SUPERFICIAL MIND E DEEP MIND: interfaccia di un processo integrato

Inviato da Nuccio Salis

menteSiamo spesso abituati a parlare o sentir parlare di mente. Essa è descritta in termini unitari e omogenei, e così dovrebbe certamente essere intesa, a patto che si approfondisca sulla necessità di concepirla nella complessità. La mente è infatti un sistema interdipendente di funzioni, schemi e modelli che si attivano per creare un processo unico. Appropriarsi di un paradigma di conoscenza che la vede come un insieme funzionale di luoghi e dimensioni interdipendenti, può aiutarci a concepirne la sua teorica struttura come un insieme dinamico che può favorirci nel capire quale parte stiamo usando e al tempo stesso, quindi, non usando; comprendendo così dentro quale orizzonte di limiti ed illusioni siamo incamminati.
Quindi, pur rimanendo all’interno di un’ottica olistica, andiamo a descrivere in linea del tutto schematica, le due principali sfere della mente: la mente di superficie e la mente profonda. Che secondo altri linguaggi di altre tradizioni spirituali vengono rispettivamente chiamate Piccola Mente e Grande Mente.
Cosa sono e come interagiscono fra loro?


Iniziamo col conoscere la mente di superficie (SM). Una delle sue caratteristiche principali consiste nella capacità di attivare un dialogo interno, il quale, dentro la cornice del concetto di “piccola mente” consisterebbe in un soliloquio interiore di discorsi sul futile, includenti tutti quelle argomentazioni distraenti e ammorbanti, non corrispondenti alla verità interiore e che ci appiccicano all’immagine del falso Sé che ci siamo costruiti.  Il dialogo interno produce idee povere di novità e creatività (es: le vacanze, lo shopping, la finale di campionato ecc.); esso si basa su strutture di convinzioni, associazioni mnemoniche e ricordi, proiezioni intrise di una radicale soggettività che non ammette alternative ipotesi.
Spesso, la maggior parte delle idee mediante le quali ci autoconvinciamo della loro natura logica, della loro obiettiva giustezza e coerenza, altro non sono che il prodotto di contaminazioni del pensiero dovute  alle modalità pregresse nell’intendere e rappresentarci la vita, i valori, il rapporto con gli altri. Oltre all’annebbiamento del pensiero, la SM viene quasi sempre nutrita emozionalmente da tutto ciò che non aiuta a modificare la forma del pensiero contaminato, dunque, una serie di emozioni quali: rabbia, odio, violenza, rancore, afflizione, dramma, dolore, invidia, paura, attaccamento e dipendenza, favoriranno l’ identificazione inconsapevole con un ruolo sociale (Salvatore, Vittima, Persecutore) che avrà la precisa consegna di offuscare l’essenza genuina della nostra unicità.
Tutto questo funge da alimentazione per una sorta di entità interiore parassita che chiamerò “finto ego”. La creazione di un mondo irreale, frutto della propria soggettività inquinata, sarà la conseguenza dell’attività di disturbo di tale sanguisuga psico-emozionale.
Eppure non è che la SM sia un errore di natura, tuttaltro, è semmai la visione dualistica che ci ha condotti a delegarle funzioni che non è in grado, da sola, di sostenere.
Cammineremo con una gamba sola se ci funzionano entrambe? Guarderemo il mondo con un solo occhio se li abbiamo entrambi sani?... e via dicendo; eppure, con la mente facciamo così. Ne abbiamo due, e ne utilizziamo una soltanto. Il fatto di considerarci evoluti è la prova di come eviriamo la nostra vera natura.
La SM dovrebbe dunque sostenere la Deep Mind (DM), perché essa consente l’attivazione di importanti processi quali accesso e codifica dati mediante attività simbolica: letto-scrittura, calcolo, fruizione iconica.
I problemi nascono quando la SM cerca di sostituirsi alla DM, interpretando le informazioni di realtà. Non limitandosi cioè soltanto a raccoglierle. Perde in pratica la sua neutralità. I transazionalisti parlerebbero a proposito di Adulto contaminato. Quello che accadrebbe, cioè, consisterebbe nella perdita funzionale della SM, che invece di osservare con sospensione dello sguardo i dati di realtà, comincerebbe a
