educare è ...condividere


Pedro Paricio,  Dialogue, 2011, Acrylic on linen130 x 162 cm

 

educare è ...condividere

           

            Il ruolo dell'educatore vive, come forse ogni altro ruolo della nostra società, una crisi evidente: al rifiuto quasi naturale e comunque prevedibile di chi è  soggetto/oggetto di educazione, fa specchio da qualche decennio la perplessità dell'educatore stesso a riconoscersi nel ruolo, ad accettare che in quanto educatore ogni gesto, comportamento e la sua personalità costituiscano inevitabilmente punti di riferimento -in positivo o in negativo- per la crescita armonica dell'educando. Educatori, formatori, genitori, docenti e adulti in genere da tempo sono i primi a mettere in discussione il proprio ruolo, a mettere in dubbio la loro competenza ad aiutare le giovani generazioni, soprattutto loro per primi stentano a credere che possano loro indurli a modificare intemperanze e inclinazioni temperamentali, meno che mai siano in grado di guidarli e aiutarli nel cambiamento. I ragazzi e segnatamente gli adolescenti, dal canto loro, sono molto espliciti nel rifiutare non solo la guida, persino ogni sostegno dell'adulto, ogni parola che avvertono come un'invadenza, un attacco alla loro fragilissima autonomia, più ambìta che reale.

 

In totale disaccordo con quanto sembrerebbe o potrebbe essere, numerose e complesse situazioni, oggi hanno acuito la distanza tra gli adulti e le giovani generazioni; le mutate condizioni di vita indotte anche dalla multimedialità, la cultura delle immagini e della realtà virtuale hanno reso ad ogni livello gli adulti attratti e invaghiti del "giovanilismo", del mito della perenne gioventù e non certo per un accresciuto rispetto dei giovani, piuttosto per esplicita strategia della loro -degli adulti, intendo- volontà a continuare a tenere salde le leve e le redini del mondo.

Le relazioni tra adulti e giovani, con ogni evidenza divenute più complesse e inefficaci e per motivazioni non riconducibili a patologie, più che mai oggi necessitano di interventi congrui ed equilibrati, tali da consentire agli uni e agli altri  di comprendersi  vicendevolmente e comprendersi è possibile se e soltanto se si è disposti a rispettare se stessi e l'altro; questo rafforza in noi la convinzione che la figura del counselor costituisca il qualificato aiuto, propriamente formativo/educativo per acquisire consapevolezza di sé e disponibilità al cambiamento, sia per i giovani sia per gli adulti in ambito familiare, scolastico, sociale, lavorativo.

             Ma che cosa rende l'educare un valore irrinunciabile per ogni comunità, che pure si dà norme e regole diverse? che cosa fa dell'educare l'elemento cardine di ogni società degli uomini, quell'energia che fa vivere il presente nutriti dalla tradizione e nel presente intravede e prepara il futuro? Soltanto dalla risposta a queste domande può scaturire per ogni educatore, formatore, per ogni adulto la motivazione e l'energia necessarie per assumersi e gestire il proprio ruolo.

            Oltre la conoscenza, il sapere, la saggezza, l'autorevolezza di saper far uso corretto dell'esperienza, l'intelligenza, l'intuizione ...l'educare è il condividere se stesso da parte di colui che educa con l'educando e dal maestro l'educando apprenderà a condividere sé con l'altro. Una prospettiva dell'educare che solleva immediatamente l'educatore dagli scrupoli continui e assillanti  di non sapere abbastanza, di non sapere tutto quello che dovrebbe o potrebbe conoscere e che non solo è principio fondante della nostra cultura, è principio che torna identico in civiltà altre dalla nostra. Educare è possibile, anche se compito arduo e complesso, ma certo sarà precluso a colui che non sta cercando se stesso e continua a farlo ogni giorno: educare implica l'essere, la consapevolezza della propria identità, l'accettazione dei propri limiti e la disponibilità al cambiamento, non è trasmissione di sapere in primis anche se di sapere e conoscenze l'educatore sarà dispensatore, è soprattutto capacità di proporsi lealmente all'altro pur nella consapevolezza dei propri limiti. 

Ritornare alle voci di chi molto prima di noi ha affrontato il grande compito dell'educare, una voce che, mai sopita, attraverso i secoli ci giunge persino innovativa, è un pieno di energia positiva.

"Io non sono mai stato maestro di nessuno" (Platone, Apologia di Socrate, 33a). Anche e proprio per questa sua peculiarità che lo rende il punto di riferimento della filosofia classica, IL  maestro della civiltà alla quale sentiamo di appartenere, Socrate non  ha lasciato scritti e ricostruiamo la sua figura storica attraverso le opere di Platone, un filtro certamente, ma di preziosa  attendibilità.

Nel Simposio(Platone), ci affascina l'ironia di Socrate riguardo al sapere e a chi presume di essere sapiente «Sarebbe una bella cosa, Agatone, se la sapienza potesse scorrere da chi ne ha di più a chi ne ha di meno, soltanto che ci si mettesse uno vicino all'altro, come l'acqua che attraverso un filtro passa dal bicchiere pieno a quello vuoto. Se anche per la sapienza è così io sarò onoratissimo di starmene al tuo fianco(). E questo è il suo lascito a chi lo segue:

«Non ho nulla di nuovo da dirvi,» rispose, «se non quello che vi ho sempre detto: abbiate cura di voi stessi e così farete cosa gradita a me e a voi, anche se ora non mi dovete promettere nulla; se, invece, vi lascerete andare, se non sarete disposti a seguire, per così dire, le tracce di quanto s'è detto, non solo ora ma anche per il passato, se pure adesso venite a farmi molte e solenni promesse, non concluderete un bel niente.»(Platone, Fedone, LXIV)

Basterebbe soffermarci sul “Conosci te stesso”, scolpito sul frontone del tempio di Delfi e che Socrate adottò come suo, per comprendere come l'educare sia un atto di coraggio e di sincerità da rinnovare di continuo, significhi pervenire all’età della ragione,  per rifiutare ogni falsa certezza, i luoghi comuni e le mode dei più.

Dal mondo e dalla filosofia indiana immagini speculari a queste ci giungono:

Il Maestro non dà conoscenze, condivide il proprio essere.

E il discepolo non è alla ricerca di conoscenze, è alla ricerca dell’essere: è, ma non sa chi è. Vuole riconoscersi, vuole mettersi a nudo davanti a se stesso.

Il Maestro può fare una cosa molto semplice: creare fiducia. Tutto il resto accade. Nel momento in cui il Maestro riesce a creare fiducia, il discepolo abbandona le sue difese, i suoi abiti, ciò che conosce.[...]

Non è una relazione nel tempo, dimora nell’assoluta atemporalità.[...]

Il mio approccio alla vostra crescita è fondamentalmente quello di rendervi indipendenti da me. Ogni tipo di dipendenza è una schiavitù, e la dipendenza spirituale è la peggiore di tutte. Ho fatto ogni sforzo possibile per rendervi consapevoli della vostra individualità, della vostra libertà, della vostra assoluta capacità di crescere senza l’aiuto di nessuno. La crescita è qualcosa di intrinseco al vostro essere. Non viene dall’esterno: non è un imposizione, è uno schiudersi, una rivelazione. (da “The Rajneesh Upanishad”, in http://petali-di-loto.blogspot.it).

            Essere, consapevolezza, fiducia, relazione che va oltre il tempo... Davvero impossibile non entusiasmarsi e solo l'entusiasmo e la convinzione potranno sostenersi ogni giorno tremiamo mentre ci accingiamo a gestire questo arduo compito.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi 

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