"Famiglia, immagine ed altre prigioni..." premessa


famiglia cartoon“Famiglia, immagine ed altre prigioni... come perdonarsi e perdonare attraverso un percorso di Counseling”.

Scrivo questa tesi al termine di un percorso che sembra iniziato solo ieri, in un momento in cui affacciarsi ai mille universi che questa professione spalanca, sembra ancora una cosa lontana e quasi impossibile da realizzare con i miei pochi strumenti. Eppure ripercorrere questi tre anni con la mente è come guardarsi allo specchio e non riconoscersi più, perché la persona che vedo riflessa ha ormai solo l’involucro, il corpo, di quella che era all’inizio della strada che gli ha cambiato la vita. “Mi cambierà la vita” infatti... questo il primo pensiero che aveva attraversato la mia mente quel 16 ottobre 2008 ad Alessandria, mentre ascoltavo il Presidente di questa scuola, che poi sarebbe diventato il mio Presidente, fare una breve presentazione del corso e delle possibilità che ci avrebbe offerto... “Mi cambierà la vita” è il pensiero che ho continuato a fare ad ogni week-end di formazione, ad ogni seminario, ad ogni occasione di confronto durante il master, tra lacrime e sorrisi, nel corso del tirocinio così come durante la preparazione dell’esame di Roma... E intanto la vita cambiava, io cambiavo, forte delle mie nuove consapevolezze, del coraggio e della testardaggine, forte dell’appoggio dei docenti e dei compagni di corso, che hanno saputo aspettare con pazienza che questo cambiamento prendesse forma. E allora eccomi qui, con una vita trasformata, rivoluzionata, finalmente in cammino verso di me e verso qualcosa che possa essere mio... la vita stessa!

 

Ho scelto di affrontare l’argomento della famiglia e delle altre prigioni a cui il mondo e la società moderna ci “condannano”, perché è proprio da queste che sto con fatica evadendo, grazie al counseling e grazie a tutto quello che ha portato nella mia esistenza, e perché penso che ci siano condizionamenti tanto potenti che gravano sulle spalle di ciascuno di noi e che sia nostro dovere, oltreché nostro diritto, imparare a reagire alla vita per renderla veramente speciale, così come ciascuno di noi può essere! Imparare a riconoscere i meccanismi che ci condizionano può aiutare a pensare, e la presa di coscienza è davvero un passo importante, perché apre la strada alla possibilità di scelta... Conoscere qualcosa fa iniziare un cambiamento, sperimentare lo fa accadere! Ed io ho deciso che accada... Il percorso di questa tesi prevede un filo conduttore, il fil rouge che ha accompagnato la mia vita: nell’introduzione infatti parlerò, metaforicamente, della storia della mia famiglia, della mia idea di famiglia, della mia voglia, in principio malsana e poi sempre più sana, di famiglia. Ci sarà poi un primo capitolo dedicato all’istituzione famigliare in senso più generale, ai suoi meccanismi, ai suoi condizionamenti, all’influenza che può avere sull’autostima dei suoi componenti e sulla costruzione del modello operativo interno che ci accompagna per la vita... Ma anche al suo sostegno e alle sue potenzialità educative e liberanti, perché concetti come intimità, autonomia, fiducia e abilità di comunicazione sono parti vitali del nostro vivere nel mondo: relazioni genitoriali e famigliari sane hanno indubbiamente in sé un potenziale inesauribile di guarigione, miglioramento e benessere. La famiglia è stata ormai riconosciuta come “importante fattore per il benessere dei suoi singoli membri. Gli studi condotti, sia in campo medico che psicologico e sociologico, dimostrano come la salute della persona sia fortemente correlata al tipo di famiglia in cui vive, ai processi che in essa avvengono e al complessivo stile di funzionamento e qualità della vita: è ormai acclarato che essa non è solo un fatto individuale ma anche famigliare.” (Estratto da: “Integrazione nelle psicoterapie e nel counseling” Rivista semestrale di studi e ricerche. Num.13/14 del 2003. Pag. 185). Non è assolutamente facile riuscire ad avere una rappresentazione di tutti i vincoli che intercorrono contemporaneamente tra la coppia coniugale e i figli, tra la famiglia e i gruppi all’interno dei quali un individuo cresce e infine tenere anche conto del contesto sociale nel quale l’ambiente famigliare è immerso (Berto, Scalari, 2011). Per questo motivo un secondo capitolo è rivolto all’analisi, in chiave personale, di quelle che sono le prigioni sociali nelle quali il mio/nostro essere si fa troppo spesso rinchiudere: l’immagine di sé, l’apparenza esteriore, i ruoli, il senso d’impotenza che implica il senso della propria mancanza di potere, perché potere deriva da volere, essere in grado, ed essere senza potere significa essere senza possibilità, senza influsso, senza capacità...; infine un terzo capitolo nel quale il percorso di counseling viene fuori in tutta la sua forza “trasformativa”, attraverso la mia esperienza e attraverso il processo di presa in carico della responsabilità personale del mio cambiamento, perché nell’autunno del 2008 ho deciso di fare una scelta, ho scelto me stessa: quell’autunno ho scoperto che un essere umano non può scegliere niente altro che se stesso, ho imparato che se non si sceglie se stessi si “muore” poco alla volta, cercando di essere all’altezza dell’immagine che altre persone vogliono avere di te e che non sarà mai tua. (“Perdiamo tre quarti di noi stessi nel tentativo di essere come gli altri” dice Schopenhauer, o come gli altri ci vorrebbero, aggiungo io!).

