percezione e realtà…


percezione e realtà…            

 

Mafalda dove va

Chi tra noi ha qualche primavera sulle spalle, quando era bambino,  ha certamente sentito ripetere dagli adulti e con una sorta di compiacimento appena venato di indistinti timori: “la vita comincia a quarant’anni” .

A me, e forse anche a voi, la frase arrivava come un monito e insieme un invito alla speranza, sottintendeva cioè un’ implicita quanto ferma dichiarazione che a chi non avesse compiuto quaranta anni ancora  non era concesso di avere potere sugli altri né sulla propria vita, non era dato pretendere di esprimere proprie idee  e d’altro canto ci induceva una sorta di entusiasmo per la vita che avevamo davanti, una vita che progressivamente sarebbe stata più completa, più nostra insomma come la volevamo, desideri e sogni compresi.

 

E questo accadeva per tante coincidenti motivazioni, non ultima il tipo di educazione piuttosto autoritaria che i genitori impartivano ai figli, e soprattutto perché quei quarantenni che avevamo di fronte erano la concretizzazione di un modello positivo: erano i nostri genitori, i nostri insegnanti, i politici, il bottegaio, il commerciante del negozio sotto casa, il vicino che arrivava a bordo della sua rombante auto nuova, tutti tutti, dal più benestante a quello che con orgoglio faceva miracoli con uno stipendio modesto e una famiglia con due, tre figli, tutti soddisfatti di sé, convinti di aver già compiuto imprese importanti e pronti a proseguire con decisione il cammino, spesso assumendosi responsabilità onerose di figli nei confronti dei loro genitori sessantenni.

E i sessantenni? Anche loro, consapevoli di aver ricostruito l’Italia dopo ben due guerre mondiali, pure in disparte nel ruolo di anziani, magari nonni, ma nonni-anziani, mantenevano una evidentissima e forte autostima nonché senso di superiorità nei confronti delle generazioni più giovani (figli e nipoti)e le loro convinzioni, i loro valori, nonché i loro giudizi netti e senza dubbi, né incertezze.

Per quegli adulti certo non andava bene ogni cosa e li sentivamo anche lamentarsi, ma il lamento era una sorta di tempo di riflessione, di pausa per riprendere le forze, immancabilmente accompagnato da “perle di saggezza” rivolte a noi perché non impigrissimo, perché non ci fermassimo di fronte agli ostacoli, perché con cedessimo mai all’ozio (ricordo bene la fatica che ho fatto a fissarmi in capo l’idea di come utilizzare il tempo libero [che non avevo mai avuto], quando ormai docente, nell’imperversare dei media ero tenuta a far sì che i giovani imparassero a difendersene.

            Erano gli anni in cui la maggiore età arrivava a ventuno anni, quando “dovevano” essere ultimati i doveri di studente, la licenza media o il diploma, e quasi ultimato, tranne rare eccezioni, il corso di studi universitari; del resto in quegli anni (quelli del boom economico, fine anni cinquanta anni, primi anni sessanta) pochi giovani arrivavano alla laurea e solo dagli anni Settanta (dopo il ’68) la popolazione studentesca è infittita a dismisura negli atenei italiani.

Dunque con proprietà e congruenza accadeva che al raggiungimento della maggiore età, il giovane o la giovane avevano già una loro autonomia anche economica, certamente avevano quasi tutti un’idea ben precisa del percorso di vita scelto; ad esempio già avevano ben chiaro se formare o meno una famiglia e spesso il salario dei loro primi lavori, veniva dai genitori religiosamente “messo da parte” per le spese future, per quando si sarebbe deciso di andarsene da casa.

            Situazioni come queste sono emblematiche per ricostruire il clima di un’epoca storica, un’epoca questa relativamente vicina a noi nel tempo, e tuttavia assolutamente lontana rispetto alla realtà e prima ancora alla percezione che di essa abbiamo. Esistono oggi modelli positivi di energia di autoaffermazione, di convinzione nelle proprie capacità, di voglia di fare meglio?Ci sono persone che amano il raggiungimento di obiettivi anche faticosi, che esprimono fiducia in sé e nella vita? Oggi i quarantenni spesso vivono una condizione non ben definita nel lavoro, se hanno famiglia spesso sono alle prese con bimbi in tenerissima età e vittime di una diffusa quanto improvvida educazione permissiva, priva di autorità (e questo in parte è bene) ma a cui è negata anche l’autorevolezza.

E i maggiorenni di oggi? Anche loro oggi sognano di la libertà, ma stando a malincuore o controvoglia (tranne bellissime quanto rare eccezioni) sui banchi di scuola e bramano andarsene dalla casa dei genitori quanto prima, da single o con la persona che amano, ma economicamente dipendenti da genitori e nonni.

E i sessantenni? Sarà bene che continuino a “trottare” per aiutare figli e nipoti e che procrastinino la pensione il più lontano possibile. Di certo è assolutamente necessario che siano automuniti per svolgere quelle innumerevoli mansioni per piccoli  e adulti della famiglia, visto che “non hanno niente da fare”.

            Che percezione possiamo avere  oggi della nostra vita in queste condizioni ?

Forse mai e poi mai ci verrebbe di pensare (figuriamoci di dirlo) che la vita comincia veramente a…x anni.

La vita media si è allungata, non c’è dubbio, così da consentire a sociologi e filosofi di affermare (e non in questi ultimi tempi di crisi, ma già dagli anni novanta del trascorso secolo) che l’adolescenza arriva a quaranta anni…

Mi chiedo, sarà rimasto un breve tempo di stagione adulta, prima dell’inesorabile regressione della vecchiaia?

 

Anche di questo, credo proprio, che il counselor sia chiamato a tener conto: della collettiva percezione della vita, oggi, che si insinua in quella di ciascun individuo, con potere condizionante.

 

 

Cordialissimamente

Giancarla Mandozzi

 

 

 

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