Parole e silenzi


Parole e silenzi

 Foto di Gerd Altmann da Pixabay

L’uomo parla nella misura in cui ascolta. 

Cresce dentro la gamma di suono che percepisce. 

La sua parola è espressione della sua evoluzione  

e l’una verifica l’altra. 

Entrambe sono funzioni del suo ascolto.

Annick de Suzenelle  [1] 

 

Ci sono momenti della giornata in cui tutti avvertiamo più forti e  condizionanti  stati  d’animo, percezioni, umore, desideri, sogni e sono il Mattino, il Pomeriggio, la Sera, la Notte. 

Sono i momenti in cui ci avvertiamo più fragili, ingigantiamo dubbi e percezioni negative, proviamo una sorta di malessere indefinito denso di stati d’animo  contraddittori:  ci  sentiamo  bisognosi  di sostegno, ma allo stesso tempo sentiamo di voler restare da soli, mettiamo in crisi la nostra autostima eppure siamo alla ricerca di noi e delle nostre risorse. 

 

Ascoltarci è la scelta più efficace che possiamo donarci, aiutati dalla parola. È la parola che nutre la nostra interiorità, che crea  spunti e prospettive, motiva esperienze, invita alla narrazione di sé. La  parola  ha  bisogno  di  ascolto  e  le  parole  nascono  e scorrono fluide dopo il silenzio.

Parola  e silenzio sono intimamente legati e distinti, e non può esserci l’una senza l’altro. La parola giusta viene dal silenzio, e il giusto silenzio dalla parola. 

Amiamo  interpretare  la  parola, tra i tanti  linguaggi  della comunicazione, come  segno  distintivo  della  specie  umana, ne andiamo fieri e quando vogliamo  elogiare un nostro  amico a quattro zampe ci affrettiamo a  riconoscere  che si  fa capire benissimo  anche  se  “gli  manca  solo  la  parola”  e  non  potrebbe essere diversamente, a patto che siamo noi in grado di leggere e interpretare i suoi linguaggi.

Tutt’altro che semplice o facile è riconoscere il valore della parola come qualità che ci appartiene e la usiamo raramente con efficacia, poche volte la  accogliamo con rispetto; d’abitudine ci accade di usare le parole con  esagerata  dovizia, con sciatta imprecisione, in  gran  fretta, pescandole dal  nostro personale serbatoio-vocabolario seguendo l’emotività del momento.

Rinunciamo a scegliere parole appropriate per meglio chiarire il nostro pensiero, perché la nostra attenzione è tutta concentrata ad accarezzare il nostro amor proprio, sentirci inclusi, sentirci elogiati, emergere sugli altri e sempre incalzati  dalla  fretta,  da  un  ritmo accelerato, nemico della riflessione.

Quando,  con  delusione,  siamo  costretti  ad  ammettere  di  non essere riusciti a ottenere ciò che speravamo, o siamo stati fraintesi, neppure allora  ci rendiamo consapevoli che la ragione per cui ciò è accaduto non è l’ostilità dell’altro o qualche imprevisto evento esterno:  la  ragione  fondamentale è in quell’altrove,  dove mai andiamo a cercarla: la nostra autoreferenzialità. 

Siamo consapevoli che le parole hanno un grande peso, possono essere pietre e creare barriere, o aprire porte e spalancare nuove positive prospettive, possono essere di aiuto o intimorire, sollevare l’animo o abbatterlo; sono loro, le parole scelte con cura e come le pronunciamo, che testimoniano il nostro pensiero e insieme il nostro  sentire, la  nostra emozionalità e possono suscitarla nell’altro come noi vorremmo. […]

La parola è suono, è vero, e in quanto espressione trasmissibile del pensiero,  nutrimento del pensiero può essere compresa a vari livelli:  letterale,  psichico,  concettuale,  immaginativo,  spirituale, emozionale, evocativo…

La  parola  non  solo  evoca  realtà,  è  come  se  avesse  una  sua corporeità/fisicità, si identifica con la cosa stessa che indica (come evidenziano chiaramente le formule rituali o magiche nelle quali non è soltanto il significato ad aver efficacia, bensì il significante ed è per questo che si conservano, di necessità, nella loro assoluta forma originaria).

Il parlare è certamente un fatto individuale, produzione di ognuno, un atto di libertà individuale, in riferimento alla dicotomia astratto-concreto di Ferdinand De Saussure, per il quale la parole è la concretizzazione della langue. 

Scrive Ferdinand De Saussure:

Se la “langue” è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti  appartenenti  a  una  stessa  comunità,  un  sistema grammaticale  esistente  virtualmente  in  ciascun  cervello  o,  più esattamente, nel cervello d’un insieme di individui, la “parole” è invece il momento individuale, mutevole e creativo del linguaggio, il  modo  cioè  con  cui  il  soggetto  parlante  utilizza  il  codice  della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale.  [2] 

Restituendo  dignità  alla  parola,  impariamo  ad  ascoltarla profondamente, a sentirne lo spessore, il calore, il peso e saremo capaci,  nel  dialogo  con  noi  stessi,  di  un  bene-essere  che  nel vorticoso  presente  ci  è  sconosciuto,  il  bene-essere  che  solo  la misura può dare e che il di più, il troppo, l’esagerazione, da cui invece siamo attratti e conquistati,  ha progressivamente annullato.

[dalla Presentazione del testo Giancarla Mandozzi, Ascolto parole e silenzi, 2020]

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

[1] Annick  de  Suzenelle,  Il  simbolismo  del  corpo  umano,  trad.  it.  P.  Longo, Yvonne Mollard, Milano, Servilium 2005, p.30              [2] Ferdinand De Saussure, Corso di Linguistica Generale, Laterza, 1978, pp. 23, 24 

 

 

 

 

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