Qui mi sento Bene


           Qui? È evidente che non si tratta soltanto della dimensione spaziale perché il sentirsi Bene implica una congerie fittissima di elementi fisici, reali e persino immaginari, cognitivi ed emozionali e in definitiva può indicare un luogo dell’animo, proprio come il qui e ora, ben noto nell’ambito del counseling e non solo che indica uno stato di naturale bene-essere, uno stato di grazia come alcuni lo definiscono, certamente raggiungibile da chi conosce e persegue l’arte di vivere con consapevolezza ogni istante dell’esistenza. Per questo il qui e ora dilata ogni nostra esperienza, affinando la nostra percezione di noi e del contesto, di noi e dell’altro la rende  più intensa inducendoci un’attenzione tutta nuova tesa a cercare e scoprire sensazioni nuove, nostre intime risorse mai messe in gioco persino sapori mai immaginati, rende più efficaci le nostre capacità, aumenta la nostra concentrazione su ciò che risponde a criteri di essenzialità. Nella dimestichezza abituale con il qui e ora impariamo a vivere.

 

           Ora chiediamoci dove sia il qui che ci rende il Bene-Essere, quali caratteristiche abbia, se e quante volte ci accade o in passato è accaduto che siamo stati in grado di ri-trovarlo e di farne tesoro. Già perché il nostro qui che ci fa sentire Bene  èun prestare consapevolmente attenzione a quanto stiamo vivendo,  a patto che sospendiamo il nostro atteggiamento giudicante, per coglierne le potenzialità, per carpirne opportunità che da tempo invochiamo, per dare un senso anche ai nostri errori e allontanare lo spettro di sensi di colpa e può diventare, se lo vogliamo, un’àncora (come la PNL ci suggerisce) che si riattiverà ogni volta che lo vorremo.

           Forse il qui per ciascuno di noi è il dove osare, inteso come acronimo di: Osservare, Stupirsi, Ascoltare, Ricevere, Esperimentare (Aldemiro Giuliani, Impara a vivere, 2016, vol.1, pag.12), concedendoci di ascoltare i nostri personalissimi maestri e i nostri sogni, di accettare che sentirci arrivati è un limite che ci imponiamo per pigrizia e che ci impedisce non solo di migliorarci, ma addirittura di alimentare, definire, cesellare e dunque realizzare desideri e bisogni. Paradossalmente, sentirci realizzati è proprio la condizione che ci impedisce di migliorarci, ci induce un torpore della mente ed emozionale, certamente giustificata dalle paure prima fra tutte la paura di non essere all'altezza delle nostre e altrui spettative, tuttavia ci allontana dal vivere, dal percepire noi stessi e gli altri, ci impedisce di essere animati da curiositas, da amore per ricercare il Bene, nostro e non solo. Credere di aver finalmente ottenuto quello che volevamo ci  priva di ogni progettualità e forse è il caso che ci riflettiamo su se vogliamo percorrere il sentiero che ci porta al nostro qui.

È quel qui il nostro  ritrovar-ci, la nostra autoconoscenza, nell’autentica e rara condizione di essere connessi con noi stessi per agire la capacità di stare a contatto con la propria esperienza senza alterarla o volerla diversa da quella che è, per arrivare a sentire con chiarezza che ciò di cui sentiamo la mancanza nel profondo siamo noi stessi, la disponibilità ad essere pienamente presenti alla nostra vita.

Di questo  si occupa la mindfulness, una pratica, un modo di essere, non una pura e semplice buona idea, né soltanto una tecnica ingegnosa,[...] un processo che ha bisogno di tempo per realizzarsi e approfondirsi e dà il massimo beneficio se la si intraprende a partire da un forte impegno con se stessi, impegno che richiede adesione e disciplina, ma anche uno spirito giocoso, la capacità di trovarvi un certo agio, di applicarvi un tocco leggero, al meglio delle proprie possibilità: in questo modo diventa un gesto di gentilezza e di compassione verso se stessi.

(in Mark Williams, Danny Penman, Metodo MINDFULNESS. 56 giorni alla felicità, Mondadori, 2016).

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

 

 

 

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