Star Bene con se stessi


Star Bene con se stessi

 

Gli esseri umani possono convivere con molte cose, ma non con il nulla […]una vita nella quale prende piede l’esperienza della mancanza di senso è condannata al fallimento.[…] Il senso invece rappresenta una risorsa infinita di forze, entusiasma e nutre. Il bisogno di senso viene soddisfatto quando si trova un nesso in grado di tenere insieme la vita e le singole situazioni. (dal paragrafo Senso o insensatezza? Il senso della vita, nel capitolo La cura dello spirito da L’amicizia per se stessi. Cura di sé e arte di vivere, Wilhelm Schmid, Fazi editore, 2012, pag.384-385). 

Iniziare questa breve riflessione sullo star Bene con se stessi, con un’imbarazzante  domanda di senso trovo che possa essere il modo più diretto per rivolgere l’attenzione alla motivazione più profonda che vanifica i numerosi nostri tentativi di cercare lo star Bene con  se stessi nell’essere “in”, nel vivere alla giornata, nell’evitare impegni ogni volta che possiamo, o nell'assumerne più di quanti siamo in grado di agirne,  nel sentirci liberi di scegliere ciò che più ci piace.

Continuiamo a reiterare tentativi così fatti, suggeriti/imposti dal vorticoso contesto mediatico anche se inevitabilmente si rivelano fallimentari, proprio come ci accade per tante altre tentate soluzioni (si veda Giorgio Nardone). Scoprire che star Bene con se stessi è la summa di un autentico dia-logo con se stessi e tuttavia non è solo questione assolutamente privata, anzi è interconnessa con le relazioni interpersonali e le risposte che dal contesto ci giungono, significa sentirci nella condizione di poter costruire o ri-costruire ogni giorno connessioni e senso, è arte di vivere che si esprime come ermeneutica e l’interazione con sé.

Leggiamo qualche passo ancora da Wilhelm Schmid:

“Il farsi carico della cura di sé, dal punto di vista fisico, psichico e spirituale, è fondamentale per ogni arte di vivere. Rende infatti possibile una condotta di vita consapevole e si esprime nelle forme di interazione con se stessi che ciascuno sviluppa a partire da sé e con l'aiuto degli stimoli e delle oc-casioni forniti da altri. In questo modo si rompe l'indifferen-za nei confronti di se stessi, che potrebbe essere mantenuta solo al prezzo di una vita non veramente vissuta e dell'amarez-za nei confronti di tutti quelli che si presume vivano quella vi-ta che è preclusa al sé.

Nella scuola dell'arte di vivere, il processo che mostra come l'attenzione nei confronti di se stessi sia essenzialmente favorita da quella che gli altri ci dedicano, si può approcciare nella reciprocità che lo caratterizza. Il sé viene stimolato e avviato a consultarsi con se stesso, al fine di stabilire autonomamente se è corretto e giusto nei confronti di se stesso, per rafforzarsi e controllarsi e, in generale, per tutto quanto può essere rubricato sotto il titolo "selfmanagement", il cui obiettivo ultimo è quello di diventare amici di stessi.

Su questa via si può giungere a una vita ottimale assieme a se stessi e, quindi, anche a evitare per sempre la solitudine. E nello stesso tempo il sé non impara tutto questo esclusivamente per conservare e promuovere se stesso, ma anche con un obiettivo più fortemente sociale, perché nello sviluppo del «potere soggettivo» si rende visibile «il lato oscuro» del processo sociale: già Hans-Jochen Gamm si concentrava su questo passaggio nel suo progetto pedagogico del 1977 dal titolo significativo Umgang mit sich selbst (‘Interagire con se stessi'), soffermandosi in particolare sulla tesi secondo la quale soltanto una più umana interazione con se stessi può rendere possibile una costruzione dell'umanità su scala sociale.

La saggia cura di sé sfocia fondamentalmente in quella per gli altri, anche perché la disposizione di una vita individuale ha sempre bisogno della vita di qualcun altro. Ogni vivere insieme, ogni formazione di una comunità, e da qui anche la formazione della società, in piccolo come in grande, non è sostenuta primariamente da forme giuridiche, ma da forme di interazione con gli altri, alle quali la scuola dell'arte di vivere dedica la sua attenzione. Queste “forme di interazione" sono il rispetto per gli altri, ma anche quello nei confronti di se stessi, la capacità di ascoltare e farsi convincere, l'attenzione agli altri e il riconoscimento delle loro peculiarità, la tolleranza e l'obiettività, l'essere pronti a fare dei favori e ringraziare quando se ne viene beneficiati, la puntualità, il riguardo per le debolezze degli altri, l'essere pronti a garantire per qualcun altro, la capacità di aiutare, il valore civile. […] Nella scuola dell’arte di vivere, l’arte dell’ermeneutica che, come accadeva anche nella tradizione, può essere esercitata con l’aiuto dell’interpretazione e della comprensione di testi, viene intesa come elemento fondamentale per la cura di se stessi, e come strumento per garantire l’abitare in uno spazio ermeneutico, fondamentale per ogni abitare in generale. Con l’aiuto dell’interpretazione si producono le connessioni che danno senso –un senso sensibile, mentale e spirituale– a un testo, a una relazione e infine a tutta una vita.”

(Wilhelm Schmid, cit., dalle pagg. 427-429).

           Come non notare eco e rimandi alla stessa ragion d’essere del counseling e di quella osmosi tra relazione intra personale e relazioni interpersonali che il counselor agevola in ogni persona in aiuto? Oltre a ciò, colgo nell’insistito riferimento all’ermeneutica, la necessità di allenare le nostre competenze, come persone e counselor, perché l’interpretazione di sé, del contesto, di testi e del senso della vita sia sorretta dall’arte dell’ermeneutica e non arbitraria suggestione del momento.

           Cordialissimamente,

           Giancarla Mandozzi

          

 

 

          

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