SALUTE E BENESSERE. Quando il futuro è nel passato

Inviato da Nuccio Salis

anzianiPromuovere e conservare uno stato di benessere sembra a tutt’oggi l’obiettivo di ciascuno, dal momento che si può osservare come si spenda e si dedichi una copiosa quantità di tempo ad attività legate essenzialmente all’esercizio corporeo e motorio. A tutto questo, inoltre, vi rimane da aggiungere l’interesse per una dieta considerata sana, equilibrata e soprattutto in grado di far raggiungere pesi-forma legati a modelli e prototipi ideali, propinati dai media come costruttori di stili di vita e indirizzi comportamentali.

La cura di sé appare essersi insinuata e diffusa nelle comuni tendenze ed abitudini, vuoi per una moda o per un reale accostamento a principi di conduzione di una vita salutare, tale atteggiamento è certamente riscontrabile nell’organizzazione quotidiana dell’agenda personale di ognuno. Certo, le spinte motivazionali che sollecitano la scelta salutista saranno ben disparate, così come altrettanto variegate risulteranno le molteplici personalità aderenti a un modello di esistenza caratterizzato dalla cura di sé.

Cultori del corpo ossessionati dalla forma fisica, donne che affrontano la patetica “prova costume” come se stessero salendo alla gogna con sottofondo il de profundis; soggetti che avanzando con l’età cercano di non perdere il vigore e la freschezza naturali presenti solo durante la giovinezza, e allora li vedi a mezzanotte col catarifrangente, sotto la pioggia, ad ansimare e trascinare cateteri in salita, maledicendo il tempo che corre. Ed ecco da tutto questo nascere le contraddizioni: certi palestrati si strozzano coi bibitoni dopanti e supposte di steroidi, mentre diverse donne riverseranno il loro stress da superamento della prova costume affogandosi di crepès alla nutella per le altre tre stagioni, e l’improvvisato atleta senile scioglierà il Cialis nel semolino. Non c’è niente da fare, l’essere umano è contraddizione. 

Ma allora io mi chiedo, perché mai l’uomo e la donna occidentali contemporanei devono perdere la salute proprio nel tentativo di recuperarla e guadagnarla? Ovvero, osservando questo ennesimo fenomeno modaiolo del tenersi in forma e in buona salute, mi chiedo se ciò corrisponda realmente a un’autentica spinta interiore, e che ha come traguardo l’appagamento e il benessere prima di tutto nel rapporto con se stessi, oppure se si tratta di un ulteriore modo per sentirsi “in-group”, per allinearsi a tutto ciò che fa tendenza, per la paura di non essere riconosciuti e divenire impopolari o, peggio, ignorati poiché privi del marchio collettivo di identificazione. Un’idea ce l’avrei per la risposta, anche perché se questo fenomeno stesse realmente sancendo un ritorno all’antica saggezza medico-terapeutica, il genere umano si scoprirebbe sempre più capace di slancio vitale e gioia disincantata. Le stime riguardo alle abitudini di vita, invece, contraddicono i dati della moda salutista, in quanto recentemente si annoverano numerose pubblicazioni sul preoccupante aumento di abitudini malsane e dipendenze legate a gioco, droga, rischio ecc.

Ho come l’impressione che, a questo punto, ci si trovi di fronte a una strumentale e cattiva interpretazione del concetto di tutela e promozione della salute, vista magari in termini meramente quantitativi: ovvero si allunga la vita media allo scopo di protrarre il tempo per rovinarsela. Più vivo e più sono libero… di rovinarmi, sembra essere il motto dell’uomo occidentale schiavizzato nella mente dal materialismo utilitarista della contemporaneità, che tutto ha ridotto alla legge dei numeri, delle statistiche e dell’omologazione ad una obbligata mediocrità.

