Definizione degli obiettivi e sostegno motivazionale in momenti di crisi – 1


“ Chi lamenta dei problemi cronici in realtà sta solo cercando di liberarsene da lungo tempo e nel modo sbagliato “ 1

Quest’affermazione di Watzlawick ci porta a riflettere sul fatto che, a volte, volendo risolvere un insuccesso, non facciamo che o reiterare con più insistenza il comportamento infruttuoso, destinandoci così ad un fallimento ancora più cocente, oppure facciamo l’esatto contrario realizzando allora quei comportamenti definiti in Analisi Transazionale “ controcopionali “. O, ancora, rinunciamo, convinti che non ci sia soluzione al problema o che la soluzione ci sarà pure ma non è accessibile ( ci percepiamo cioè privi delle risorse intellettive e comportamentali necessarie allo scopo ). Nella realtà, in linea di massima, le tre reazioni non sono distinte l’una dall’altra bensì si producono in una sequenza che si autoalimenta: dall’insistenza si passa a fare il contrario per poi approdare alla rinuncia. Recuperate un po’ di energie psico-fisiche, si riparte : insistenza – contrario - rinuncia … fino a che le energie si assottigliano ed il recupero diventa sempre più lento quanto infruttuoso.

Insomma, in tali circostanze, la ricerca della soluzione non solo alimenta il problema ma diventa essa stessa un ulteriore nodo conflittuale. La tendenza ad adottare questa modalità di risposta appartiene ai singoli individui così come ai collettivi: famiglia, ad esempio, gruppi di studio o di lavoro, coppie, associazioni, aziende. Territori micro e macro-sociali. 2) Tal genere di reazioni, che ripropongono con forme e modalità differenti il medesimo schema cognitivo di base alla cui logica appartiene la genesi stessa del problema, si accompagna inevitabilmente ad un deficit motivazionale. In queste circostanze, perciò, la risposta al problema non può essere elaborata partendo esclusivamente dalla sfera comportamentale ( altrimenti si rischia di produrre il circolo insistenza – opposizione – rinuncia ) né dalla stessa dimensione delle motivazioni ( tipica è l’esortazione, paradossale quanto priva di consistenza, rivolta a chi è demotivato “ Ci devi credere di più ! “ ).

Venire fuori dal circuito vizioso a cui abbiamo accennato ed elaborare così una soluzione effettivamente efficace richiede, più che altro, una rivisitazione delle mete. L’analisi degli obiettivi , in tali circostanze, è allora il punto di partenza. Conviene subito porci un quesito: “ Che genere di evento può essere definito problema ? “. O, che è più o meno lo stesso, che cosa deve accadere affinché si possa dire che un singolo o un collettivo abbia un problema ? Generalmente, per tale, si intende un evento materiale e/o immateriale che faccia da ostacolo alla realizzazione degli obiettivi verso cui i comportamenti, del soggetto o del gruppo, tendono. Il suddetto evento, il più delle volte imprevisto ed ovviamente indesiderato, produce una contrazione di risorse e conseguentemente una contrazione ( effettiva o percepita ) temporale. Stando così le cose, il singolo o il collettivo vive una condizione di “ crisi “. Può trattarsi di chi, improvvisamente, perde il lavoro oppure si ammala o deve affrontare un lutto. Queste medesime circostanze producono una contrazione materiale ed immateriale nei vari gruppi di appartenenza del soggetto: famiglia, ad esempio, o l’ambiente professionale o quello sociale. L’evento può riguardare una coppia che giunge a separarsi.

