Il valore delle dicotomie


Il valore delle dicotomie

          

           Forse mai come oggi le dicotomie sono state invise, ripudiate dalla nostra ansia di vivere una realtà senza limiti di spazio e tempo, multiculturale e reale quanto virtuale, al punto che ci torna sempre più difficile distinguere il presente dall’immaginato, il futuro dal futuribile. Tuttavia, questa insistita volontà di tutti (che mi auguro, in ossequio a Jean Jacques Rousseau, non coincida con la volontà generale) di eliminare dicotomie e contraddizioni è operazione che risulta impossibile: contraddizioni e paradossi, vecchi e nuovi sempre più numerosi, ci scompaginano ogni progetto.

           Forse abbiamo perso il senso della realtà. Non solo ci sfugge che ci stiamo imponendo una fatica di Sisifo, ma, soprattutto, ciò che vorremmo eliminare è ciò che invece dovremmo custodire e ben conoscere. Dovremmo augurarci che dicotomie e contrapposizioni mantengano ben vivo il loro specifico ruolo di reciproca complementarità nella vita dell’uomo e della terra stessa, come di ogni creatura.

 

In fondo, avremmo già dovuto comprendere che mettere in evidenza i paradossi della nostra società, in cui molti acuti osservatori si adoperano, non vuole essere un invito a negarne il valore, ma al contrario a comprenderne le implicite potenzialità che conducono all’equilibrio. È pur vero che la nostra è una società che ama tutto ciò che dall’equilibrio si distanzia, è una società che aborrendo il concetto stesso di limite ama l’eccesso in ogni forma, ignora la moderazione e l’accontentarsi, il frenare l’impulso mentre conosce bene come assecondarlo e dunque non riesce ad apprezzare la magica forza propulsiva, insita nella contrapposizione e nella dicotomia di due elementi entrambi potenti, la sola che può condurci all’armonia e all’equilibrio come scelta consapevole.

Che questa sia la nostra condizione  più diffusa è un dato di fatto e prenderne consapevolezza è il primo passo per conoscere con diversa prospettiva convinzioni largamente condivise e luoghi comuni che sembrano immodificabili  per poter individuare strategie di intervento a cui non avevamo prima accesso.

È difficile? Certo! Ma chi vorrebbe impegnarsi per un compito che sia qualificabile come facile? Il nodo in fondo è questo decidere, ognuno con se stesso, se quando e come vuole ascoltar-si e dare risonanza finalmente anche a ciò che di diverso rispetto ai dettami mediatici affiora dal proprio sé. All’inizio, ci sentiremo come arrugginiti, incapaci di muoverci in una dimensione così a lungo ignorata, ma poi proveremmo l’ebbrezza di salire nella …profondità.

           Un solo riferimento a quanto la scomparsa di una precisa dicotomia abbia complicato la vita di noi tutti: la scomparsa della contrapposizione tra generazioni.

Alle generazioni di adulti e anziani “il trascorrere del tempo dona autorità sulle abitudini non radicate. E i giovani non possono per natura creare abitudini radicate dal peso del tempo; il rapporto tra le generazioni è quindi riassumibile in un problema di continuità/discontinuità, un rapporto che genera il presente e genererà il futuro. […]Se abbiamo il progresso, se abbiamo la storia, è grazie alla dialettica tra continuità e discontinuità. Non si può parlare degli anziani se non in opposizione ai giovani; genitori/figli, insegnanti/allievi si definiscono a vicenda grazie al rapporto di interdipendenza. Tutti passiamo o siamo passati attraverso qualcuna di queste dicotomiche definizioni” (Thomas Leoncini, 2017).

Oggi, ognuno vuole essere attore sul palcoscenico della contemporaneità, sia il giovane, sia chi può contare una pluridecennale esperienza e frequentemente è il giovane a guidare con abilità l’adulto o l’anziano che, desideroso di inserirsi nel mondo digitale, ha bisogno di delucidazioni sostegni e indicazioni. Chi insegna e chi apprende? Non è più così semplice dare una risposta, occorre distinguere situazioni e ambiti e, a maggior ragione, sarebbe essenziale comprendere le peculiarità del ruolo dell’adulto rispetto alle giovani generazioni per evitare confusioni di ruoli e invischiamenti che nuocciono ai giovani quanto a chi come genitore, docente o in quanto adulto è tenuto ad una consolidata consapevolezza di sé, di ogni relazione con l’altro e non può tradire il compito di educatore (cfr. l’astensione educativa, Vittorino Andreoli, 2015).

Il disorientamento evidente e persino l’imbarazzo degli adulti nel sentirsi sopraffatti dalle competenze del giovane in molti episodi della vita quotidiana, nel sentirsi quasi debitori nei loro confronti per come li aiutano a risolvere le bizze di uno smartphone, di un’app, o del software della posta elettronica, non è segnale di relazione efficace, né costruttiva. Riconoscere al giovane competenze che gli adulti e gli anziani non hanno è importante quanto il fatto che l’adulto si apra al cambiamento, ad un mondo così alieno da quello che ha nutrito le sue esperienze e dunque solo nel segno del rispetto reciproco, il patrimonio dello scorrere del tempo, del suo distillarsi tra discontinuità e continuità potrà implementarsi e darci un futuro che oggi può essere per tutti noi, giovani e meno giovani, non altro che ipotetico.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

          

 

 

 

 

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