L'arte della sublimazione della sofferenza contro il Coronavirus


paura morte

Uno dei tormenti dell’essere umano è quello di essere precario in questa vita. L’uomo vive essendo cosciente della sua mortalità però preferisce semplicemente scordarsene e così sotto tale modalità la Morte è presente dal nostro primo respiro, anche se non sempre si fa notare. Ironicamente si pone come una compagna di… vita! Una macabra seguace che preferiamo far finta di non conoscere, adottando un comportamento d’ illusoria eternità. Mortali che si creano la loro “favola” d’immortalità allo stesso modo in cui spesso si creano un vero e proprio fittizio “Io”.

Gli antichi greci chiamavano la morte “Thanatos” che in psicologia designa l’istinto di morte.  Per quanto si possa fingere, la consapevolezza della nostra triste verità si svela tramite il silenzio, il dolore, la rabbia e l’incredulità. Quella paura che ci paralizza sembra insormontabile perché è fatta da molte altre paure messe insieme. Le domande che ci facciamo pensandoci sono tante visto che non è per niente facile fare i conti con l’ignoto.

-Come sarà, c’è vita dopo la morte, che ne sarà dei miei cari, come sarà il futuro, soffrirò, sparirò?

A questa tempesta mentale l’Arte è capace di offrire tanto…e la possibilità di riscatto sembra fattibile se l’artista ha sempre la forza di farlo. La Tragedia greca si è posta per prima come una forma di spettacolo che aiutava, tramite un’esperienza contagiosa, a vincere un po’ la paura della morte. Rappresentando in teatro la disperazione e le sofferenze che l’essere umano subisce durante il suo percorso di vita o il dolore che per sua natura è più tragico della morte stessa, lo spettatore si rende spoglio dal suo fittizio “Io”, unendolo a una condizione equa agli altri, cioè all’inevitabile fattore della fine. Una condizione che dopo aver attraversato l’inferno dell’imprevedibilità della materia non sembra più cosi orribile.

Alla fine, pensandoci meglio, ciò che è peggio è perdere i nostri cari e rimanere da soli in questa vita. Non sarà quindi il viso della solitudine a farci più paura? L’arte sicuramente ci aiuta ad accettare l’dea della nostra mortalità ma il lavoro dell’artista non è confortarci in ogni modo possibile, ma è quello di puntare il dito sulla nostra inumanità. Provocarci delle scosse mentali e farci svegliare dal nostro smisurato ego. L’artista ha il dovere di osservare i fenomeni sociali diventando lo specchio che riflette i nostri errori.

In questi momenti della pandemia globale Covid19, mentre politici e governatori ci vogliono obbedienti e gioiosamente persi nella superficialità di un enorme “pigiama party”, la paura della morte diventa molto più intensa, come un cane aggressivo che ti tira la gonna minacciando la tua integrità.  Per una volta ancora siamo costretti a guardare negli occhi la nostra compagna sinistra che di solito trascuriamo, evitiamo e spesso snobbiamo arrogantemente. È lo stesso viso che molte persone sono costrette a guardare nella loro quotidianità insieme ai loro parenti. Malati di cancro, malati cronici, persone anziane, coloro che lavorano mettendo in pericolo la propria vita per sfamare la famiglia, popoli che subiscono la guerra ecc. Casi…casi…che fino a quando non ci toccano personalmente, va tutto bene.

Adesso stiamo ad osservare un virus che usa come palcoscenico il mondo intero per srotolare la sua pessima e tragica natura, ricordando a noi spettatori, più passivi del dovuto, che siamo tutti uguali e nudi di fronte alla “Signora dell’Abisso”. Facendoci sentire uniti all’interno della sua opera, guarda caso che questa malattia ci chiede la “Catarsi” per potersene andare…La purificazione non solo del corpo ma anche di ciò che sputiamo dietro le nostre mascherine, di ciò che pensiamo e che si manifesta negli occhi nascosti dai nostri scuri occhiali, di ciò che le nostre mani umane creano sotto quei guanti elastici.

Ciò che sta accadendo in questi giorni è una proiezione di ciò che accade dentro noi stessi. Fino ad ora la nostra civiltà, firmando con la sua aggressività, con il disagio e la sua tendenza di autodistruzione non poteva che sollecitare Thanatos… una pulsione che di solito viene evocata inconsciamente da noi esseri umani nella speranza della “liberazione”. “Pathemata mathemata” allora…soffrire per imparare e per rinascere. Ciò avviene perché non c’è esistenza senza equilibrio e la pulsione di morte che temiamo così tanto ci insegna il modo giusto di camminare accanto alla vita. La morte distrugge con risultati duri e irreversibili è vero ma è anche vero che a volte sa anche riparare o al meno così si… spera.

Christiana Troussa

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