Il beneficio della preoccupazione


target 2014

È tempo di budget, è tempo di obiettivi.

In questo periodo, chi ancora non lo ha fatto sta chiudendo i conti dell’anno trascorso e impostando i forecast per quello appena cominciato. Che poi, bisognerebbe parlare di speranze, o di auspici, più che di previsioni, in molti casi. È tempo di preoccuparsi, almeno, molte persone che conosco, imprenditori, dirigenti, professionisti incluso me stessa … in questo periodo si preoccupano. A inizio anno raramente abbiamo un portafoglio commesse di tutta sicurezza, abbiamo magari contatti, preventivi in sospeso, qualche ordine, ma spesso ben poca visibilità su dove si andrà a parare, avremo lavoro, fatturato, margine, boh. Riusciremo a farci pagare, ah chissà. E chi ha davanti cinque sei mesi di lavoro acquisito è un privilegiato, alla faccia dei budget annuali, o dei piani industriali triennali. Obiettivi e preoccupazione. Obiettivi perché ci servono, ci serve mirare un bersaglio, avere una finalità. E far tornare i conti, possibilmente. E preoccupazione, che secondo me è benefica, se ben gestita.

 

 

Intanto, un ripassino, giusto qualche flash.

Un obiettivo è tale se misurabile, e misurato, altrimenti come detto è … un auspicio. E quindi occorre una unità di misura, una espressione quantitativa, che rappresenti il traguardo e consenta di misurare i progressi intermedi. Se una unità di misura non c’è, occorre inventarla.

Gli esseri umani hanno bisogno di obiettivi, i capi bravi lo sanno e trovano il modo di evidenziare la partenza, il percorso e le tappe, e il risultato, che festeggiano per poi ripartire. Altrimenti, il lavoro diventa una sequenza di giornate tutte uguali di cui non si vede la fine, e questo non è granché motivante, per dirla con un eufemismo. Va da sé che in alcuni lavori o ruoli è facilissimo individuare obiettivi, in altri occorre un po’ di creatività.

Non esistono solo obiettivi legati al business, o alle attività ed ai ruoli, esistono anche obiettivi comportamentali, piste di miglioramento personale che è importante concordare con i collaboratori. Mentre su quello che riguarda il business i collaboratori non hanno influenza totale, molte variabili sfuggono al loro ed al nostro controllo, il miglioramento personale è un ambito che dipende dalla persona, appunto, e per questo risulta spesso più motivante. Inoltre, l’obiettivo comportamentale aiuta l’obiettivo prestazionale, o di business. Un esempio: obiettivo di business à recupero 50% crediti dell’anno scorso entro i prossimi tre mesi, obiettivo di miglioramento personale à acquisire la capacità di gestire una conversazione conflittuale. Anche in questo caso serve una misurazione, ad esempio una mappatura delle telefonate di lamentele e reclami con il relativo esito, nell’arco di tre mesi. Va senza dire che i capi hanno da dare l’esempio, spingendo se stessi ad un miglioramento personale su tematiche di loro pertinenza.

Ora è il momento di chiarire alle persone gli obiettivi, a partire da noi stessi, sia di business che comportamentali, è il momento di impostare i sistemi di misurazione se già non esistono e di incitare tutti verso il risultato atteso.

 

E qui entra in gioco la preoccupazione, a mio parere. Non occorre il dizionario etimologico per accorgerci che il termine pre-occupare è un composto, occupare prima. Quando siamo preoccupati in effetti la nostra mente è ingombrata da una anticipazione sfavorevole, ci prefiguriamo, un altro pre, un evento o un esito insoddisfacente o negativo. La mente preoccupata ritorna, rigira, può farci perdere la concentrazione sul presente, influire sul sonno, sull’umore, sull’appetito, e oltre. Il teatro della nostra immaginazione occupato da fantasie poco o tanto tormentose, prende il sopravvento. Per un po’, o per lunghi periodi, a tratti o continuamente.

E quindi, che c’è di benefico? A me non piace preoccuparmi, la dimensione presente mi appartiene di più, mentre questa proiezione spiacevole in un futuro poco roseo mi disturba. Vorrei evitare di preoccuparmi, sul lavoro e non solo, vorrei evitare l’impiego dispersivo di energie che questo sentimento comporta. E non penso di essere la sola, forse in tanti vorremmo imparare a vivere alla giornata, goderci il momento presente e smetterla di angosciarci per un futuro che non conosciamo.

Allora secondo me è una questione di soglie.

Certo, se superiamo soglie di intensità e durata, la preoccupazione deborda verso l’ansia o l’angoscia ed è inutile, paralizzante o peggio.

Ma entro una certa soglia, la preoccupazione ci attiva. Il tormento interno, il rigirarci nella mente è un carburante, se non ci ossessiona. La preoccupazione, come l’insoddisfazione, sono utili per spingerci verso l’obiettivo. Chi non si preoccupa, perché dovrebbe darsi da fare?

 

Allora secondo me ci sono alcune capacità importanti da coltivare. Ne elenco qualcuna.

Saper dare spazio alla propria preoccupazione, e saperla anche contenere. Non solo perché gli eventi esterni ci tranquillizzano (le commesse arrivano, il lavoro viene fatto, il fatturato cresce, eccetera), ma prima di tutto come azione nostra interna, come nostra capacità di calmarci, a un certo punto.

Saper attendere. I risultati arrivano, se arrivano, spesso dopo un lavoro lungo, paziente e determinato.

Saper far coesistere una certa dose di preoccupazione, che ci dà la spinta verso il futuro, con la capacità di costruire e godere il momento presente, in modo che l’ansia non occupi tutto il qui e ora.

Saper comunicare la preoccupazione, ai colleghi, ai collaboratori, perché la facciano propria, senza mandarli in ansia, e cioè comunicando contemporaneamente fiducia. Saper comunicare insieme insoddisfazione e motivazione.

Saper prenderci cura di noi stessi nel percorso, nutrire il corpo e la mente. Ad esempio, riposandoci ogni tanto, sapendo come divertirci quando è possibile, cambiando ogni tanto il focus.

 

Dunque, qui il counseling mi pare molto centrato. Sul miglioramento individuale, sull’obiettivo comportamentale il counseling lavora per ammorbidire gli schemi limitanti, per rimuovere o diminuire gli ostacoli interni. Sullo sviluppo di capacità come quelle elencate, sullo sviluppo di equilibrio emotivo e sull’impiego funzionale delle proprie emozioni, il counseling aziendale mi pare proprio un buono strumento.

E una equilibrata preoccupazione serve anche a noi counselor, questo può essere un buon obiettivo personale, in questa fase è il mio. 

 

Poi, monitoraggio costante e inventiva, perché quei benedetti risultati si avvicinino di un po’ ogni giorno.

Buon 2014! 

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