SOLI DI FRONTE AL BIVIO. Ipotesi dell’agire nel conflitto intrapsichico

Inviato da Nuccio Salis

bivio

Il conflitto può generare un problem-solving creativo? Questa è la domanda alla quale si può tentare di rispondere, dal momento che un individuo si trovi nella situazione di dover scegliere fra due istanze pari ma opposte. Ciò vale a dire che nella vita di ciascuno di noi, può capitare di ritrovarci di fronte a scelte che implicano un aut-aut in merito al percorso e alla direzione da intraprendere. In altre parole, è possibile a volte dover sperimentare quella condizione in cui ci si trova innanzi a due sistemi di valore entrambi intensamente importanti ma recanti una valenza opposta. Si può anche trattare della classica contrapposizione fra il principio del piacere e il principio del dovere, la cui risultante si combina spesso con un comportamento connotato dalla dissonanza fra le due dimensioni.


Ma anche fra due scelte non necessariamente distinte di segno, l’individuo può comunque ritrovarsi a verificare una doppia tendenza all’azione, legata a due ordini di motivazioni differenti. Per esempio anche nel caso in cui egli debba decidere fra due eventi ugualmente piacevoli, e quindi a quel punto qualunque scelta coinciderà inevitabilmente con il senso della rinuncia e della perdita. L’umano, d’altronde, sembra essere un vero campione quando si tratta di dover essere infelice perfino di fronte alla pienezza e alla gratificazione.
Nella complessità della vita e della psiche umana, questo genere di comportamento necessita di un paradigma di studio che lo onori nella sua sistematicità e ricchezza. Non sarà dunque sufficiente appiattire l’osservazione di tale fenomeno ad un’ottica riduzionista e meccanicista che lo spiegherà in parallelo al conflitto avvicinamento/evitamento, che può interessare in modo tipico e frequente anche gli organismi animali più semplici. Uno studio di questo tipo dovrà sempre riconoscere un orizzonte di maggiore ampiezza quando si tratta di spiegare il comportamento umano.
Cosa fa, dunque, un individuo umano, di fronte a un bivio? Quali ragionamenti, emozioni e aspettative produce? A quali risorse fa appello per risolvere il conflitto e giungere ad una efficace ipotesi di mediazione?
Qualora infatti non si raggiungesse un livello ottimale di controllo sull’evento generante il conflitto, ne consegue che un possibile risultato, peraltro piuttosto immaturo e non efficace, consisterà nello sviluppo di comportamenti discrepanti, i quali non soddisfano né l’una né l’altra istanza. Cioè, fra “abbandonarmi ai piaceri del cibo” e ”mantenermi in salute evitando fritti e grassi”, potrei abbondare sul cibo ed aumentare la quantità e la frequenza dei pasti, visto che dal momento che sto rinunciando ai cibi grassi e fritti potrei sentirmi addirittura un salutista, quindi nel pieno diritto di concedermi qualche piacere in più.
Questo comportamento non funzionale, noto come discrepanza, serve in tutta sostanza soltanto a conservare le proprie antiche credenze senza di fatto cambiare nulla sui nostri schemi di vita.
Esiste poi una seconda possibilità, che consiste in pratica in quella sommatoria algebrica secondo cui, numeri che rappresentano la stessa quantità ma di segno opposto si equivalgono ed il loro risultato è dunque pari a zero. È il corrispettivo di due istanze che tendono a far manifestare il comportamento umano su due rispettive direzioni divergenti. Per risultato nullo, l’individuo sceglie l’immobilità e la paralisi.
Una terza modalità, probabilmente molto più diffusa di quanto diversamente magari non si sospetti, è l’affidamento alla sorte. Tirare i dadi, fare testa o croce, estrarre i bigliettini, sono tutti espedienti che delegano la nostra iniziativa a un misterioso quanto improbabile fato che dovrebbe decidere al posto nostro. Ciò infatti sottostima la nostra capacità di scegliere ed agire, e soprattutto ci affranca dal caricarci di responsabilità che non vogliamo assumerci e di rischi che vorremmo evitare.
In un variegato panorama di personalità e di una corrispettiva pluralità di vocazioni motivazionali, ciascuno adopera e mette in atto i propri stratagemmi ritenuti maggiormente funzionali e più in linea coi propri scopi e le proprie consuetudini dell’agire. È dunque assai diffuso semplificare domandando a un oracolo, producendo l’esito di tacitare la propria voce interiore, chiudendosi cioè alla straordinaria possibilità offerta dall’avventura del conoscersi e di espandere il potere del proprio spirito.
