MODELLI DIDATTICI E PERSONALITÀ DEL TRAINEE. Formare per servire.

Inviato da Nuccio Salis

La parola chiave di ogni evento formativo dovrebbe essere "cambiamento". La finalità di un percorso che propone un itinerario complessivo di apprendimento e crescita, dovrebbe misurare la differenza fra una condizione di partenza ed una conclusiva che dovrebbe mostrare i risultati in riferimento agli obiettivi perseguiti e sviluppati durante l'esperienza svolta. In altre parole, chi accetta all'ingresso un percorso formativo dovrà riscoprirsi un nuovo individuo alla conclusione dello stesso. Questo non significa necessariamente aver affrontato un tragitto di radicale trasformazione di sé e di rivoluzione totale del proprio essere.

Piuttosto si potrebbe concepire tale cammino secondo una prospettiva di arricchimento. Seguendo ed accettando questa impostazione, il trainee può entrare nello spirito partecipativo di colui che abbraccia il cambiamento non per trasfigurare se stesso rifondando daccapo una nuova identità, come se la sua storia, la sua personalità e la sua profonda natura non avessero più voce in capitolo, quanto piuttosto come opzione volontaria di autonomia e potenziamento di sé. Nel senso che il processo destrutturazione e ristrutturazione è vissuto intenzionalmente e condotto con impegno come straordinaria possibilità di perfezionamento e scoperta di sé in termini di nuove risorse e punti di forza. Può diventare indispensabile considerare questo aspetto e farlo emergere quando si deve lavorare sulle persone con il proposito di guidarle e motivarle dentro percorsi di autoconoscenza che non si limitano ad acquisire contenuti squisitamente didattici. È necessario quindi identificare almeno 3 possibili profili differenti di allievi, ciascuno dei quali rappresenta bisogni, domande e richieste diverse. Accogliere tali distinte posizioni ha lo scopo di restituire risposte adatte alle caratteristiche di ciascuno. Con questo non si intende procedere secondo rigidi concetti categoriali che inquadrano le persone dentro rigide classificazioni, quanto invece considerare ed ascoltare le legittime istanze di ogni individuo, proprio per evitare di omologarlo a pacchetti didattici che potrebbero risultare impersonali e troppo distanti dai reali ed autentici bisogni che definiscono le trame e gli orientamenti del mondo interiore di ciascuno. Ciò mi induce a considerare l'opportunità di raccogliere all'inizio di ogni avventura formativa lo stato trasversale degli apprendimenti di ogni partecipante. Può servire a comprendere il generale livello di esperienza e competenza diffusa, aiutando il formatore a comprendere se si trovi di fronte ad un pubblico sostanzialmente omogeneo oppure sufficientemente vario. La ricerca e la definizione di questo aspetto può favorire una migliore capacità di rispondenza e presa in carico delle esigenze e delle domande più comuni e diffuse. Le due variabili principali da incrociare, per disegnare le personalità emergenti da questo confronto, sono il comportamento appreso ed il bisogno eventualmente corrispondente e congruente in modo più o meno consapevole ed intenzionale. Possono quindi configurarsi almeno 3 profili: a) Le persone i cui approcci, interpretazioni e rappresentazione del mondo dipendono da comportamenti appresi in tempi remoti che sono stati successivamente legati a bisogni culturali e non omeostatici (quindi non di base e primigeni), condizionati e indotti dall'ambiente socio-culturale di riferimento, per via della sua pregnanza affettivo-relazionale. In genere, difatti, tale operazione è condotta dalla famiglia originaria. I bisogni indotti si sono nel tempo consolidati sottoforma di convinzioni personali, e quindi la maggior parte delle scelte e delle strategie di azione risultano contaminate dalle forme-pensiero co-costruite dal singolo. In questo caso, il conduttore dell'esperienza formativa si trova innanzi a una personalità particolarmente rigida e resistente al cambiamento, e che potrebbe trovare nella sollecitazione esterna e nel richiamo al cambiamento un momento di ingestibile e destabilizzante perdita del controllo. Tale soggetto tende a conservare la propria identità proteggendola da "rumori" e interferenze esterne, ad arretrare di fronte