LA FORZA DEL LEGAME DEBOLE

Inviato da Laura Ricci

3 sassi

<<Lo so da molto tempo, ma ne ho fatto esperienza.

Ora non lo so più tanto con l’intelletto,

ma anche con gli occhi, con il cuore e lo stomaco>>.

 (Hermann Hesse)

 

L’esperienza professionale che più mi ha più cambiato, è stata quella all’interno delle strutture ospedaliere; in particolare nelle unità Pediatriche e di Area Critica di due Ospedali dell’Italia del Centro – Nord.  Oltre alla formazione ed alla supervisione al personale sanitario e tecnico, in una di esse per 5 anni ho gestito uno sportello d’ascolto per genitori dei piccoli pazienti.

L’incontro con i genitori allo sportello d’ascolto può essere considerato un rapporto “a legame debole”, poiché è occasionale, discontinuo, precario e frammentato nello spazio e nel tempo.

E’ “debole”, poiché non contiene nessun contratto terapeutico.[1]

E’ “debole”, poiché avviene in un setting debole e non pienamente definito.

E’ “debole”, poiché nella maggioranza delle volte, la richiesta d’aiuto non è chiara né specifica. Come operatore non so chi verrà a parlare con me, quando questa persona entrerà nella stanza, cosa io starò facendo in quel momento, non so che problema mi porterà e come, non so quanto durerà il nostro colloquio, non so neppure se ritornerà e non possiedo nessun elemento anamnestico o diagnostico su di lei.

A differenza del colloquio psicoterapico, che può essere connotato a “legame forte”, la relazione allo sportello d’ascolto è incentrata su un unico problema, quello portato dal genitore in quel momento lì, difficile e problematico, rispetto al quale né la mamma né il papà sentono di avere le competenze necessarie per affrontarlo.

 

Accudire il proprio bambino/a che ha paura del dolore fisico, accettare una diagnosi importante, provare la solitudine, il disagio di essere per lungo tempo lontani da casa e di non riuscire a dormire una notte intera, accogliere la rabbia di una figlia pre-adolescente leucemica per non poter guarire, sostenere l’abbattimento di un figlio perché non vede miglioramenti, saper rispondere onestamente alla domanda <Babbo, tornerò a correre come prima?>, sono solo alcuni esempi delle realtà che ogni giorno i genitori di questo Reparto affrontano.

Essere in relazione con queste mamme e questi papà, è stata un’esperienza umana e professionale sfidante ed affascinante, dolorosa e ricca; è stato partecipare per un tratto di strada alla loro storia, senza volerla cambiare, ma facendo del mio meglio per utilizzare competenze, abilità e conoscenze per accompagnarli alla risoluzione, per quanto possibile, delle loro difficoltà. Ascoltarli e rimandare loro importanza, rispetto e considerazione per la particolare condizione che stavano vivendo, ha reso ogni incontro pieno ed autentico.

Il focus nella relazione a legame debole è sulla fragilità e sulla delicatezza della situazione, sulla parzialità di quel bisogno genitoriale ed educativo. L’aver affrontato nella terapia individuale le mie esperienze di dolore, imparando a poco a poco a gestirle, mi ha consentito di trattare, con maggiore consapevolezza ed efficacia, nuove situazioni di difficoltà e di sofferenza che quest’attività professionale mi ha posto di fronte.

Questo incontro a legame debole mi ha messo nella condizione di affrontare problematiche intricate e complesse, imparando a proteggermi; l’immediatezza e la rapidità degli scambi comunicativi con i genitori, la capacità di intuire e di agire velocemente connessioni fra emozioni e pensieri per definire cosa fare e come farlo, è stata per me una vera sfida.

Acquisire la consapevolezza che, anche uno scambio relazionale breve e “debole” può contenere significati forti ed importanti per i genitori e per i piccoli pazienti, è stato per me come riconoscere in ogni incontro quella presenza umana significativa, che manifesta un suo originale ed unico modo di essere nel mondo e di vivere quella esperienza.

Durante i colloqui, i genitori insieme alla richiesta d’aiuto, alla situazione problematica, alla diagnosi clinica, portavano anche emozioni e sentimenti, quindi il loro vissuto rispetto alla malattia del proprio figlio/a.

Identificare questi sentimenti e definire a chi appartengono, è stato il presupposto per instaurare un’autentica relazione d’aiuto; senza riconoscere e comprendere le mie emozioni e le mie personali esperienze rispetto alle richieste che mi sono state rivolte, non avrei potuto accogliere i vissuti dei miei clienti. La costante supervisione su questi casi mi ha aiutato a leggere il processo in atto, dando protezione a me ed ai miei clienti.

Prima di diventare Counselor, forse, sarei entrata nel ruolo del Salvatore accettando l’affermazione one-down, del tipo <Mi dica cosa devo fare dottoressa, visto che lei se ne intende…>. Questo è un ruolo che voglio evitare: di superiorità, di potere e di svalutazione dell’altro.