O, ancora, un’ azienda che si trovi ad affrontare una contrazione della domanda relativa al suo prodotto o servizio. Insomma situazioni che costituiscono uno spartiacque tra il prima ed il dopo. Risolvere il problema, perciò, vuol dire progettare un dopo che non sia una riproposizione, con forme diverse, del prima. E’ scontato che ogni progetto necessiti di una meta. Anzi, senza meta, non c’è progetto. Null’altro è, infatti, il percorso che conduce all’obiettivo. Elaborare un futuro che, pur contenendo il passato, non ne sia una semplice fotocopia vuol dire allora porsi finalità che si distanzino da quelle che caratterizzarono il prima. Il che può apparire semplice e lineare, addirittura banale, ad un primo sguardo.

Così, di fatto, non è. Gli obiettivi appartengono ai sistemi di riferimento ossia al complesso di convinzioni/ pensieri/ emozioni/ comportamenti di ognuno, che sia soggetto singolo o collettivo. Le mete definiscono la percezione della propria identità, personale e/o di gruppo. Esse appartengono alla propria storia. Ci definiscono a noi stessi ed agli altri. Rielaborare il futuro, distanziandosi dal passato pur senza negarlo, significa ridiscutere tutto questo il che non implica dubitare del proprio sistema di riferimento in base a criteri di giusto o sbagliato, di vero o falso, di buono o cattivo. Ridiscutere, dunque, non ha nulla a che vedere con il giudizio bensì con la congruenza delle mete passate rispetto all’evento critico e, dunque, rispetto al futuro. La difficoltà vera del soggetto che non riesce a progettare il più delle volte è proprio l’incapacità ( da intendersi come mancanza di addestramento ) a rielaborare libero dalla ( e della ) tendenza al giudizio.

Lo si evince, spesso, dalla stessa terminologia utilizzata, sia a livello individuale che sociale, per indicare l’evento problematico: fallimento. Che si tratti di una separazione di coppia o di un’azienda che vede contrarre la domanda o di un esame universitario non riuscito oppure di un genitore che abbia difficoltà di dialogo con il figlio. Emergono perciò due aspetti fortemente connessi: uno relativo alla visione socio – culturale dell’evento problematico oltre che delle sue conseguenze sui comportamenti e, l’altro, riferito all’ottica individuale rispetto al medesimo tema. Il primo ha a che fare con criteri di competitività, l’altro con quello di identità personale. Il punto di contatto tra i due è nel percepire, da parte del singolo, la solidità della propria identità prevalentemente ( se non esclusivamente ) attraverso il successo.

D’altro canto, una società viene percepita ( e si percepisce ) avanzata quando i suoi membri hanno successo. Da queste sintetiche osservazioni si evince, allora, che porsi delle nuove mete non è semplice e scontato. Non lo è per il singolo che perde il lavoro, che si ammala, che si separa, che ha difficoltà di comunicazione con il partner o con i figli, che vive conflittualità relazioni sul lavoro. Non lo è per l’Azienda che vive una contrazione della domanda o l’ingresso, nel suo segmento di mercato, di un forte competitore o un deficit comunicativo al suo interno. Non lo è per una Società complessa che vede messi in discussione, da un’onda anomala dell’economia globale, i suoi assetti produttivi.

In ognuno di questi casi, individuali o micro e macro-sociali che siano, la reazione standard è la riproposizione dei modelli comportamentali passati rielaborati semmai solo nella forma. Ma una effettiva rielaborazione del futuro è al contrario un percorso, lungo e tortuoso, attraverso la propria storia e la propria Storia. Un percorso che si addentra nei sistemi di riferimento personali e socio- culturali per discuterli senza metterli in discussione. Favorire tale cammino è, spesso, compito ed obiettivo del Counseling e della Formazione.

1 WATZLAWICK P. , “ Guardarsi dentro rende ciechi “, Tea pratica ed., Milano, 2011, pag. 135 2) In riferimento a questa tematica, sarebbe interessante riflettere ad esempio se, di fronte alla crisi che sta attraversando l’economia globale, le Società non stiano anch’esse correndo il rischio di scivolare in una sorta di circuito insistenza – contrario – rinuncia. L’argomento è accattivante quanto complesso per provare solo ad accennarlo in questa sede.

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