Nel nostro intimo, nel più profondo della nostra coscienza, dove dobbiamo convivere con noi stessi, troviamo un universo di esperienze cruciali: questo mondo interiore, fatto di emozioni e sentimenti, è differente in ogni individuo... lì dobbiamo essere assolutamente onesti con noi stessi, lì dobbiamo essere completamente noi stessi, lì la sofferenza non sparisce solo perché fuori sembra essere tutto a posto! Prima della conclusione, e sempre all’interno del terzo capitolo di questo lavoro, ho voluto fare un breve accenno alla mia prima esperienza in qualità di counselor, fatta come tirocinante all’interno dello sportello di ascolto, offerto dalla scuola come strumento formativo per gli allievi del terzo anno e come occasione di lavoro personale per gli studenti del primo e secondo anno nel “ruolo” di clienti. E’ proprio grazie a questa esperienza che ho avuto la possibilità di iniziare a sperimentare e rendere effettivo tutto lo sforzo fatto durante il mio percorso personale, mettendo in pratica quell’arte maieutica che è propria del counseling e che non si propone né di addestrare né di cambiare o curare ma solo di accompagnare alla riscoperta delle potenzialità e delle risorse presenti in ciascuno di noi.

 

Questa e’ la storia di una famiglia come tante (e a ben pensarci sarebbe meglio di no), è la storia di una mamma forte e spaventata, di un papà fragile e silenzioso, di un ragazzino forse troppo debole per reagire al mondo e di una bambina piena di complessi. Entreremo a casa loro... ancora di più... nella loro cucina, ci faranno sedere alla loro tavola, perché spesso il destino di un nucleo famigliare dipende dal capire i sentimenti e i bisogni che stanno sotto gli eventi quotidiani della famiglia. E allora a tavola li guarderemo vivere, li guarderemo nella loro vita piena e silenziosa... li guarderemo a tavola perché quando si mangia, si sa, non si mente! E poi sempre a tavola alzeremo gli occhi dal piatto, dalla tovaglia e dai bicchieri e troveremo tutto il resto, la famiglia... ed è lì che comincerà il vero lavoro.

La famiglia che incontreremo vive, vive tutta insieme, vive tanto intensamente da non perdersi nemmeno un secondo di vita... ma lo fa in silenzio... vive una dopo l’altra le cose di ogni giorno, cose da mangiare, cose da inghiottire come se non ci fosse il tempo di masticare, come se per poter fare tutte le cose che ci sono da fare fossero obbligati a divorarle, senza preoccuparsi di sentire, di sentire le proprie emozioni o di lasciare che i componenti di questa famiglia siano liberi di viverle senza colpa.

