Art Counseling. L'arte al servizio del cambiamento


La centralità del fare artistico-creativo per facilitare il cambiamento personale, e’ il tratto distintivo del counseling espressivo o Artcounseling.

Per counseling espressivo si intende secondo la definizione di E.Giusti  e I. Piombo:

“quel particolare approccio che usa le immagini, l’immaginario ed il fare artistico creativo.”

Il counselor abbina le sue competenze relazionali con la conoscenza del processo creativo e delle sue fasi.
Possiamo considerare il fare creativo come esso stesso una risorsa relazionale, e che la competenza relazionale, cioè il saper essere in relazione con l’altro in modo autentico fruttuoso ed evolutivo, non può prescindere dalla creatività.

La relazione di aiuto è essa stessa in un certo senso arte.
 


Quando parliamo di counseling artistico, ciò riguarda non solo utilizzo dell’arte in senso tecnico, ma la centralità dell’elemento creativo, in tutte le sue molteplici sfaccettature, nella relazione di aiuto.

Un elemento a cui viene data grande centralità è sicuramente l’immagine e l’immaginario.

Le immagini possono avere molteplici origini e natura: possono provenire da suggestioni esterne, prese dall’ambiente, oppure generate dal cliente sotto forma di disegni, dipinti o scarabocchi, o anche immagini formulate verbalmente sotto forma di metafore, o ancora immagini corporee come gesti, movimenti o danze, oppure immagini interne suscitate ad esempio dalla fruizione di forme di arte e manufatti artistici.

Ci ricorda infatti  James Hilmann che:

“la psiche emerge quando siamo immersi nell’immagine, o ci perdiamo nei suoi labirinti”.

Il contatto con le nostre parti più profonde e animiche dunque è particolarmente facilitato dall immagine che essendo più antica e primordiale della parola, risuona più facilmente con il linguaggio dell’anima.
Infatti, le parole che dispongono di più potere sono proprio quelle che hanno la capacità di evocare immagini significative.

Nel counseling espressivo come nell’arteterapia, il lavoro è orientato in direzione dell’unità e dell’integrità della persona, è fondamentale perciò che il counselor sia

 

“in grado di mettere in comunicazione parole ed immagini, cosi che il cliente veda ciò che produce come qualcosa di profondamente suo, di interiore , che lo aiuta a entrare in relazione con l’esterno, come una finestra sul mondo” . (Giusti, Piombo)

 

E’ proprio su questo gioco interno-esterno che si gioca gran parte dell’importanza e dell’efficacia del mezzo espressivo; consente infatti di tirare fuori, di esprimere qualcosa che accade dentro, attraverso un processo delicato e gentile, metaforico e analogico, e allo stesso tempo potente e denso di significato.

Questo spazio che è sia interno che esterno è qualcosa di simile a quello che Winnicot  ha chiamato “spazio transizionale”, ed è sede di esplorazione, gioco creatività e scoperta di sé.

 

La differenza fondamentale tra il processo artistico tout-court e l’artcounseling, è l’avvenire del secondo all’interno di una relazione specifica e di un setting che costituiscono il contesto dinamico, la cornice di significato che è parte integrante nella costruzione del senso del processo e del prodotto artistico.

 

“La parola arte va intesa come potenzialità che ognuno ha di elaborare artisticamente il proprio vissuto e di trasmetterlo creativamente ad altri per facilitare uno stato di benessere, di esistere bene.” (Giusti, Piombo)

 

Il processo in cui accade l’espressione artistica è dunque fondamentale, ed è fondamentale il come ci si relaziona all’opera del cliente.

Il counselor sarà totalmente rispettoso del prodotto del cliente, lo accoglierà con calore e conferma, il cliente potrà così sentirsi accettato e al sicuro e saprà di potersi fidare, e dunque esprimersi liberamente.

L’esplorazione del prodotto artistico è un momento molto importante e delicato, il counselor in quel momento è un po’ come il genitore (affettivo) che osserva l’opera del bambino-cliente.

Attraverso il fare artistico è più facile bypassare difese e meccanismi di censura, giacché sembra che in fondo si tratti “soltanto” di un disegno o di un manufatto, di un immagine presa da una rivista, o della scelta un colore.

Parlare del colore, delle forme, dei materiali scelti è una modalità morbida e metaforica per parlare del mondo interno del cliente senza chiamarlo direttamente in causa, mettendo dunque il cliente in grado di abbassare le proprie difese e favorire il processo di autoconoscimento.

 

In questo modo, attraverso l’accoglienza empatica del lavoro del cliente, si possono costruire la sicurezza e la fiducia che sono alla base dell’alleanza operativa. L’accoglienza incondizionata del processo creativo del cliente rimanda immediatamente, per analogia, all’accettazione della sua persona in quanto tale, e va di pari passo con essa.


Il cliente inoltre può prendere una certa distanza dal suo prodotto, fintanto che riesce a sentirsi a suo agio, nella relazione con esso (osservandolo, descrivendolo) può cioè calibrare la distanza che mette tra sé e quel qualcosa che è emerso dalla sua esperienza, ed ora gli appare in una forma oggettivata.
Oggettivata, qui va inteso non tanto nel senso negativo di reificata e irrigidita, ma al contrario: l’oggettivazione la rende osservabile, conoscibile, manipolabile e soprattutto trasformabile.

Il counselor comunque incoraggerà il cliente a riconoscere come suo il prodotto creativo aiutandolo a costruire dei ponti fra mondo interno e la sua espressione esterna.
Altri ponti interessanti possono essere costruiti usando il prodotto artistico come metafora per leggere con un nuovo sguardo, eventi e situazioni nella vita reale del cliente.

 

L’uso dell’espressione artistica nel processo di counseling, ha inoltre la finalità di promuovere autoconsapevolezza del cliente e la crescita personale, sottolineando  la centralità della creatività come una risorsa e cruciale da promuovere e risvegliare nella persona.


Perché si possa parlare di una vera crescita e una vera consapevolezza, queste non possono prescindere da un approccio creativo e aperto alla vita, poiché per vivere autenticamente ci è richiesta la capacità di poter abbandonare territori già frequentati, i percorsi noti e stabiliti, e di emanciparsi da modi di essere tendenzialmente automatici e dettati dal confort.

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