trasformarli mediante processi associativi;ovvero, prende un informazione e cerca nel suo archivio di esperienze pregresse elementi di contiguità o somiglianza all’informazione in ingresso, se vi trova similitudini sigilla col bollo di “noto” ciò di cui fa esperienza, dandogli un nome, un’impressione e avanzando aspettative e ogni genere di suggestioni e ipotesi condizionate dalla nomenclatura assegnata. (es. la ragazza che mi ha lasciato aveva gli occhi neri. Incontro una ragazza con gli occhi neri: mi lascerà). Se il dato non viene associato all’esperienza pregressa allora si verifica la destabilizzazione o rottura dell’equilibrio del beliefe system. Dunque: questa cosa non può essere vera (rifiuto e negazione), se si comprende che è possibile o verosimile ma urta il proprio sistema di bisogni e convinzioni, può essere dimenticato e messo in stand-by. Se il dato non è ritenuto minaccioso per il proprio equilibrio interno allora si ha accettazione. Essa però difficilmente è totale e rivoluzionaria, quindi per non scuotere totalmente l’interiorità, l’informazione viene manipolata ed “aggiustata” per farla convivere nel proprio luogo di credenze interiorizzate.
Essa in pratica, potrebbe non vedere ciò che non conosce, le cose con cui non vorrebbe avere a che fare. Se usassimo soltanto la nostra mente di superficie (SM), avremmo una “visione cieca” del mondo.
La pressione conformista alla quale siamo schiacciati e diretti fin dalla venuta al mondo, ha oscurato la nostra visione profonda, e ci ha fatti identificare dentro un modello di realtà in cui l’illusione e la relatività sono scambiati per assoluto e per dati oggettivi ed incontestabili. È la vittoria del velo di Maya.
Ciò disintegra l’essere umano anche sul piano emozionale, rendendolo incapace di leggere in modo sintonico le sue emozioni coi suoi bisogni, ed esse infatti lo travolgeranno dentro un flusso che lo disorienteranno, facendone una sorta di naufrago perduto in un mare di mille voci interiori che lo depisteranno senza una precisa direzione. In tale condizione, l’uomo perde la capacità di autogovernarsi. È il momento in cui è propenso a sottomettersi, a ricercare e riconoscere un leader, proprio come fa una qualunque personalità immatura e nutrita dalla paura.
L’uomo si identifica ora col “falso se”, e vive nella matrix. I transazionalisti parlerebbero di copione. Il Sé, però, essendo una struttura multipla, vedrà l’individuo frantumarsi in una moltitudine di falsi Sè, cioè di varie strutture dinamiche non corrispondenti alla nostra vera natura. Essi, agendo in modo dispersivo e frammentato produrranno in noi comportamenti incongruenti, facendoci sperimentare sentimenti egodistonici, proiettando al di fuori la responsabilità di tale carico di disagio e malessere, facendoci altalenare da un bisogno ad un altro, da un’emozione ad un’altra, senza costanza, senza un senso, senza uno scopo.
Ecco i modus operandi della SM:
- Insalata di pensieri confusi e negativi.
- Giudizio morale (sugli altri e su di se)
- Boicottamento interno (del flusso di idee, pensieri, ispirazioni creative ed emozioni improntate sulla gioia)
- Ignoranza dell’attivazione (deresponsabilizzazione e delega… “ma tanto”…)
Per una regola di circolo vizioso, la SM autoalimenta tali processi che la alimentano. Si tratta di un’automanipolazione che ci lega alla stereotipia e alla ripetizione di abitudini, sfalsando il pensiero e la percezione, castrando la nostra vera natura e la nostra autentica essenza. La vita diventa di conseguenza dolore e disagio. I comportamenti diventano dipendenti da emozioni tossiche. Di fatto perdiamo il controllo di noi stessi e ci vestiamo di abiti che non ci appartengono.
La SM attingerà dal sistema delle convinzioni elementi utili per giustificare la sua struttura vitale.
Sembra incredibile, ma l’uomo usa il massimo della sua creatività quando deve convincersi sul perché siano preferibili le tenebre alla luce!