Esiste di contro un’alternativa che può caricarci di esplicitare azioni risolutive ed efficaci, ed essa va sotto il nome di mediazione. La mediazione è prima di tutto un concetto, e prima che un mero tecnicismo di procedure, essa è un modo di pensare il rapportarsi al mondo. L’atteggiamento di mediazione consiste nel voler accogliere entrambe le istanze che confliggono, ed intercettarne l’eventuale e relativo valore. Solo dopo aver ascoltato e soppesato tutti gli elementi di vantaggio e svantaggio in ambedue i fattori del conflitto, si può ricorrere ad adottare un procedimento di azione costruttiva. Essa sarà il banco di prova attraverso cui esercitare l’atto di volontà, il quale, oltre a ri-programmare e guidare le prospettive e i piani per la vita, offrirà anche un luogo di confronto per la crescita, perché per ogni cambiamento indotto si ricevono altrettante sollecitazioni e feedback dall’ambiente in cui agiamo. Questo ci permette di rimanere in dinamica e di cogliere la necessità di aprirsi al nuovo e di accettare il cambiamento. Naturalmente, tutto questo potrà essere vissuto con profitto e positività, qualora intendessimo l’adattamento come un movimento attivo, intenzionale e consapevole.
Ma come si può esperire una efficace azione di mediazione, dal punto di vista empirico e pragmatico, affinché non resti soltanto un’idea o una vacua ipotesi senza “copertura”?
Abbiamo a disposizione diverse risorse. Si possono sintetizzare in due categorie: gli strumenti ed i segni.
I primi afferiscono alla possibilità di accedere a mezzi operativi e concreti per risolvere determinati problemi, i quali possono essere già conosciuti oppure necessitare di operazioni di compensazione o completamento grazie all’apporto del pensiero e dell’agire creativo. Gli strumenti, ed i loro eventuali nuovi usi o combinazioni, dovute al contributo della creatività, possono aumentare il margine di progettazione associato ad una scelta da compiere. A più mezzi pratici si può ricorrere, e maggiore potrà essere la possibilità di rilanciare le proprie scommesse ed i propri obiettivi, cercando di soddisfarli con temerarietà, scegliendo di essere vigili, abili e propositivi.
I segni si riferiscono invece alle modalità attraverso cui ci rappresentiamo la realtà creandoci una cornice di significazione, dalla quale dipenderà in gran parte la strategia di approccio al problema. Se gli strumenti sono in relazione alle potenzialità oggettive esterne, in riguardo alla programmazione di un’azione efficace, i segni sono invece connessi ai nostri modelli interni, rendendo conto infatti che l’artificio strumentale non è che una parte della capacità di problem-solving. L’utilizzo appropriato dello strumento deve legarsi all’idea che si ha dello stesso, identificandone cioè scopi e significati, ed attribuendone valore.
Questo sta a significare che ciascuna azione concreta poggia sostanzialmente su un’idea, e che entrambe queste due dimensione sono reciprocamente interconnesse in un rapporto decisamente profondo. Nuovi strumenti implicano la creazione di nuove idee, allargando le ipotesi dell’agire, così come le nuove idee (al tempo stesso madri e figlie dei nuovi strumenti) influenzano la progettazione delle azioni da intraprendere. Questo legame è dunque da considerare reciprocato ed interdipendente, non unilaterale ma biunivoco. Il punto di congiunzione fra i due aspetti può essere identificato nella dimensione creativa e nella volontà, attitudini a cui evidentemente rivolgere una rigorosa ed attenta formazione.
Alla domanda iniziale se il conflitto può generare problem-solving creativo, dunque, è possibile a mio parere rispondere affermativamente, tenendo presente la cura e la conservazione di un prezioso atteggiamento proiettato non solo ad accettare il conflitto, ma a ricercarlo attraverso il dubbio e la riflessione, perché il bivio possa trasformarsi da paralisi al piacere di conoscere e di conoscersi, a sviluppare il gusto indescrivibile a trovare l’ignoto nel noto, a immaginare l’inconsueto nell’ordinario, a condurre l’esplorazione dell’inesplorato.
 

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