SOCIETA’ CONTEMPORANEA E DISAGIO ESISTENZIALE: il valore ri-educativo del NO !

Inviato da Nuccio Salis

noC’è un espressione alla quale mi rivolgo con grande attenzione, nell’ambito dei concetti del trattamento educativo: si tratta del termine “contenimento amorevole”. Mi richiama una costellazione di significati inerenti alla modalità più efficace nel campo dell’intervento educativo, che di solito viene individuata all’interno di una discussione sulla scelta dei modelli pedagogici da promuovere.
Durante i miei corsi, invito spesso i partecipanti a discutere su un grafico cartesiano nel quale si incrociano le variabili dell’affettività e del controllo, e l’incontro fra i valori medi del controllo e quelli medio alti dell’affettività sembrano proprio suggerire un approccio operativo completo, nel senso che viene eletto come modello edificante ai fini di un sano percorso di guida e di accompagnamento alla crescita ed alla maturità. Viene cioè a configurarsi come una possibile tipologia operativa, pertinente all’area dei bisogni di un individuo instradato verso un percorso evolutivo.
L’ipotesi di una guida autorevole viene intesa, in termini pragmatici, come uno strumento efficiente in grado di esperire sostegno mediante un incrocio fra la dimensione legata alla cura della relazione e dell’affettività, insieme a quella rappresentata dal controllo e dalla normatività. Insomma: nurturing e monitoring, ovvero due processi assolutamente congiunti e compatibili, che se gestiti con equilibrio e congruenza, ci offrono la straordinaria possibilità di proporci come guide autorevoli in grado di comunicare fermezza e supporto comprensivo al tempo stesso.
Purtroppo, l’equivoco ingenuo prodotto dalla generazione sessantottina, che ha confuso la libertà educativa con il lassaiz-faire, distorcendo la proposta di una pedagogia liberale che mai ha pensato di evirare e disgiungere il concetto di responsabilità da quello della libertà, ha creato le premesse storiche dell’attuale società, impiantata sull’anomia, il nichilismo e la follia degenerativa del materialismo. Gli adulti si sono sollevati da ogni responsabilità educativa, senza fra l’altro essere disponibili a riconoscerla in altre figure, poiché da una parte non assolvono nessuna funzione educativa e dall’altra se ne guardano bene di ammettere a loro stessi questa incompetenza e questa totale incuria rivolta ai bisogni educativi dei giovani.

Questa discrepanza è un segno di malessere esistenziale profondo. Noi adulti abbiamo fallito, ma non vogliamo dircelo, ed allora ci distraiamo, comprendendo che l’impegno educativo richiede una gloriosa e sanguinosa battaglia contro una società che tanto è più forte nel tirare la fune. Abbiamo rinunciato ad educare, e non sappiamo più dire di No, perché in una società dominata dal modello consumistico del mercato, dove la nuova religione del dio denaro condanna il peccatore che non si etichetta coi loghi omologanti, il No paventa scenari discriminatori, di non accettazione e di impopolarità per chi non si ammanta delle mode (sia esteriori che interiori) imposte dai persuasori del consenso, professionisti della manipolazione della collettività “pensante”.
Il No è invece un farmaco molto potente che rivendica il proprio diritto all’individualità. Il vero antidoto al pericolo di una simbiosi indifferenziata che si può attualmente osservare nei comportamenti, negli stili di vita, negli orientamenti personali, nelle scelte, nei gusti e nelle preferenze. La collettività informe è plasmata come in una sorta di brodo primordiale, che fa da contenitore di un ammasso di fragilità negate, dentro cui il senso di vulnerabilità sperimentato da un giovane è deriso e sottaciuto da una implicita spinta all’essere forti, e sempre all’altezza. Vietato essere timidi, vietato essere poeti.

Accordato, invece, essere gli yes-men di un grande ingranaggio che tritura e che spersonalizza con l’inganno, allontanando ciascuno dal progetto esistenziale di ciascun essere umano: diventare autenticamente se stesso. Il fallimento di tale missione è il vero apripista a quel profondo disagio esistenziale che ormai pervade la vita della stragrande maggioranza dei giovanissimi, che si trascinano dentro una vita svuotata di ogni obiettivo, di ogni progettualità e di ogni direzione di senso. Vivere diventa aspettare l’ultimo suono della campanella a scuola, far passare il tempo buttati a devastare le panchine, insudiciandole di hamburger e coca-cola. Vivere diventa pestare un coetaneo per divertimento, torturare un animale domestico, violentare una compagna di banco, perdersi nello sballo per anestetizzarsi da un lancinante dolore esistenziale a cui non si riesce a dare un nome e una spiegazione; vivere diventa provare la nausea sartriana della vita, senza però trovarci nulla di poetico.

Nemmeno la tecnologia, coi suoi oggetti transazionali progettati per compensare le frustrazioni affettive sia giovani che meno giovani, riesce a compensare questo malessere, soprattutto dal momento che il suo scopo non è più quello di facilitare e semplificare la pragmaticità della vita, quanto di creare simboli che forgino identità spersonalizzanti. Di fronte a tutto questo, un importante ed irrinunciabile ingrediente diventa un sano, liberatorio ed assertivo No!
Il coraggio di dire No, di fronte alle fittizie seduzioni del Sistema, comporta rinunce, responsabilità e sacrifici, parole non più presenti nel vocabolario e negli atteggiamenti degli adulti deputati a un ruolo educativo. La resa degli adulti e la loro abdicazione a una doverosa funzione pedagogica, fa mancare il modellamento ed il rinforzo a quella innata tendenza al differenziarsi, che nasce proprio con un bel rudimentale ma efficace No!

