Counseling fra standardizzazione e intuito

Inviato da Nuccio Salis

griglia umanaAvere a disposizione modelli di valutazione di certa e rassicurante attendibilità, nell'ambito del trattamento dell'aiuto, costituisce da sempre una costante storica nella ricerca di gran parte della psicologia. Avvalersi di griglie strutturate in grado di incasellare un fenomeno, incorniciandolo con una inconfutabile precisione diagnostica, è il leit-motiv che ha condotto gran parte delle teorie sulla personalità a sviluppare strumenti di controllo finalizzati a misurare stili, tendenze e caratteristiche di un profilo identitario, a stimarne una collocazione all'interno di un corollario nosologico a cui appellarsi con indubbia oggettività. Questo sforzo, decisamente apprezzabile, ha prodotto numerosi e soprattutto interessanti paradigmi di ricerca nonché rispettivi studi, teorie e documenti che continuano a sollecitare ancora oggi riflessioni ed approfondimenti sulle componenti della personalità umana.

Tale tema riempie forse le migliori e più stimolanti pagine della ricerca in psicologia, poiché trova numerose declinazioni e soprattutto contaminazioni comparative all'interno della miriade di orientamenti e scuole.

Poter contare su strutture dall'incontrovertibile capacità di lettura sulla dimensione nascosta e inesplorata dell' "altro da me",  è forse un pò il sogno nascosto (ma anche palese) di tutti coloro che desiderano comprendere con impeccabile perfezione ciò che si cela nelle profondità della mente altrui, o ciò che non è rivelato fra i meandri dei vissuti soggettivi e dell'esperienza personale.

Questo impegno sembra proprio la caccia al Santo Graal da parte della psicologia scientifica. Ma se un tale approccio fosse veramente realizzabile, quali sarebbero in fondo, mi chiedo, i vantaggi e insieme gli svantaggi di una siffatta procedura? Ricorrere a un'istantanea sicura, ineccepibilmente veritiera senza sfumatura alcuna di perplessità e antitesi, da una parte ridurrebbe o perfino, idealmente, azzererebbe certamente il rischio di un errore di valutazione, con la conseguenza di poter cominciare presto il trattamento, guadagnando tempo, stabilendo e costruendo da subito il percorso ritenuto più idoneo per il benessere del cliente. D'altra parte, cosa non poco trascurabile, ciò annullerebbe il senso di una relazione esplorativa fra operatore dell'aiuto ed appellante. Usufruendo infatti di  un preciso ed infallibile lettore del mondo altrui, sarebbe approssimativamente inutile stabilire un confronto diretto a generare un'alleanza fra le parti coinvolte. Sarebbero soprattutto lo strumento del colloquio e della direzione verso la ricerca di senso, a farne le maggiori spese. Aggiungo che ciò, inoltre, non farebbe che esautorare la stessa figura del consulente dell'aiuto a taglio umanistico. Ridotto a mero compilatore di cartelle, egli svilirebbe i principi medesimi del suo intervento, appiattendosi in un ruolo caricaturale di un burocrate azzeccagarbugli.

Ma per fortuna, il sogno psicometrico di una certa fantapsicologia ha fallito. Il tentativo di fruire di un processo diagnostico standardizzato privo di margini di errore è decisamente sfumato. Ciò ha salvato la psicologia da un suo definitivo assorbimento dentro l'area medico-psichiatrica, conservandone invece una sua logica epistemica e statutaria.

In questo senso, la ricerca di definizioni rintracciabili da modelli propri, si può sempre mostrare nella sua sfaccettatura più rischiosa. L'affannosa ricerca di un riconoscimento di scientificità, concettualmente definito secondo l'orientamento materialistico-positivista della scienza, rischia di portare l'esperienza peculiare del rapporto dell'aiuto al di fuori della sua specificità, privandolo proprio di ciò che lo rende efficace e accattivante: cioè il suo disinvolto rapporto con l'altrove, la sua naturale semplicità nel rivolgere il suo interesse e la sua ricerca anche a ciò che non sempre può essere riportato nell'orizzonte di una spiegazione causale.

Se un giorno anche il counseling, come ha fatto la psicologia, si mettesse a rincorrere la medaglietta di autorevolezza scientifica, piegandosi ai canoni limitanti imposti dalla cultura scientifica dominante, sarà la fine del counseling. E lì si che perderà credibilità, proprio perché potrebbe collezionare rovinosi scivoloni di lombrosiana memoria.

Tutto questo, al tempo stesso, non significa che il counseling sia un'approccio alla portata di tutti  in cui vigono ingenuo buon senso e improvvisazione. Condurre una relazione di sostegno è infatti una grande prova di pragmatismo ed attenzione oculata, per la quale occorre studio, esperienza e formazione continua.

In questo, il counseling si propone con la sua matura dose di scientificità, con la particolarità di vivere la stessa accettando l'imponderabile e l'ignoto, cogliendone la ricchezza e la completezza in merito al grande mistero dell'essere umano. Il counseling ammette l'insondabile, e per questa ragione non è interessato a sviscerare l'esperienza datata della persona di cui ci si prende cura. Al tempo stesso, amo ribadire, il counseling si avvale comunque di risorse operative che tendono alla verifica e all'accertamento dei dati, ricercandone ordine, congruenza e ipotesi ri-costruttive esistenziali, partendo dagli stessi.

La matrice filosofica del counseling, di fatto, rifugge da un'eccessiva standardizzazione ispettiva, poiché il focus ricade sulla complessità, senza estreme ipersemplificazioni e riduzionismi. In questo modo si possono cogliere globalità e dinamicità del fenomeno, evitando di irrigidirsi secondo schemi consequenziali, creandosi false aspettative e cadendo in un retrivo determinismo.

Il counselor, dunque, nel suo intervento, pur senza rinunciare al tentativo di una visione constatativa di ciò che accade all'interno del setting, non si affranca dalle sue percezioni intuitive, perché ha imparato a coglierle e ad accettarle, sottoponendole poi alla validazione obiettiva dovuta al riscontro con la realtà. Dunque, la differenza sta nell'atteggiamento da rivolgere a ciò che si sente, ovvero al tentativo di fare della propria interiorità un valido termometro personale per autovalutarsi e concepirsi nella relazione.

Ciò, oltre a non togliere scientificità al counseling, lo inquadra all'interno di un percorso in cui si fa non soltanto strumento che offre sussidio di natura motivazionale ed esistenziale, ma riesce anche a proporsi come un autentico processo di modellamento dell'interlocutore, perché il potente messaggio che inviamo riguarda il diritto e la possibilità di esperire emozioni, e di viverle non come un intralcio contaminante, ma come elementi esperienziali da tradurre in parole e corrispettive azioni. E forse è proprio ciò che facilita infine la promozione di alleanza fra counselor e cliente e, dunque, un pensabile e proponibile itinerario di cambiamento e crescita.

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