andare oltre le apparenze


andare oltre le apparenze

           

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava.

Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” .

Il mio disegno non era il disegno di un cappello.

Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. 

Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa.

Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.

 

[...] avevo fretta di rimettere a posto il mio motore. Buttai giu’ un quarto disegno.

E tirai fuori questa spiegazione:

“Questa e’ soltanto la sua cassetta. La pecora che volevi sta dentro”.

Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo giudice illuminarsi. “Questo e’ proprio quello che volevo. [...]

(Antoine De Saint Éxupéry, Le petit prince, cap.1)

 

            Il piccolo principe è frutto della fervida invenzione di un autore innamorato del cielo e del volo, vissuto nella prima metà del secolo scorso, in un mondo che neppure come fantascienza riusciva a immaginare ciò che per noi è realtà quotidiana, eppure quanto è fondamentale per noi l'aiuto del piccolo principe: Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.

             Già, non vedere "bene" ci complica la vita e in questo siamo bravissimi. Lo sappiamo fare con estrema perizia, oggi meglio di ieri. Non abbiamo bisogno di maestri, ci risulta facile come, ad esempio, rifiutare ogni piccola variazione persino vantaggiosa (figurarsi il cambiamento) soltanto per il fatto che non siamo stati noi a proporla. Certamente nessuno tra noi desidera intenzionalmente complicarsi la vita, né al lavoro, meno che mai negli affetti e nemmeno nello svago, piuttosto la nostra è una "dote" che accogliamo come parte della nostra identità. In ogni occasione la sua voce è pronta a parlarci in quella forma che tanto ci piace, così sottilmente diversa, ambiguamente altra dal nostro stato dell'io genitoriale: ribadisce le nostre convinzioni radicate (e persino limitanti), ci rammenta che le nostre abitudini sono irrinunciabili, porta esempi e confronti su pregressi suoi /nostri successi.

            Se siamo convinti che vivere la vita che vogliamo sia un nostro fondamentale diritto, sarà bene che ci occupiamo con serietà di questa voce che apparentemente dia-loga con noi, in realtà è solo una sirena che ci affascina mentre se ne sta seduta, lei, alla guida del nostro autobus (ved. Richard Bandler, chi guida l'autobus? in Usare il cervello per cambiare, Astrolabio, 86), ci induce a vedere con i suoi occhi e osserva,  sceglie, agisce al posto nostro.

Abbiamo grande necessità di imparare a decodificare ciò che  dietro l'apparenza; per poter autonomamente (o quasi) scegliere abbiamo bisogno di comprendere che cosa le apparenze nascondono. La società delle immagini in cui viviamo  ci ha educato a godere e fruire  mentalmente ed emotivamente di immagini confezionate da altri "per" noi, ci ha indotto a ritenere inutile la decodificazione di ciò che è così attraente e, oggi, comprendere, capire, intelligere (intus-legere) è impresa più che ardua, è abilità di cui abbiamo proprio smarrito il senso. Efficacissima questa complicità, sinergia perfetta quella tra massicce operazioni mediatiche e overdose di immagini che si è concretizzata da pochi decenni e progressivamente ci sta privando della nostra individualità senza che ce ne avvediamo. Presi dal ben oliato meccanismo, saliamo sorridenti e appagati sulla giostra senza neppure chiederci se lo desideravamo davvero. Ci è sufficiente ritrovarci insieme a  tanti, condividere con loro gli stessi giochi del lunapark, per ricacciare indietro la vaga sensazione di caducità, di obsolescenza programmata del tutto che di quando in quando avvertiamo.

            Riappropriamoci di quella reattività  che ci ha mantenuto desti e anche un po' ribelli nell'età dell'adolescenza, scaviamo, spezzettiamo le immagini per costruire un nuovo puzzle con quelle stesse tessere, il nostro puzzle, la nostra verità, relativa e perfettibile, esattamente come quella di ogni altro che incontriamo nel cammino della vita.

Rinneghiamo quell'uomo di superficie che siamo diventati (Vittorino Andreoli, L'uomo di superficie, 2012 ), impariamo di nuovo ad andare sotto la superficie, alla scoperta dell'immenso iceberg di cui vediamo solo la punta che emerge.

A chi possiamo chiedere aiuto? Alla nostra determinata volontà di conoscerci per agire la nostra autonomia, per comprendere la nostra identità e il nostro ...copione di vita, e al counseling, in particolare di approccio rogersiano, centrato sulla persona e intensamente fiducioso sulla  tendenza attualizzante di ciascun essere umano.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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