A proposito di comunicazione e mezzi di comunicazione...suggerimenti dal passato


lampadine lavagnaCon insistenza sempre maggiore e da un numero crescente di osservatori sento ripetere che ormai è tempo di RIFLETTERE su quanto –tanto, forse troppo- è già stato detto scoperto, immaginato, sperimentato nei più diversi ambiti della conoscenza per CONSOLIDARE e SELEZIONARE, AMPLIFICARE il buono, l’utile, ciò che ci appare più “ecologico”.

È una proposta che torna periodicamente nella storia dell’uomo e della sua abitudine ad  esperire, può risultare affascinante ma può anche essere vissuta come una sorta di autolimitazione, sgradevole perché implica la rinuncia a quella voglia di protagonismo che è spesso la molla a tentare il nuovo a ricercare, per  avere...una nostra visibilità.

A me sembra un ragionevole strumento di equilibrio: ricercare e protendersi verso il nuovo e soffermarsi a sedimentarne gli esiti (positivi o anche negativi) sono attività speculari e interconnesse in qualunque condizione, e in particolare in quella della relazione interpersonale, della comunicazione e dell’educazione. Non siamo necessariamente tutti scienziati animati dal fuoco della ricerca e in corsa per il Nobel, e tuttavia tutti noi ogni giorno in ogni momento, pur senza avvedercene, conosciamo - sperimentiamo – analizziamo i risultati – modifichiamo, o forse no, comportamenti, convinzioni, atteggiamenti, sogni...conseguentemente.

Per questo, anche per questo ri-leggere testi “di una volta” mi dona una gratificazione speciale, legata al vedere in fondo ciò che credevo già di conoscere con occhi e punti di vista un po’ modificati, suscettibili di altre modificazioni.

Oggi dunque vi ripropongo una pagina di John Dewey La comunicazione e i mezzi di comunicazione. Risale al...1916 e tuttavia mi appare di straordinarie attualità e completezza. La qualità dell’autore è indiscutibile quanto il fatto di essere egli un cardine del tema dell’educazione e della comunicazione, e tuttavia in questa pagina ho trovato molto di più. Mi auguro che sia così anche per voi, assaporatela, gustatela con calma; io mi permetto di segnalare in calce solo alcune parole di questa pagina su cui conto di tornare presto a ragionare . 

Da Dewey J.,  Democrazia e educazione (1916), Milano, La Nuova Italia R.C.S.,  2000, L’educazione come necessità della vita, Educazione e comunicazione 

            “La necessità d’insegnare e d’imparare perché la società possa continuare ad esistere, è veramente così evidente che può sembrare che io insista troppo su banalità. Ma la mia giustificazione sta nel fatto che questo mio insistere è un mezzo per allontanarci da una nozione troppo scolastica e formale dell’educazione. Le scuole sono certamente un metodo importante di trasmissione per la formazione dell’indole dell’immaturo; ma esse sono uno dei mezzi, e, in confronto ad altri fattori, un mezzo relativamente superficiale. Solo quando abbiamo afferrato la necessità di forme di insegnamento più fondamentali e persistenti, possiamo con sicurezza collocare i metodi scolastici al loro vero posto.

            La società continua ad esistere non solo per mezzo della trasmissione, per mezzo della comunicazione, ma si può dire giustamente che esiste nella trasmissione, nella comunicazione. Vi è un legame più che verbale fra le parole comune, comunità e comunicazione. Gli uomini vivono in comunità in virtù delle cose che possiedono in comune. E la comunicazione è il modo con cui sono giunti a possedere delle cose in comune. Ciò che devono avere in comune per poter formare una comunità o società sono gli scopi, le credenze, le aspirazioni, la conoscenza, e un comune modo di intendere, o la medesima mentalità come dicono i sociologi. Queste non sono cose che si possono trasmettere fisicamente dall’uno all’altro, come mattoni; non possono dividersi materialmente, come si divide una torta in pezzi. La comunicazione che assicura la partecipazione ad un comune modo di intendere è tale da assicurare disposizioni emotive e intellettuali simili, o simili maniere di rispondere alle aspettative ed alle necessità.