Ma per vivere in salute forse è inutile correre avanti e indietro col fiatone facendosi l’aerosol col monossido di carbonio emesso dai mezzi a motore, e ancor meno vantaggioso, forse, sarà mangiare per un mese soltanto carote e bere the allo zenzero. Nella società dei ritmi di vita disumani e della manipolazione genetica dei cibi, dell’aria, dell’acqua e di quant’altro, come si può promuovere e gestire con serietà e con veri risultati un proprio spazio di salute? Tale argomento, credo, si ridurrebbe fino alla banalizzazione se non legasse l’individuo al suo contesto di vita e di appartenenza socio-culturale. Come può, infatti, un progetto di vita salutare, divincolare l’individuo dall’ambiente nel quale stanzia? Le componenti ambientali saranno pure importanti per facilitare un ragguardevole risultato in merito alla prospettiva del godere di buona salute. Così come altrettanto importanti saranno gli elementi del Sé di ciascuno, la cui visione lucida degli stessi può far propendere alla comprensione di una consapevolezza di sè più matura, in merito a tali decisioni: ovvero, ciascuno abbraccerebbe tale scelta assumendo sempre più coscienza circa le proprie reali possibilità e i propri limiti; aspetto, questo, spesso trascurato, in special modo da incalliti giovanilisti che diventano grottesche caricature della loro fittizia idea di sé, scimmiottando i ragazzi e cercando di eguagliarli nelle prestazioni, pur di non accettare l’idea che il sole prima o poi è destinato al tramonto, anche in quei luoghi dove tange l’orizzonte per sei mesi all’anno.

Questa è una differenza di non poco conto nell’atteggiamento dell’uomo contemporaneo rispetto ai paradigmi ereditati da una filosofia antica, la quale sempre ha collocato la salute dell’individuo in una posizione privilegiata, come area di cui prendersi cura per la vita, interessata a prolungare il più possibile l’avvenenza e la prestanza di un giovane ma, al tempo stesso (e in questo consiste la marcata distinzione fra pensiero antico e tendenza contemporanea), considerando la vecchiezza come un valore, ed il corpo come l’involucro temporaneo e perituro da cui poi l’anima (il vero Sé) si sarebbe librata alla ricerca di altri lidi del metafisico iperuranio. È dal concetto più retrodatato, dunque, che si evince quella saggezza smarrita che riusciva a guardare alla salute non soltanto come negazione della malattia o addirittura come paura della stessa, ma come aspetto integrativo e costituente dell’essere umano, da ritrovarsi nelle risorse più semplici ed accessibili all’esperienza.

Prima c’era il giuramento di Ippocrate, oggi c’è il patto con le case farmaceutiche, che hanno sostituito la grotta di Esculapio, ergendosi a nuovi guru del culto della salute “adesso e subito”, in linea con gli standard di una società che richiede efficienza, prestazione, risultato, successo, sorrisi e cartoni.

Eppure le risorse terapeutiche degli antichi medici erano di facile reperibilità e portata; non vi erano segreti, brevetti, manuali diagnostici o ricercatori sotto il cappello di qualche affarista di fantomatiche malattie. Vi erano invece l’arte (in special modo musica, canto e poesia), la conoscenza, le relazioni interpersonali, il rapporto equilibrato con la natura, dispensatrice di rimedi naturali quali acque termiche, pietre, erbe medicinali. Vi era lo sviluppo della coscienza di sé, la spiritualità e il movimento, nel rispetto delle tappe della vita di un uomo, non forzato ad essere lo stereotipo ridicolo di un puer aeternus, ma magari un venerabile senex, che oggi diventerebbe un veleno chimico da spacciare in tutta legittimità, contro quella condizione del genere umano che prima non era affatto una malattia: la vecchiaia, veniva eretta semmai a ruolo di prestigio e di riconoscimento sociale. Difatti, in una società dove contano la cultura, l’esperienza, la relazione intergenerazionale, la legge e l’educazione, sarebbe possibile guardare ad ogni fase della vita umana come uno stadio di sviluppo permanente. In una società che fonda invece il suo modello culturale nella forza e nell’efficienza in termini di prestanza, allora la vita si allunga soltanto per permettere il business del trattamento medicalizzante.

D’altronde, è proprio nel raffronto fra questi due ultimi modelli, che si comprende la differenza fra la Repubblica di Platone e la Repubblica delle banane.

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