SCUOLA TRADIZIONALE vs EDUCAZIONE ALTERNATIVA. Modelli vecchi e innovativi a confronto

Inviato da Nuccio Salis

Premetto subito di avere acquisito col tempo una convinzione che non ammette repliche: la scuola pubblica tradizionale non può cambiare e non cambierà mai. Contrariamente a chi sostiene che non funziona, io affermo e confermo che invece funziona benissimo. Nel senso che il suo meccanismo autarchico e di autoconservazione è straordinariamente efficiente ed impeccabile. Essa riesce a riformarsi senza cambiare, a introdurre novità senza trasformare niente, a promuovere innovazione rimanendo obsoleta e uguale a se stessa. Come una geniale opera del più degno falsario, la scuola da sempre finge di mutare senza realizzare di fatto nessuna profonda, visibile e sostanziale innovazione. Le riforme che paventa anno dopo anno non sono che una paccottiglia di scartoffie burocratiche, infarcite di retorica sulla cittadinanza e sull'autonomia cognitiva del discente. Si tratta di fingere di allinearsi ai nuovi orientamenti pedagogici e culturali, facendo invece screzio all'immenso capitale scientifico prodotto in tutti questi decenni in campo educativo. Continuando a difendere il suo ruolo di guardiano del sistema socio-politico e culturale, assolve con dovizia il compito di annichilire i giovani e gli studenti, inimicandoli al sapere e spegnendo loro l'impulso vitale a conoscere, scoprire, domandare, esplorare con curiosità i contenuti delle discipline. Ed è così che deve fare. Non si tratta di un difetto di fabbrica. È esattamente così che deve funzionare. Il suo mandato conservatore non può permettersi di essere violato o turbato da pressioni sia esterne (parti sociali, progresso scientifico in campo psicopedagogico) che interne (rivendicazioni studentesche, istanze democratiche dell'organizzazione interna). Trovo pertanto risibili tutti i tentativi (ingenui e in buona fede) rivolti agli sforzi illusori di cambiare la scuola dall'interno, così come spesso si usa dire a mo'di slogan da oramai circa un secolo e mezzo. Giganteschi personalità nel mondo degli studi e della ricerca in campo pedagogico, sia antichi che contemporanei, non sono riusciti a scalfire l'impenetrabile ossatura di questo sistema rigido e inamovibile, capace di replicarsi nel tempo, refrattario a ogni epocale cambiamento del contesto sociale in cui l'istituzione è inserita. Un impianto di base siffatto non può essere soggetto a trasformazioni, quanto meno non radicali. Semmai a qualche aggiustamento di facciata che non ne ribalti però la sua mission politica ed educativa. Si tratta sempre di cambiamenti di superficie, dalla cui analisi degli effetti sono escluse le generazioni dei giovani che frequentano la scuola. Quanto incidono e quanto hanno inciso queste millantate riforme sulla qualità della vita degli studenti, degli insegnanti, della società in generale, in virtù del contributo sistemico che la scuola intende offrire al contesto della rete socio-culturale e delle sue risorse educative e formative? In altre parole, come sta la società e come stanno i giovani dopo che la scuola ha discusso ed avviato le riforme? Quali sono le mutate condizioni di vita dei soggetti citati? È possibile stabilirlo? Non si tratta di accuse ingenerose o dettate da un livore preconcetto verso l'istituzione conservatrice; si tratta invece di quesiti legittimi fondati su osservazioni altrettanto puntuali e pertinenti, alle quali la scuola è chiamata a rispondere, poiché vi sono obiettivamente delle gravi discrasie fra le finalità ministeriali dichiarate e le reali pratiche educative e didattiche applicate all'interno del mondo della scuola; un mondo sempre più abbandonato a se stesso, privato di spazi di confronto, dibattimento e produzione sociale di idee e costruttiva progettualità. Peraltro, abbattuto attualmente, in via definitiva, dal modello della didattica a distanza, che corrisponde all'immagine che si fa concetto tangibile della condizione dello studente contemporaneo, ovvero sempre più solo e alienato, e per giunta inascoltato dalla scuola che dovrebbe invece accogliere ed interpretare i suoi linguaggi, per sviluppare una comunicazione efficace da cui far scaturire proposte, alleanze, rapporti, scambi, inclusione, speranze, percorsi fattibili e reali opzioni ed itinerari formativi di successo. D'altra parte, se la scuola facesse questo, staremmo già parlando di un mondo