Il No è questo magico monosillabo che un bambino che si appresta al compimento del suo secondo anno di vita impara a pronunciare, in un motto non consapevole di differenziazione, insieme al quale, infatti, si sviluppa e si costruisce il senso dell’Io e quindi anche della relazione con l’alterità. L’analisi qualitativa sul linguaggio di un bambino verte a mettere in evidenza la presenza del No, in quanto, come ci ha insegnato lo psicologo Renè Spitz, esso è uno dei tre regolatori dello sviluppo infantile. Il No ha dunque un valore comunicazionale decisamente rilevante, e predispone successive e più mature strutturazioni che diventano poi gli elementi fondativi dell’individuazione, ovvero il prosieguo della propria missione verso il raggiungimento e l’espressione del vero Sé.

Ma in una società che promuove disvalori come la ricchezza materiale e l’identificazione nei loghi e negli status-symbol, il No diventa una parola tabù, perché se l’idea di felicità è propagandata con l’inganno dalla spinta consumistica e dall’adesione a una scala di bisogni non necessari, dire No equivale a mettersi da parte, a subire l’onta del rifiuto ed a ricevere un belato di disapprovazione. Per fortuna, ora, grazie a questa benedetta crisi, che ci obbliga a limitare i consumi, le nascite e i matrimoni, possiamo ricevere una scoppola risvegliante che magari ci scuote dall’ipnosi, come una bella secchiata d’acqua fredda che ci porta via le bende dagli occhi. Bisogna però re-imparare a dire No, e quindi i genitori dovrebbero dirlo ai loro figli, nei momenti certamente più opportuni, quando serve, dove serve, e soprattutto motivando perché serve, e in ciascun caso dimostrandolo.

A scanso di equivoci chiarisco che non mi sto riferendo ad un No gratuitamente oppositivo, ma ad un’azione educativa appropriata che si accompagna a motivazioni e funzioni che infatti riporterò ed argomenterò qui di seguito:
_ PROTEZIONE: il No funzionale, prima di tutto, protegge in toto l’individuo. Il contenimento protettivo del No offre messaggi di discernimento molto chiaro e preciso. Non è sempre vero che per sbagliare bisogna imparare. Bucarsi in endovena per dimostrarsi che fa male non mi ritorna, come concetto dell’apprendimento. Comprenderlo prima, perché delle figure genitoriali autorevoli ti hanno insegnato che non tutto è relativo, ma esistono per fortuna anche certezze, è un sano modo per evitare un irreparabile danno.
_ CERTEZZA: Il No genera una sicura linea di demarcazione fra lecito e non lecito, offrendo risposte ferme e non equivoche. La certezza è un diritto e una richiesta (implicita ed esplicita) che si manifesta continuamente nei giovanissimi. Negare loro tale diritto, riparando la propria inefficacia educativa dietro una maschera di falsa libertà, significa destinare i giovani ad acquisire il disprezzo per la vita ed incitarli a ricercarsi emozioni in percorsi deliberatamente turbolenti e fuori dal limite.
_ VALORI: Il No invita a guardare inevitabilmente dentro un orizzonte di valori, soprattutto se la fonte che lo emette è autorevole, non impositiva, ma affascina per la sua proposta di vita.
_ ORIENTAMENTO: Il No, specie se motivato, indica un percorso alternativo, quindi spalanca al momento opportuno occasioni di vita che richiama se stessa e si autoalimenta. Il No posto di fronte a un’opzione obiettivamente deleteria, può indurre a riflettere, ad ammettere nuove e più complesse visioni delle cose, abbandonando bisogni immaturi e tendenze allineanti nella mediocrità.
_ SENSO: Se esiste un No, un motivo ci sarà. Se tale motivo lo si conosce, ancora meglio. Trasmettendo per mezzo del No valori e orientamento, si sta donando in pratica un orizzonte di senso. Il No, quando è aperto comunque al confronto, offre una direzione, una meta, spiega, interpreta, sollecita ed amplia capacità dialogiche e di introspezione.
_ LIMITE: Quando si dice No, si modella su un possibile atteggiamento. Si sta dando il messaggio che a volte è davvero necessario ricorrere ad un No, per evitare a se stessi di perdere l’autocontrollo e di regolarsi a tal punto da finire in situazioni di rischio, di un travalicare una zona oltre la quale si sconfina nel pericolo, nell’illegalità, nell’azzardo più pernicioso ed invischiante.
_ RESPONSABILITA’: Una delle parole chiave di ogni processo educativo, forse la più alta finalità, l’apoteosi del traguardo educativo, poiché rappresenta un processo di crescita in divenire. Il No fa volgere lo sguardo verso ciò che è possibile o doveroso svolgere, per migliorare la qualità della propria e dell’altrui vita, quindi giocando il concetto di responsabilità dentro una prospettiva ecologica.

Infine, solo chi si sente dire dei No, congruenti per contenuto, temporalità ed efficacia comunicativa, può crescere sviluppando armoniosamente tutte quelle componenti che attendono di essere soddisfatte all’interno di un contenitore sicuro, protettivo, che è proprio dell’espressione che fa capo al contenimento amorevole, nel dolce equilibrio fra amore e regole, affettività e controllo, carezze e disciplina; dentro un quadro pedagogico che riconquista la sua reale proposta scientifica, non più travisata, mi augurerei, da stucchevoli malintesi di natura ideologica o politica.
Soltanto riappropriando la pedagogia della sua funzione divulgativa, infatti, è possibile evitare sulla stessa una lettura colorata di una qualche faziosa tonalità, che sarebbe impropria ed evidentemente accecata da preconcetti, malafede e disordine concettuale personale.
 

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