Una bella vita piena dunque, così piena che a volte sembra non ci sia niente, così piena che sembrano scomparire i piatti, i bicchieri, tutto, anche il gusto delle cose sembra scomparire... rimangono solo la tavola e le quattro sedie... e la famiglia, certo, perché la famiglia rimane sempre... E allora la cercheremo intorno alla tavola, in quel tutto complicato e immenso che si ripete sempre e da sempre, e ci chiederemo quanta famiglia serve per essere felici, quanta ne sia indispensabile, quanta ce n’è... e poi ci chiederemo dove va a finire, a volte, tutto il bene che c’è... e perché ogni tanto tutto quel bene faccia così male impedendo di vivere! E se per caso avessimo bisogno di altre persone a cui dare del bene, da cui prenderne? Se fosse così... ci basterebbe la famiglia? E se non bastasse... la famiglia riuscirebbe a capirlo? Me lo sono chiesta tantissime volte in questi anni in cui la presenza costante della mia famiglia mi faceva sentire così sola, me lo sono chiesta di fronte ad ogni nuova decisione importante per la mia vita e forse sono stata io la prima a non capire che la famiglia non poteva bastarmi per essere felice, se prima di tutto non fossi riuscita a trovare me stessa e la mia strada, anche a costo di allontanamenti e rifiuti... e invece mi ha sempre fatto così paura il pensiero che i miei genitori potessero non volermi bene, non approvarmi, non sostenermi, mi ha sempre fatto paura pensare che queste cose possano accadere in un nucleo famigliare! La mia visione di famiglia è sempre stata ideologica e probabilmente poco rispondente alla realtà, perlomeno alla mia realtà: la parola che mi viene pensando a noi quattro, e che mai avrei creduto di poter associare al concetto di famiglia nel senso sociologico del termine, è “omertà”... invece se ci penso non è un caso, forse, che le organizzazioni mafiose siano divise proprio in Famiglie e che lì l’omertà la faccia da padrona... Solo questi anni di lavoro personale e di studio mi hanno mostrato per la prima volta quanto di disfunzionale ci sia stato nella mia famiglia e nei suoi silenzi pieni di giudizio e quanto male mi abbia fatto tutto questo fin dall’infanzia! Il timore di non farcela a vivere da sola, il bisogno dell’altro per poter sentire di esistere, annulla ogni differenza tra i membri della famiglia, annulla le singole identità e dà origine ad un gioco dal quale è difficile uscire, perché chi tenta di differenziarsi è quasi immediatamente risucchiato all’interno da qualche terrificante ricatto affettivo... “Se mi fai anche questa non sei più mia figlia!”. Credo sia per questo retaggio che l’idea di coppia prima e quella di famiglia da costruire poi, è sempre stata per me l’idea di qualcosa di simbiotico, di qualcosa che si deve tutelare sempre, a discapito di ogni cosa, anche del buon senso, l’idea di qualcosa che non dà spazio al singolo... anche se un po’ di spazio lo si vorrebbe, anche se a volte tutta questa vicinanza è quasi fastidiosa perché non permette di esprimersi, di cercare, di aver voglia di tornare... non c’è mai un posto a cui tornare perché non c’è mai un posto dal quale si è venuti via! E non si può far sparire ciò che si vede evitando di parlarne, questo l’ho capito, diventa solo più pericoloso, assume nuove forme e comincia a rotolare, trova voci che iniziano a parlare da sole e che diventano incontrollabili... le barriere famigliari erette contro il parlare di ciò che è o di ciò che è stato, di quello che giornalmente accade o di quello che è accaduto, forniscono un buonissimo terreno per il riprodursi di problemi! La negazione consuma una grande quantità di energie intellettive ed emotive, ragione ed affetti sono usati al servizio della rimozione e quindi non sono disponibili per una fase costruttiva, quella fase che ti conduce ad identificare ogni momento di “crisi” come punto essenziale nel processo di crescita individuale.

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