 

 

 

 

(asse –y)

 

 

 

 

 

 

Ogni volta che si assume una di queste posizioni, la stessa è da considerare un vero e proprio invito a fare altrettanto, ad essere cioè rispecchiati da una controparte. Questa è anche la ragione per la quale la posizione più congruente e feconda di sane relazioni è da considerare quella relativa al primo quadrante in alto a destra, in cui combaciano i valori della stima e della considerazione positiva di sé e degli altri. Soltanto nei valori medi dentro quella zona, diventa possibile costruire il Noi non come una semplice aggregazione di parti ma una vera e propria ri-combinazione creativa che genera il nuovo, dentro il nuovo paradigma in cui l’amore per la verità prende il posto della stupidità e della diffusa paura dell’ignoto.

L’auspicio di sempre è che questo modello, anacronistico quanto al tempo stesso attuale, sia posto come fondamento essenziale per rinnovare una società che ha bisogno urgente di rinnovare le sue disfunzionali modalità relazionali più comuni. Quando l’ordine delle priorità fra profitto e qualità delle relazioni umane verrà ristabilito, anche grazie a questo tipo di contributi, allora si potrà sperare nella nascita di una specie nuova, che negozierà in modo più efficace i propri rapporti e comprenderà la sua autentica funzione anche nei confronti dell’ambiente naturale e di tutti i suoi spazi di espressione.

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