IO E L’ALTRO DUE GOCCE DELLO STESSO MARE
(laboratorio presente nel libro "Come acqua che scorre. Adattamento creativo ed esperienze di confine nella società liquida).
Il percorso che ci ha portate ad immaginare il workshop “Due gocce dello stesso mare” è stato ricco di momenti di confronto, durante i quali ognuna di noi conduttrici, attraverso un lavoro di immaginazione, ha esplorato dapprima dentro di sé cosa significasse “fluire”. Abbiamo pertanto immaginato di partire dai sensi e permettere ai partecipanti di entrare in contatto con una propriocezione guidata e mediata dal respiro: l’obiettivo era quello di stabilire una connessione con se stessi e amplificare la percezione del proprio Esserci. E cosi… E’ iniziato tutto da una goccia, che si è trasformata in due gocce, e poi in un mare. Ci siamo sentiti acqua di un fiume, poi tempesta, ancora vapore sottile e infine pioggia danzante. Il tutto con l’altro, perché nessuna goccia è grande abbastanza per sostituire il mare.
Abbiamo deciso di immaginare così l’incontro con l’altro e di guidare i partecipanti in un percorso ricco di profumi e scoperte, volto a stimolare il livello emotivo e sensoriale e finalizzato all’auto-orientamento consapevole all’interno del proprio ciclo di contatto.
Lo stesso setting, utilizzato durante la fase di pre-contatto, è stato appositamente scelto per favorire l’incontro: ai piedi dell’Abbazia, nel giardino interno, circondati da rose e profumi della terra. Un giardino che ricorda un luogo segreto, carico di storie da raccontare, ma ancora "fuori" dal processo interiore, che fa da porta d’ingresso alla casa, e che muove le prime idee su come entrarci.
Il “Pre-Contatto”, nella teoria Gestaltica, è una fase delicata del processo vitale ed è alla base dell’incontro con l’altro da sé, che aprendosi al “TU” consente il fluire dell’IO nel NOI. Questo incontro può generare paura, disorientamento, gioia, apprensione, eccitazione, curiosità, rabbia, tenerezza e nell’incontro con l’altro possono attivarsi quelle modalità relazionali che Fritz Perls chiama “resistenze al contatto” o “adattamenti creativi” intesi come il “risultato della spontanea forza di sopravvivenza che consente all’individuo di differenziarsi dal contesto sociale, ma anche di esserne pienamente e significativamente parte” (Spagnuolo Lobb)
In un primo momento le persone sono state invitate a prestare attenzione al proprio corpo, quasi come se fossero sole, in uno spazio-tempo concentrato sulla fenomenologia interna del fluire stesso. Solo in un secondo momento l’attenzione si è spostata all’altro: apro gli occhi ed apro i sensi, mi accorgo di te ed entro in contatto: partendo dalla consapevolezza amplificata del campo (concentrazione su di me, concentrazione sull’altro e sulle dinamiche della relazione) abbiamo invitato i partecipanti a seguirci lungo una visualizzazione guidata che esplorava i vari stati dell’acqua, con le relative “risorse sommerse”: dapprima i partecipanti sono stati invitati ad “immergersi/identificarsi” in una cascata, nella quale venivano “buttati via” i pensieri ingombranti, per giungere poi a sentirsi fiume, con la capacità di scorrere e di svincolarsi superando con fluidità gli ostacoli, i “detriti” incontrati nel tragitto, fino a sfociare nel mare, nel quale vivere la quiete, il riposo e il continuo andare e venire delle onde.
Il passaggio conclusivo della visualizzazione ha visto l’intero gruppo di partecipanti coinvolti in un grande girotondo, come delle nuvole che unendosi andavano a formare una grande nube, carica di pioggia: girando abbiamo creato uno stato di attivazione emotiva molto forte che è sfociata in una ”pioggia” liberatoria; all’interno del grande cerchio abbiamo “buttato” tutte le tensioni, attraverso la pioggia che cade giù ci siamo liberati di pesi e pensieri opprimenti, di sensazioni spiacevoli, dell’imbarazzo iniziale e di tutto ciò che in quel momento non eravamo disposti a tenere più.
Il lavoro, così come una marea, si è alternato tra momenti di visualizzazione e momenti di immedesimazione dell’elemento nominato: immaginare un fiume e sentirsi fiume, viverne le potenzialità, sperimentarne le risorse e farle proprie.
Il secondo momento del nostro workshop ha permesso ai partecipanti di andare ad esplorare e lavorare maggiormente su un livello emotivo: le persone hanno preso un’ampolla con dell’acqua, da colorare con della china, con il colore che corrispondeva allo stato d’animo percepito qui ed ora (“io sono la mia goccia”)
Muovendosi nello spazio con l’ampolla, che aveva la forma di una goccia, le persone hanno formato delle coppie, scegliendo la persona la cui ampolla colorata attirava maggiormente la propria curiosità (“io scelgo la goccia che…..”)