diverso, e ciò sarebbe paradossale. Ergo, ecco spiegato perché la scuola funziona esattamente come le è stato prescritto e chiesto di funzionare, e quindi nessun cambiamento è immaginabile o proponibile. Pertanto, ciò che resta è di dirottare l'esperienza del discente in tutt'altro contesto di apprendimento che non sia quello della scuola pubblica tradizionale, affinché tale percorso sia qualificato e vivificato dall'alternativa, piuttosto che ristretto e mortificato dall'anacronismo della scuola così comunemente impostata e conosciuta. Ci tengo ad articolare tale premessa affinché non si pensi che ciò che viene discusso possa riguardare il mondo della scuola, dal momento che a livello ufficiale (lasciando da parte il paventato e romanzato eroismo di alcuni insegnanti) le metodologie didattiche non convenzionali saranno sempre guardate con sufficienza e superficialità da una scuola refrattaria per vocazione politica a qualsiasi profonda innovazione. Ragion per cui, tali argomentazioni serviranno semmai ad arricchire quei princìpi e quel corredo strumentale di realtà educative alternative (scuole parentali, scuole ad orientamento verso qualche autore della pedagogia, modelli outdoor, scuole nel bosco). Tali crescenti ed innovative realtà che ampliano l'offerta formativa e l'opzionalita' dei percorsi di istruzione, di scelta e quindi di diritto allo studio, si affermano sempre più come modelli consolidati che accolgono e valorizzano l'unicità di ciascun bambino, mettendo al centro le istanze più profonde e vitali dello stesso. Realizzando cioè in vero quei precetti di un puerocentrismo sbandierato soltanto con solenne ipocrisia dalla scuola pubblica tradizionale, e di fatto mai applicato, ed anzi come sempre ignorato da una politica scolastica che uniforma, omologa, riduce il giovane e il bambino a uno "studente a una dimensione", per parafrasare Marcuse. All'interno di queste nuove e sempre più diffuse realtà educative è possibile vedere esauditi i sogni di una pedagogia che prospetta, pur con tutti i suoi limiti ed imprecisioni, un modello educativo che connetta l'organizzazione della vita scolastica al contesto ambientale allargato che vi si trova al di fuori della stessa, promuovendo in buona sostanza l'implementazione del modello ecologico che presuppone il bambino come soggetto intero, come essere unico e molteplice al tempo stesso, dotato di una multidimensionalità che rimette in gioco secondo il paradigma olistico tutte le aree di espressione del bambino stesso, intercettandone e guidandone l'interdipendenza. Sono questi due punti a costituire i generali pilastri portanti di quella pedagogia scomoda e inospitale e da sempre rifiutata dalla scuola tradizionale. Questi due punti di forza, manchevoli alla base nella didattica agita della scuola pubblica di Stato, avvalorano e qualificano l'offerta educativa di questi nuovi soggetti sociali, che in sintonia con le conquiste più recenti ed aggiornate della pedagogia attuale, rimettono al centro la relazione continua del bambino con l'ambiente, occupandosi di fatto del necessario processo di continuità fra interno ed esterno; che equivale a prendersi cura a tutti gli effetti di un dialogo aperto ed incessante fra realtà educativa strutturata (o semi-strutturata a seconda dell'impostazione dalla scuola alternativa) con i soggetti del sistema esterno ed in primo luogo la famiglia del bambino, comune ed usuale spazio relazionale ed affettivo primario mediante cui garantire un'educazione che offra al bambino un modello coerente, coeso, quindi sicuro ed affidabile. Si riconosce cioè al bambino un percorso esistenziale permanente, caratterizzato dalla molteplicità e dalla pluripresenza incrociata e combinata di variabili. Ci si impegna cioè ad assumere la prospettiva della complessità, nonché l'impegno ad invertire la rotta di ciò che invece scaturisce abitualmente nel vissuto dello studente che frequenta la scuola pubblica: ovvero assenza di motivazione, mancanza di senso, sfiducia in sé e nel futuro, alienazione, rottura della continuità esperienziale, senso di sospensione dalla realtà esterna alla scuola. Pertanto, il primo confronto fra paradigma educativo di una realtà innovativa ed alternativa nei riguardi di quello obsoleto vigente nella scuola pubblica di Stato, si è già risolto nello schema "Continuità vs Alienazione". Altra sostanziale e drastica differenza fra i due modelli è