Congetture e rappresentazioni interne della realtà costruiranno la stessa sulla base delle nostre soggettività. L’ego si ammanterà a tal punto di una serie di identificazioni in modo così fermo, tale da fondersi con le stesse. E così l’unico modo per guardarci, osservarci e descriverci, rimane uno sguardo abbagliato da strutture quali il ruolo, il reddito lavorativo, lo status, l’involucro corporeo ecc. in pratica, quando diciamo “io sono” aggiungendovi uno di questi elementi, stiamo offuscando il nostro stesso “io sono”, e proprio in quel momento,  pur verbalizzandolo, smettiamo di essere nel pieno senso del termine, facendo invece abitare la nostra manifestazione vitale all’interno del contenitore ingannatore che chiamiamo realtà. “Io sono educatore” è quindi un’affermazione che equivale ad accostare il carattere eterno dell’Io a un involucro fraudolento e relativo che descrive un abito finito dell’ “Io sono”. Nessuno è un mestiere! Il mestiere lo si fa, e lo si diventa, quindi non coincide con l’essere. Nella nostra civiltà materialista, ovviamente, è molto facile invece sovrapporre l’essenza dell’essere alla sua visibile o presentabile manifestazione di superficie. Inconsapevoli e pressappochisti quali siamo, per comodità, approssimazione e linguaggio condiviso, usiamo infatti dire “Io sono” seguito da una professione, e il che è una beffarda contraddizione.
L’ “Io sono” non ha bisogno di orpelli ed involucri di superficie indotti dalla società della materia.
Allora quale tentativo solutorio possiamo adottare per allacciare le due menti in un contatto organico e reciprocamente sincronico?
La prima cosa che mi viene in mente (o alle menti) è di allacciare SM E DM in comunicazione fra loro, in modo integrato e non dualistico. Accogliere i dati senza giudizio in SM, costruire azioni senza aspettative. Disponendo di strategie quali il silenzio, la creatività, la meditazione e l’uso del pensiero laterale, unite alla consapevolezza che la SM è reattiva rispetto agli stati d’animo, potremo riuscire a fare capo a risultati trasformativi che sciolgono tutti i nostri mentali e non. Diversamente, la SM finirebbe per innescare impulsi che si traducono in comportamenti pressoché meccanici, che ci lasciano in regime di dipendenza alle emozioni non riconosciute o mal gestite. La SM in pratica respinge e reprime emozioni oppure le agisce ricercando nell’ambiente feedback di conferma. (es. agisco rabbia e faccio in modo che intorno e me la realtà venga alterata in modo tale da elevare e giustificare la rabbia)
Riassumendo, nella sostanza, alla SM dovrebbe assegnarsi una sorta di mera funzione esecutiva, di sostegno alla DM.
Vediamo ora l’essenza costitutiva della Mente profonda (DM). Essa si manifesta mediante sensazioni ed intuito, e attraverso questi conosce e coglie l’essenza dell’autenticità. Comprende che non siamo frammentati ma siamo in unione originaria con l’Universo e le sue leggi. Non viene ingannata dal dualismo e dalla contrapposizione fisica/metafisica. Egli comprende che esiste l’Uno, e che noi ne siamo un riflesso, siamo Uno nell’UNO. Essa è capace di metacognizione: può cioè osservare il caos della SM e capire che in realtà tale congerie di pensieri ed emozioni accavallate in modo disordinato e intrecciato puntano ad un unico focus: la validazione del nuovo dato rispetto a ciò che è già noto. Ma ciò che non è conosciuto è rigettato, e spesso è proprio ciò che invece aiuterebbe proprio l’individuo a riprendere se stesso. La DM aiuta la SM a disidentificarsi. Nel profondo noi sappiamo che non siamo né il nostro status, nè il nostro reddito, né il nostro mestiere o collocazione parentale. La DM sa che siamo spiriti liberi, lasciamo che ce lo spieghi! Aiutiamola a riaffiorare, ascoltiamola, diamole il benvenuto, salutiamola con gioia, perché è proprio grazie ad essa, sempre che la cosa ci aggradi, che potremo fare cose che non avremmo mai nemmeno immaginato.

 

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