Nella coppia è avvenuto il primo scambio, in silenzio: la consegna prevedeva di disegnare sullo stesso foglio bianco una traccia dell’incontro (“noi siamo la mescolanza delle due gocce”)
In questa fase di incontro, come sostiene Petruska Clarckson, ci sono due momenti molto definiti che entrano in gioco: ciò che sento nel corpo e ciò che sento nell’aspetto emotivo. La relazione ci coinvolge internamente ed interamente: un blocco di una delle due componenti può condurre alla confluenza (nel primo caso) oppure alla desensibilizzazione (nel secondo caso) ed in entrambi i casi alla mancata presenza e pienezza dell’incontro.
In effetti, durante questa prima fase è stato possibile notare come alcune faticassero a concentrarsi, ad ascoltare il proprio sentire, a focalizzarsi sul proprio corpo, a creare intimità con l’altro. In tal modo i partecipanti hanno potuto fare esperienza delle dinamiche interne ed interpersonali che si attivano al momento di entrare in relazione con l’altro da sé. Osservare come tali dinamiche entrano in scena e possono intervenire in questa fase è stato utile per comprendere tutte le difficoltà che portiamo con noi nella relazione. “Se non mi ascolto, come posso ascoltare l’altro?”, “Se non mi sento, come posso sentire l’altro?”
Attraverso l’osservazione fenomenologica e la continua stimolazione cognitiva è stato possibile aiutare i partecipanti ad individuare alcuni “nodi” da “sciogliere” nei laboratori successivi creando uno sfondo di lavoro significativo ed un’opportunità di apprendimento per ciascuno dei presenti.
La diade formata ha ripreso, poi, a camminare nello spazio, mostrando il proprio disegno: a quel punto guardando i disegni dei propri compagni ci si è scelti di nuovo, andando così a creare gruppi più grandi, dentro i quali dar voce ai propri vissuta e raccontare il proprio sentire rispetto all’esperienza.
Il momento finale ha visto tutti i partecipanti impegnati nella co-costruzione di un disegno “di gruppo” all’interno di un cartellone grandissimo, disteso sul verde prato che ci ospitava: i vari disegni prodotti sono stati incollati e ognuno poteva lasciare una ulteriore traccia sul disegno degli altri (ancora metafora ci come possiamo contaminarci, fonderci, ibridarci e di ciò che si attiva in noi nel momento in cui ci esponiamo all’imprevedibilità della relazione con l’atro)
vObiettivi E Considerazioni
Essendo questo un workshop di apertura, il nostro obiettivo principale è stato quello di favorire un ascolto di se stessi e dell’altro, in un setting stimolante e protetto: dapprima attraverso i sensi e il corpo, passando per l’immaginazione e per le emozioni, fino a giungere alla significazione dell’esperienza vissuta
L’ulteriore intento è stato quello di favorire momenti di confluenza, in cui fosse possibile riconoscere nell’altro un compagno di viaggio, con il quale condividere tre giorni di esperienze, di confronto e di crescita personale. L’obiettivo che ci ha guidate è stato quello di permettere ai partecipanti di trovare qualcosa in comune con gli altri, qualcosa che accomunasse piuttosto che differenziasse, al fine di permettere la successiva apertura nei workshop e nelle esperienze dei giorni successivi.
Per farlo ci siamo serviti del gruppo, come risorsa: nel gruppo, a cerchio, ci siamo presentati e conosciuti, nel gruppo ci siamo fatti forza e ci siamo uniti per “diventare nuvola” e poco dopo ci siamo dati il permesso di “liberarci dei pesi inutili”; sempre nel gruppo abbiamo “co-creato” un disegno unico che raccontasse di noi e del pomeriggio trascorso insieme.
L’altro, da sconosciuto, è diventato compagno, dapprima dell’iniziale imbarazzo, poi dell’energia che è fluita nel corpo di ognuno ed infine nel creare insieme un “significato condiviso” dell’esperienza vissuta. L’altro è divenuto sostegno, risorsa, compagno di viaggio, goccia dello stesso mare.
Al termine dell’esperienza i partecipanti hanno dato un nome al disegno fatto insieme:
“dall’ansia dello scontro alla speranza dell’incontro” testimoniando la volontà di esplorare i propri “limiti” ed allo stesso tempo il coraggio di superarli con l’intenzione di rendere più autentiche le proprie relazioni ed al contempo più incisiva la propria presenza al mondo.
A cura di Claudia Battistoni e Marialaura Ciabattoni
(laboratorio presente nel libro "Come acqua che scorre. Adattamento creativo ed esperienze di confine nella società liquida).
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