            Un certo numero di persone non diventano società perché vivono fisicamente vicine, come un uomo non cessa di essere socialmente influenzato per il fatto che vive tanti metri o chilometri lontano dagli altri. Un libro o una lettera può costituire un’associazione più intima fra esseri umani che distano migliaia di chilometri l’uno dall’altro, di quanto non esista fra conviventi sotto lo stesso tetto. Degli individui non compongono un gruppo sociale nemmeno perché lavorano tutti per un fine comune. Le parti di una macchina lavorano con una massimo di cooperazione, per un risultato comune, eppure non formano una comunità.. Ma questo richiederebbe la comunicazione. Ognuno dovrebbe sapere ciò che l’altro intende, e dovrebbe in qualche modo tener l’altro informato dei propri scopi e progressi. Il consenso esige la comunicazione.

            Siamo così obbligati a riconoscere che entro il gruppo più sociale vi sono molte relazioni che non sono sociali.. Un gran numero di relazioni umane, in qualsiasi gruppo sociale, sono ancora sul piano della macchina e dei suoi pezzi. Gli individui usano l’uno dell’altro per conseguire i risultati desiderati, senza riferirsi alle disposizioni emotive e intellettuali o al consenso delle persone adoperate. Questi usi esprimono una superiorità fisica, o una superiorità di posizione, di abilità, di capacità tecnica, e il comando di strumenti, meccanici o fiscali. Fintanto che le relazioni fra i genitori e i figli, i maestri e gli scolari, il datore di lavoro e l’impiegato, i governanti e i governati, rimangono a questo livello, questi ultimi non costituiscono un vero gruppo sociale, per quanto le loro rispettive attività si tocchino da vicino. Il dare e prendere ordini modifica l’azione e i suoi risultati, ma non consegue da sé una partecipazione agli scopi, una comunicazione di interessi.

            Non solo la vita sociale si identifica con la comunicazione, ma ogni comunicazione (e perciò ogni genuina vita sociale) è educativa. Ricevere una comunicazione significa avere un’esperienza allargata e diversa. Si partecipa di quel che un altro ha pensato e sentito, e se ne ha il proprio atteggiamento modificato, in modo più o meno profondo. E nemmeno colui che comunica ne rimane inalterato. Provate l’esperimento di comunicare con pienezza e accuratezza qualche vostra esperienza a un altro, specialmente se è alquanto complicata, e vi accorgerete di cambiare atteggiamento verso la vostra esperienza; altrimenti farete riferimento a giaculatorie e esclamazioni. L’esperienza deve essere formulata per essere comunicata. Per formularla è necessario portarsi all’esterno di essa, vederla come un altro la vedrebbe, considerare quali punti di contatto ha con la vita di una altro, per poterla esporre in una forma che gli permetta di valutarne il significato. A meno che non si abbia a che fare con frasi fatte o con banalità, si deve, con l’immaginazione, assimilare qualcosa dell’esperienza di un altro per potergli parlare intelligibilmente della propria esperienza. Ogni comunicazione è come l’arte. Si può ragionevolmente dire che ogni ordinamento sociale, che rimane vitalmente sociale, o vitalmente condiviso, è educativo per quelli che vi partecipano. Solo quando viene fuso in uno stampo e scorre in modo abituale, perde il suo potere educativo.

            Per concludere allora, non solo  la vita sociale esige insegnamento e studio, per la sua  stessa continuità, ma lo stesso processo della vita è insieme educativo. Esso allarga e illumina l’esperienza, stimola e arricchisce l’immaginazione; crea la responsabilità per l’accuratezza dell’esposizione e del pensiero. Un uomo che vivesse realmente solo (solo, mentalmente quanto fisicamente) avrebbe poche o nessuna occasione di riflettere sulle sue esperienze passate per estrarne il significato netto. La disuguaglianza fra quel che compie l’individuo maturo e quel che compie l’individuo immaturo non solo rende necessario l’insegnamento ai giovani, ma la necessità di questo insegnamento è uno stimolo immenso a ridurre l’esperienza a quella stregua e forma che la renderà più facilmente comunicabile e perciò più adoperabile.”

Queste le succose parole per qualche altra conversazione:

¨      La comunicazione che assicura la partecipazione ad un comune modo di intendere è tale da assicurare disposizioni emotive e intellettuali simili

¨      .. Un gran numero di relazioni umane, in qualsiasi gruppo sociale, sono ancora sul piano della macchina e dei suoi pezzi. Gli individui usano l’uno dell’altro per conseguire i risultati desiderati, senza riferirsi alle disposizioni emotive e intellettuali o al consenso delle persone adoperate

¨      Ricevere una comunicazione significa avere un’esperienza allargata e diversa... nemmeno colui che comunica ne rimane inalterato

cordialissimamente, Giancarla Mandozzi

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