a proposte di esplorazione inedita e di nuove visioni di realtà. Tatto, prudenza e sensibilità dovranno essere le doti principali investite dal formatore verso soggetti portatori di tale identikit. Potremmo chiamare questa specificità personologica "posizione dell'adattamento". b) Il secondo profilo riguarda colui che ha appreso un kit di comportamenti in tempi relativamente più recenti e che vengono attuati pur non soddisfacendo profondi o atavici bisogni psicologici. È ad esempio il caso di chi esegue consegne e prescrizioni legate a necessità esclusivamente materiali o per finalità formali. Si tratta di attivare un repertorio di comportamenti a carattere rituale, connessi a certe direttive attese da un contesto che immette abitudini, script di azioni semi-automatiche che occorrono alla persona per far fronte alla richiesta espletata dalle circostanze di un immediato presente. Si potrebbe prefigurare, seppur con tutti i limiti di una corretta previsione, un soggetto che si trova più a suo agio quando viene diretto con chiarezza e quando può contare sull'affidamento verso informazioni, dati e indicazioni certe, prevedibili, controllabili e conosciute. Potremmo chiamare questa impostazione come "posizione del dovere". Un dovere che non è da intendersi come acquisizione etica e valoriale in risposta a un comando di natura genitoriale e culturale, quanto un dovere eseguito secondo modalità sequenziali gestite come vere e proprie abitudini ripetute. c) La terza ed ultima configurazione di personalità esprime comportamenti che sono giustificati da bisogni profondi, e che quindi sceglie e legittima le sue azioni secondo un mandato interiore, cioè in luogo di istanze più intime e genuine. Questo soggetto potrebbe decisamente manifestarsi come molto più sensibile degli altri nel richiedere un'esperienza di sviluppo del Sé che si allinei alla sua indole esplorativa, creativa, ribelle in senso costruttivo di questa espressione. Potremmo chiamare questo orientamento come "posizione dell'espansione". Il soggetto che si pone dentro questa prospettiva accetta di entrare in relazione, di confrontarsi e misurarsi con tutte le variabili in gioco, gestendo la qualità del processo secondo le sue attitudini che potranno assumere una direzione costruttiva se egli sceglie di investire entusiasmo esplorativo che tiene conto della legittimità della presenza altrui, e quindi incanala la sua esuberanza in modalità rispettosa, aperta, creativa, ri-generativa, centrata sull'incontro che valorizza l'elemento dell'intimità e dello scambio autentico e genuino con la partnership. Seguendo la teoria analitico-transazionale possiamo anche reperire le associazioni relative agli stati dell'Io dominanti che definiscono ciascuna del trittico delle posizioni argomentate in precedenza. La prima personalità richiama parti del Genitore Normativo e del Bambino Adattato. La seconda congiunge ancora elementi del Genitore Normativo interiorizzato con una forte energizzazione dell'Adulto. La terza personalità rievoca principalmente lo stato dell'Io Bambino, che sotto l'espressione funzionale potrebbe infatti dirottarsi sia nell'espressione Libero-Naturale che su quella Critica-Ribelle. Spetta in ciascuna circostanza alla guida facilitante del trainer proporre idonei modelli e percorsi di apprendimento che sappiano rispondere ai bisogni più o meno manifestati ed intercettati dalle stesse utenze, non per assecondarle passivamente, quanto per regolare la flessibilità di un approccio didattico pronto a cambiare eventualmente la rotta e il processo di un percorso che può spostarsi da un modello più strutturato ad uno con più ampi margini di dialettica e confronto con le tangibili contingenze verificate in loco, affinché la qualità di rispondenza da parte del professionista che veicola e influenza il percorso esperienziale possa favorire un viaggio formativo il più possibile gradevole e appagante. La qualità del livello di benessere, d'altra parte, è la variabile più influente a determinare il successo di un'opera formativa centrata sull'individuo o sui bisogni di gruppo. dott. Nuccio Salis (pedagogista clinico, counselor socioeducativo, formatore analitico-transazionale)

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