ri-scoprire la verità della fiaba


ri-scoprire la verità della fiaba

 

            L'invito a narrare e narrar-si ci viene da qualche tempo riproposto con grande insistenza e non  solo per gestire al meglio e con efficacia l'ambito delle relazioni, in  particolare quelle di aiuto come il counseling, bensì come ri-trovato patrimonio culturale-letterario in grado di facilitare l'apprendimento. Nelle recenti guide MIUR per la programmazione  il recupero della narrazione occupa un posto di rilievo come strategia di insegnamento e di apprendimento, come incentivo alla creatività e all'approfondimento individuale, dalla scuola primaria e per tutto l'iter di studi. Sembrerebbe che si tratti di una novità solo per i docenti di discipline scientifiche e tecniche usi a fondamenti certi e indiscutibili da "trasmettere" agli alunni e non per i docenti di discipline umanistiche, ma, in realtà, siamo di fronte a un mutamento radicale di prospettiva.

 

Chi mai, dopo aver letto la pagine di Proust su come la memoria sia legittimata da odori sapori sensazioni e percezioni indistinte, caotiche, ricorrenti e non controllabili dalla nostra volontà, chi mai ha potuto dubitare che quella pagina abbia un rilievo fondamentale per conoscerci? Mentre Proust narra, la sua esperienza si fa esperienza anche del lettore, di ciascun lettore, ognuno diverso da tutti gli altri e sono proprio le suggestioni, le emozioni che suscita in noi il letterato a farci comprendere intimamente ciò che i cultori e studiosi della psiche pure hanno ripetutamente esplicitato senza tuttavia mai riuscire a suscitare la nostra attenzione. Dunque la narrazione letteraria è riconosciuto strumento di apprendimento di sé e della nostra identità di uomini, ma non solo la letteratura, ogni metafora, il racconto fantastico e la fiaba e ogni costruzione immaginifica hanno questo stesso potere. Persino le bugie che si raccontano quando sono espressione di ciò che vorremmo o della nostra genialità creativa, sono interessanti cartine di tornasole per conoscere e conoscer-si, perché evidenziano concretamente la complessità del nostro vivere, del nostro essere, misto e commisto di realtà e proiezioni, virtuali o meno. Nel mondo multimediale è più che mai essenziale ri-scoprire i nostri desiderata, allertare la nostra sopita creatività che giace stremata sotto i colpi della creatività ...altrui, per poter mantenere una qualche nostra identità, per evitare di essere omologati e risucchiati dalla rete.

            Nel nostro mondo tecnologico e disumanizzante, noi adulti tanto quanto i bimbi abbiamo tutti più che mai necessità di rilucidare le verità della fiaba. Ai bimbi le abbiamo di fatto tolte chissà per quale sconsiderata scelleratezza, o per quale indotto innamoramento -noi adulti- per altri giochi e attività tecnologiche;  abbiamo quasi del tutto privato i bimbi di quei momenti irripetibili e fondamentali per la loro crescita in cui la voce della mamma, del papà, del nonno leggevano con espressività vicende e accadimenti lieti e spaventosi, storielle e storie di personaggi misteriosi e di animali. La fiaba, mondo solo apparentemente fantasioso e irreale, è invece proposta di valori e sapienti strategie per imparare ad essere tra tanti che si accontentano di esistere. Quello della fiaba è un mondo  talmente vero da mostrare in ogni suo angolo la commistione tra Bene e Male che pur opposti sono in grado di produrre identici risultati, un insieme caotico assolutamente destabilizzante, sfuggente ad ogni possibile giudizio e potente nel restituirci ad ogni passo il dubbio. Non è forse esattamente questa la dimensione della vita vera? Godiamo ancora una volta di un dettaglio di una vera fiaba:  

            " Chi non si lasciò mai commuovere dalla bontà del Buono fu la vecchia Sebastiana. Andando per le sue zelanti imprese, il Buono si fermava spesso alla capanna della balia e le faceva visita, sempre gentile e premuroso. E lei ogni volta si metteva a fargli un predicozzo.

Forse per via del suo indistinto amor materno, forse perché la vecchiaia cominciava a offuscarle i pensieri, la balia non faceva gran conto della separazione di Medardo in due metà: sgridava una metà per le malefatte dell’altra, dava all’una consigli che solo l’altra poteva seguire e così via. [...]

 Eh, se sono vecchia mi credi anche ingrullita? Io quando sento raccontare qualche birberia subito capisco se è una delle tue. E dico tra me: giurerei che c’è lo zampino di Medardo...

- Ma sbagliate sempre... !

- Mi sbaglio... Voi giovani dite a noi vecchi che sbagliamo... E voialtri? Tu hai regalato la tua stampella al vecchio Isidoro...

- Sì, quello son stato proprio io...

- E te ne vanti? Gli serviva per bastonare sua moglie, poveretta...

- Lui m’ha detto che non poteva camminare per la gotta

- Faceva finta... E tu subito gli regali la stampella... Ora l’ha rotta sulla schiena di sua moglie e tu giri appoggiandoti a un ramo forcelluto... Sei senza testa, ecco come sei! Sempre così! [...]

Le frequenti visite del Buono a Pratofungo erano dovute, oltre che al suo attaccamento filiale per la balia, al fatto che egli in quel tempo si dedicava a soccorrere i poveri lebbrosi. Immunizzato dal contagio (sempre, pare, per le cure misteriose degli eremiti), girava per il villaggio informandosi minutamente dei bisogni di ciascuno, e non lasciando loro tregua finché non s’era prodigato per loro in tutti i modi.[...]

Però l’intento di mio zio andava più lontano: non s’era proposto di curare solo i corpi dei lebbrosi, ma pure le anime. Ed era sempre in mezzo a loro a far la morale, a ficcare il naso nei loro affari, a scandalizzarsi e a far prediche. I lebbrosi non lo potevano soffrire. I tempi beati e licenziosi di Pratofungo erano finiti. Con questo esile figuro ritto su una gamba sola, nerovestito, cerimonioso e sputasentenze, nessuno poteva fare il piacer suo senz’essere recriminato in piazza suscitando malignità e ripicche. Anche la musica, a furia di sentirsela rimproverare come futile, lasciva e non ispirata a buoni sentimenti venne loro in uggia, e i loro strani strumenti si coprirono di polvere. Le donne lebbrose, senza più quello sfogo di far baldoria, si trovarono a un tratto sole di fronte alla malattia, e passavano le sere piangendo e disperandosi.[...]

Delle due metà è peggio la buona della grama - si cominciava a dire a Pratofungo. Ma non era soltanto tra i lebbrosi che l'ammirazione per il Buono era andata scemando.

- Meno male che la palla di cannone l'ha solo spaccato in due, - dicevano tutti, - se lo faceva in tre pezzi, chissà cosa ancora ci toccava di vedere. Gli ugonotti ora facevano i turni di guardia per proteggersi anche da lui, che ormai aveva perso ogni rispetto verso di loro e veniva a tutte le ore a spiare quanti sacchi vi fossero nei loro granai e a far prediche sui prezzi troppo alti e dopo andava a raccontarlo in giro rovinando i loro commerci. Così passavano i giorni a Terralba, e i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane."

            Da Il Visconte dimezzato, cap IX. 

Un devoto omaggio a Italo Calvino e due propositi: rileggere Daniel Pennac, Come un romanzo per ricordarci il  motivo per cui gli adolescenti non amano la lettura e Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, per apprezzare l'entropia delle fiabe.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi 

Potrebbero interessarti ...