TEORIE E MODELLI DELL’INTELLIGENZA. Gestire la molteplicità e l’unitarietà

Inviato da Nuccio Salis

ragazzo intelligente

Soppiantate le teorie sull’intelligenza come fenomeno monolitico ed autoreferenziale, i modelli succedenti hanno certamente da una parte migliorato le prospettive della conoscenza, d’altro lato hanno anche partecipato inevitabilmente a complicare la spiegazione di suddetto oggetto di studio. Maturando una visione via via più complessa, si sono dovute accettare nuove scommesse epistemologiche, ed accogliere una nuova tipologia di ricerca sull’intelligenza, condotta secondo un paradigma multicomponenziale.  Questo tipo di approccio ha più volte rischiato di illustrare la varietà dei processi cognitivi seguendo criteri di “dominio-specificità”, a tal punto da descrivere il funzionamento di tali processi come indipendenti ed isolati fra loro. Certamente non sono mancati, per fortuna, modelli maggiormente attenti a valorizzare la pluralità delle attività cognitive anche in chiave sinergica ed interdipendente o, più precisamente, connettiva. Ipotesi sostenute da un principio di unitarietà, poi gerarchiche e in seguito ancora multiple, hanno sviluppato feconde occasioni di confronto e di arricchimento teorico, suffragato anche da esperienze in campo sempre più attente nel cogliere la molteplicità dell’individuo, senza per questo mancare anche ad una visione organica ed unitaria.

Non c’è da dimenticare, inoltre, che l’intelligenza risulta sempre più un fenomeno da indagare anche nel suo legame con le componenti affettivo-emozionali della persona, per rendere conto in modo più completo ed esaustivo la natura di un oggetto di ricerca piuttosto complesso e meritevole di continui studi.

L’interesse che vi si dedica nell’ambito psico-pedagogico è fortunatamente notevole, e sembra presentarsi continuamente come una ghiotta opportunità per rendere intelligibili dati e quesiti dapprima privi di risposte.

Dalle 7 intelligenze annoverate da Howard Gardner, alle intelligenze emotiva ed ecologica riportate da Daniel Goleman, al modello dell’intelligenza triarchica postulato da Robert Sternberg, i processi cognitivi conquistano le fatiche degli studiosi delle più svariate discipline, e più conoscenze emergono in merito al tema, più sorprese catturano lo stupore di chi si affaccenda nel tentativo di comprendere queste avvincenti dinamiche.

La tendenza a scomporre sembra attualmente quella prevalente. D’altra parte, lo stesso processo di problem-solving è una strutturazione sequenziale di una procedura finalizzata al raggiungimento di un risultato preposto. Su questa linea sembrano adattarsi i modelli descrittivi contemporanei, forse proprio perché viziati, in un certo senso, da un’attitudine ad utilizzare i procedimenti intellettivi come strategie per ottimizzare l’esito dei propri obiettivi, assicurarsi il successo, aumentare profitti e benefici, ed organizzare per questi scopi azioni che abbiano il massimo del rendimento ed il minimo di sforzo, di rischio e di perdita.

 

Seguendo il modello del già citato Sternberg, per esempio, si evince come egli individui 3 elementi costituenti specifici dell’intelligenza:

_ Metacomponenti: si riferiscono a quei processi che attivano la funzione esecutiva centrale, e grazie alla quale si possono compiere scelte, assumere decisioni, compiere il monitoraggio di tutti i passaggi relativi al proprio progetto di azione volontaria.

_ Componenti di prestazione: ovvero processi che vengono mobilitati nella fase esecutiva e realizzativa di un compito, e sono attinenti con tutte quelle procedure per via delle quali si possono anche elaborare dati e combinare stimoli, confrontarli, codificarli e metterli in relazione con la risposta eseguita.

_ Componenti di acquisizione di conoscenza: che concerne la possibilità di revisionare ed accomodare in nuove strutture i dati in ingresso.

La flessibilità, per l’appunto, è un criterio fondamentale per definire la qualità intellettiva. Aver superato storicamente i concetti della fissità è importante, e lo è altrettanto considerare l’intelligenza come un’espressione di sé che può declinarsi in diverse abilità e competenze, parlando di noi anche in termini di attitudini, stili, atteggiamenti e orientamenti personologici.

L’importante è cercare di comprendere in modo approfondito questa importante dote, sollevandola da definizioni obsolete che la vedevano meramente legata alle capacità logiche ed a improbabili fattori innati e indipendenti dal contesto.

Guardare alla complessità senza frammentarla rappresenta una sfida non facile, dal momento che  il prosieguo degli studi obbliga a spalancare ulteriori domande, in relazione ad un oggetto di ricerca il cui esame richiede la capacità di una visione allargata ed unitaria.

Sistematizzare la conoscenza è un compito più che arduo, soprattutto quando si ha a disposizione una moltitudine di dati di cui bisogna evitarne la dispersione e la disgregazione. Identificare ciò che è diverso e ciò che è comune al tempo stesso, nelle singole parti in relazioni fra loro, si potrà rivelare una efficace chiave di lettura tale da poter dare chiarezza a numerosi aspetti molto spesso controversi e di non facile soluzione.

D’altra parte, in questa sfida, l’intelligenza assume se stessa come fenomeno di indagine, ed è chiamata pertanto a misurare proprio la sua capacità di autoanalisi e di visione il più possibile oggettiva di sé.

Per tutti coloro che sono impegnati dentro questo percorso di conoscenza, ciò dovrebbe rappresentare un’impresa di elevato valore e spessore scientifico.

Potrebbero interessarti ...