sintetizzata nella dicotomia "Convergenza/Schematismo vs Situazionalita'/Espansione", che rimanda a due stili di apprendimento nettamente divergenti e in discontinuità. Con la prima espressione si fa riferimento alla costruzione di un modello cognitivo prima di tutto essenzialmente di matrice mentalista, quindi ristrettamente focalizzato a far funzionare procedure mentali in senso esclusivamente logico (sinistro) e convergente, in disconnessione con le altre parti di cui è composto il bambino. Viene premiato chi trattiene più nozioni e le ripete a memoria, confondendo le capacità di contenimento mnemonico con l'intelligenza, scambiando il conformismo alla conoscenza con la sapienza, ed equivocando l'obbedienza acritica all'autorità con il rispetto per la figura autorevole dell'insegnante. È questo il modello classico, che misconosce l'interezza e l'integralita' del bambino, e ne premia la sua disgregazione. Tramite la seconda espressione si fa invece riferimento a modelli di apprendimento tesi all'agganciamento dell'esperienza fattuale del bambino, in loco, con la prospettiva della esportazione esterna delle sue abilità, sollecitate per essere sempre accomodate e sperimentate mediante un atteggiamento di ricerca e di attitudine alla prova. È questo principio di continuità, peraltro, a conferire senso all'esperienza di crescita e progresso del bambino, che può verificare da sé la ciclicità e l'interconnessione di ciò che acquisisce. Viene cioè promossa la trasferibilità dell'apprendimento in contesti esterni, diversamente dal classico modello della scuola pubblica che notoriamente boccia questo procedimento di transfer e cade piuttosto in quel fenomeno meglio noto come incapsulamento. Eppure è esattamente questo uno dei criteri chiave che delinea la profonda differenza fra un metodo educativo efficiente ed uno che non lo è. Altra ricorrente condizione che fa emergere l'assoluta incompatibilità fra le due proposte è l'antinomia "Individualismo vs Cooperazione", di cui si conosce notoriamente la separazione inconciliabile fra l'impostazione della scuola pubblica come contesto usualmente competitivo, dove ciascuno lavora per sé e dove non si suggerisce, non si copia, non si collabora, non si scambiano dati, pareri, informazioni, compiti e risultati di ricerche, ed invece il clima diametralmente in contrasto promosso da realtà educative che rimettono al centro peraltro la vera condizione originaria dell'umano in natura, ovvero la tendenza alla partecipazione, all'aggregazione, al lavoro di gruppo, alla condivisione che permette al singolo di contribuire ed essere riconosciuto in forza delle sue peculiari risorse e attitudini, ed al tempo stesso di godere del risultato efficiente di gruppo dovuto alla sommatoria di ciascuna singola (ed anche singolare) collaborazione. In questo clima diviene peraltro possibile sollecitare spontaneamente (ed è constatabile osservarlo) il comportamento prosociale e la volontà di affiancare chi eventualmente rimane un passo indietro. In questo contesto, lo spazio condiviso diventa realmente un micromondo sperimentale che prelude alla capacità di confronto e di mediazione costruttiva fra singoli soggetti. Un micromondo pronto ad esportare un senso di comunità e di vissuto collettivo funzionale. Altro importante aspetto di divisione fra i due modelli in esame è l'opposizione fra "Teoria vs Pratica", dal momento che, anche stavolta altrettanto notoriamente, il modello tradizionale della scuola che non cambia mai è essenzialmente centrato sul mero passaggio nozionistico della conoscenza, come flusso di contenuti da introiettare nella modalità "depositaria" (per usare un'espressione ricorrente del pedagogista Paulo Freire). Nella realtà delle scuole alternative, ogni elemento del sapere può essere connotato anche di un correlato di esperienze pratiche, che possono partire sia dalla ricerca sul campo, che prendere spunto dalla propria biografia e dal proprio repertorio narrativo aneddotico, ed ancorarsi al flusso circolare delle idee altrui, producendo stimoli per una ristrutturazione di conoscenza che diventa di fatto un prodotto socialmente costruito, come d'altra parte lo è veramente, anche se spesso viene invece presentato come unica e sola versione di una verità presunta che non può essere confutata. È soltanto in questo reale mutato clima educativo, che legittima e fomenta l'attitudine alla ricerca ed alla