Ho trovato stimolante l’uso dell’A.T. sia perché mi dà la possibilità di esplorare le mie zone di luce e d’ombra ed i conseguenti nodi problematici, sia perché mi sostiene, invece, nell’accettare e comprendere sempre di più la mia limitatezza come helper.

La consapevolezza di essere imperfetta e non salvifica né onnipotente, mi dà l’opportunità di offrire un “aiuto umano”. Il senso d’impotenza e d’inadeguatezza che a volte provo di fronte ad alcune situazioni, grazie alla supervisione, ho imparato a non lo viverlo come un limite o una colpa, ma ad utilizzare questa vulnerabilità per permettere anche all’altro di entrare in contatto con queste parti del suo Sé, senza percepirsi diverso e senza per questo essere respinto.[2].

Il mio mandato allo sportello d’ascolto era di accogliere e contenere la sofferenza che i genitori vivono, perché potessero uscire dalla stanza con più speranza e coraggio nell’affrontare la loro situazione problematica, aiutando <chi si sente impotente a trovare la maniera di utilizzare il potere che ha>.[3]

 

Bibliografia

- BERNE E. – Analisi transazionale e Psicoterapia: un sistema di psichiatria sociale e individuale – trad. it., Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1971.

- BETTELHEIM B. – Un genitore quasi perfetto – Saggi Universale Economica Feltrinelli, 10° ed., giugno 2003.

- BOLLEA G. – Le madri non sbagliano mai – Saggi Universale Economica Feltrinelli, 9° ed., giugno 2003.

- CARKHUFF R. - L'arte di aiutare – Erikson, 2° ed., marzo 2003.

- CASTAGNA M. (a cura di) - L'analisi transazionale nella formazione degli adulti - Franco Angeli, Milano 2003.

- CASULA. C - Giardinieri, principesse e porcospini: metafore per l'evoluzione personale e professionale - Franco Angeli, 2° ed., Milano 2003.

- DI FABIO A. – Counseling: dalla teoria all’applicazione – Giunti, Firenze 1999.

- FERRUCCI G. – La relazione d’aiuto: teoria e tecnica della psicologia umanistico - esistenziale – Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001.

- JAMES M., - JONGEWARD D. – Nati per vincere: analisi transazionale con esercizi di Gestalt – trad. it., Edizioni San Paolo, 17° ed. 2001.

- MAGROGRASSI G. – Le carezze come nutrimento: i gesti e le parole che ci fanno stare bene – Baldini Castaldi Dalai Editore, 2° ed., Milano 2003.

- MASTROMARINO R. – Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli: proposta di un percorso formativo per genitori – IFREP, 3° ed., Roma 2000.

- MAY R. - L'arte del Counseling: il consiglio, la guida, la supervisione - trad. it., Casa Editrice Astrolabio, Roma 1991.

- PHILLIPS A. – I no che aiutano a crescere – trad. it., Feltrinelli Editore, 22° ed. Milano 2002.

- ROMANINI M.T. – Costruirsi persona - Edizioni La Vita Felice, Milano 1999.

- SOANA V. – “La relazione come ponte: dalla dipendenza all’autonomia, dall’isolamento all’intimità, dalla disperazione alla speranzain A:T:, Rivista Italiana di Analisi Transazionale e Metodologie Psicoterapeutiche, anno XVI N. 30.

- STEINER C.M. – Copioni di vita - trad. it., Edizioni La Vita Felice, Milano 1999.

- STEWART I., JOINES V. – L’analisi transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani – trad. it., Garzanti, 5°ed., Milano 2000.

- WOLLAMS S., BROWN M. – Analisi transazionale: psicoterapia della persona e delle relazioni – trad. it., Cittadella Editrice , 5°ed., Assisi 2003.

 

 


[1]RANCI D. “La relazione a legame debole nell’intervento sociale: aspetti teorici e tecnici.” In Prospettive sociali e Sanitarie, N°4 - 2001.

[2]A tal proposito, rispetto al tipo di relazione che grazie all’uso dell’A.T. ho potuto instaurare, cito le parole di C. MOISOComunque ciò che aiuterà i nostri pazienti a guarire è la relazione che stabiliremo con loro. Parlando in termini transazionali, significa che potranno derivare dal rapporto con noi gli strumenti necessari per sviluppare quelle nuove sequenze narrative intrapsichiche che si manifesteranno poi sotto forma di copione vincente”. (“Epistemologia e problemi di setting in analisi transazionale”, da Rivista Neopsiche n. 24)

[3]STEINER C.M. – “Scripts people live” - trad. it., Copioni di vita - Edizioni La Vita Felice, Milano 1999, pag 236.

Potrebbero interessarti ...