sperimentazione attiva, che si forma per davvero il sentimento della libertà e l'amore per il sapere condiviso. Spazi aperti non si riducono a boccate d'aria o aree per gli sfoghi reattivi dopo aver sofferto l'immobilismo psicomotorio dovuto al banco e alla lezione frontale. Gli spazi aperti, nei contesti delle scuole alternative, sono pensati in piena continuità con l'esperienza dell'aula, palesandosi come laboratori di apprendimento in cui ciascuno può rigenerare e ritrovare se stesso, ricercando le proprie attitudini e risorse che lo connotano come soggetto unico ed irripetibile. Ulteriori divergenze sono riscontrabili nel confronto fra "Astrazione vs Concretismo", impostazione che spesso rimette le cose a posto per quanto riguarda l'ordine del procedere evolutivo del bambino secondo le leggi dello sviluppo e dell'epistemologia genetica. Il mentalismo imperante della scuola pubblica che fabbrica studenti come prodotti seriali, è rimasto alla concezione del bambino come tabula rasa, quindi considerato una scatola vuota da riempire con ciò che soddisfa esclusivamente la narrazione e la versione storica del mondo da parte dell'adulto medio. Eppure il bambino possiede già un suo repertorio sia emergente che consolidato di abilità spendibili: ovvero uno stato degli apprendimenti da cui poter già generare i prossimi passaggi evolutivi su ciò che già al bambino appartiene come repertorio di conoscenze e quindi anche come letture e coordinate socio-culturali del sapere. Il bambino deve perciò essere riconosciuto come un essere sensibile e unico che si propone con una sua precisa identità e personalità, quindi come dotato di quelle connotazioni antropologiche che si sono potute costruire grazie all'esperienza tangibile, grazie al contatto con le cose, con il proprio corpo (sia obiettivo che strumento dell'azione propriocettiva), con i referenti dell'alterità (adulti significativi, altri adulti, soggetti alla pari) che hanno configurato nel bambino un suo personale senso dell'essere e di una abbinata rappresentazione del suo multiverso esperienziale. Il bambino ha cioè potuto, grazie soprattutto all'esperienza senso-motoria, interiorizzare un'immagine di sé e un concetto di mondo. È da quella modalità di procedere che è necessario continuare, per poi poter promuovere, quando circostanze e tempi evolutivi lo consentiranno, abilità di astrazione da investire nel campo dell'ideazione, dell'indagine sperimentale deduttiva, così come delle arti e di ogni espressione simbolica umana. Questo significa anche aderire al principio naturale del procedere evolutivo del bambino, di cui è necessario osservarne e rispettarne sequenze generali così come anche ritmi e stili personali. In parallelo alla precedente troviamo la dicotomia "Generale vs Particolare", dal momento che affidando esclusivamente all'astrazione il percorso di un problem-solving, si chiede di sviluppare idee e generare teorie con premesse universali prima ancora di rendere i loro singoli elementi esperibil dalla ricerca esperienziale. Nelle realtà educative alternative, la conoscenza è intesa come prodotto socialmente costruito dall'interazione partecipata e motivata dal gruppo, in un contesto comunicativo a carattere comunitario, e quindi ciò che viene sollecitata per prima è l'esperienza tangibile, ovvero la possibilità di misurare la realtà usando se stessi come misura di tutte le cose. Chiusa della frase ispirata al motto del sofista Protagora, il quale sosteneva che "l'uomo è misura di tutte le cose". Allo stesso modo potremmo definire che "il bambino è misura di tutte le cose", ed allora è la sua esperienza che va accolta, accompagnata ed interpretata, tenendo conto di cosa ci comunica e con quali mezzi ed espedienti ci rende conto del suo vissuto e del suo punto di vista. Questo principio, che promana da una matura teleologia dell'agire educativo, giustifica la presenza sempre più crescente di modelli educativi che desiderano appagare le istanze più profonde e recondite di un bambino, espresse ed inespresse, aiutando gli stessi a rigenerare un modello di vita sociale degno di essere apprezzato e condiviso secondo un'autentica e vissuta prospettiva comunitaria. È questo l'auspicio principale a cui è diretta questa grande opera in corso. (dott. Nuccio Salis - Pedagogista Clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)
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