J. L. Moreno: una biografia psico-drammatica ovvero come un vincolo diventa una risorsa

Inviato da Rosanna Pizzo

La mente come teatro, dove lo spazio scenico è usato per la rappresentazione di una trama che non è semplice riproduzione di una realtà esterna, ma dei sentimenti legati ai nodi di significazione relazionale che a essa hanno dato origine

I. Fiore - Girolamo Lo Verso
 

La storia familiare di Moreno, come d'altro canto da lui stesso riferito nell'autobiografia, è intrinsecamente intrecciata con il suo destino quasi karmico di Profeta dello Psicodramma, per cui narrerò e qui la narrazione, sarà ovviamente il risultato di informazioni tratte dalla autobiografia, ma anche del mio peculiare modo di percepire l'estetica di questa avventura personale e drammatica, che fu lo psicodramma per Moreno, la cui invenzione trovò l’humus, a mio avviso nella sua vicenda personale e familiare,.

Sulla propria nascita J. L. Moreno ha fornito due versioni, di cui solo una sembra sia veritiera, e cioè quella fornita dai suoi biografi che la fissano a Bucarest il 18 maggio 1889, e di cui riferisce l'interessato nella sua autobiografia, mentre l'altra data, 1892 è un invenzione psicodrammatica, escogitata come difesa da uno script drammatico potenzialmente patogeno, di cui diremo in appresso.
Lo stesso Moreno diceva, che lo psicodramma della sua vita, aveva preceduto lo psicodramma come metodo e di esserne stato il primo paziente-protagonista e regista ad un tempo. 1
Ma ritorniamo alla autobiografia di Moreno, da lui stesso narrata, e verosimilmente falsa, in alcuni aspetti, ma..... psicodrammaticamente vera, dove egli riferisce di essere nato in una notte tempestosa, su una nave che attraversava il mar Nero, che avrebbe dovuto avere come meta Costanza in Romania. La nave non aveva una bandiera che ne definisse la nazionalità. “Nacqui come cittadino del mondo, un marinaio che va di mare in mare, di paese in paese, destinato a sbarcare un giorno nel porto di New York.”2
Una profezia, che si autoavvera, in quanto Moreno fu erratico, non solo per la sua attività di psichiatra, psicodrammatista, ma per la sua storia personale, in quanto figlio genitorializzato di una coppia di ebrei sefarditi, non troppo bene assortita.

Infatti il padre era un anziano(Moreno Nissym Levi) commerciante di casse da morto e la madre(Pauline), ”dagli orizzonti molto limitati,” ...anche se “una grande narratrice di storie “ che aveva appena sedici anni quando egli nacque, e che lo colpevolizzava anche da adulto, dicendogli, che era meglio allevare un cane piuttosto che un figlio.

Una difficile situazione familiare, una famiglia contrassegnata da una scarsa differenziazione tra i membri e quindi da scarsi confini individuali, che egli descrive così: “Le frequenti assenze di mio padre e la sua successiva separazione da noi, mise me, il primogenito, già molto presto in una particolare posizione di autorità.”3
Da questa sgradevole inversione di ruolo, che lo costringeva alla parte di figlio genitorializzato, egli si difese al punto di falsificare la data di nascita, dal 1889 al 1892, in modo da mettere il fratello William (nato veramente nel 1892, l'unico della famiglia con cui egli strutturerà il senso di una profonda appartenenza) nei panni del primogenito, e di rielaborare il suo nome(Jacob Levi) e il suo cognome, invertendo quelli anagrafici di suo padre: Moreno (di nome), e Nissim Levi (di cognome), nel 1925, dopo la morte del padre, quando andò a vivere in America.
Questi fatti di famiglia, di cui egli narra nella sua autobiografia, possono essere ritenuti esemplari dal punto di vista della terapia sistemico-relazionale, di cui egli fu il profeta.4
 
Moreno nel narrare di sé, spesso verbalizza il disagio per una appartenenza familiare che non lo identificava in alcun modo, sempre alla ricerca di posti dove si potesse star meglio, con conseguente disperazione della madre che lo considerava un po' pazzo, e lui stesso diceva di sé che si può essere pazzi e sani allo stesso tempo, con un messaggio trasversale diretto contro ogni patologizzazione dell’uomo e della sua maniera di essere nel mondo, che metterà in rilievo la Fenomenologia e l’Antropoanalisi, movimenti coevi, non a caso, del suo tempo, che tanto hanno influenzato vari contesti disciplinari del Novecento e più in particolare Psicologia e Psichiatria.
 
Egli attratto dall'idea di Dio, a cui, come lui stesso dichiara nell'autobiografia, piaceva di essere legato, all' età di circa cinque anni, nel 1894, nella sua casa a Bucarest, in assenza dei genitori, inventò la prima sessione psicodrammatica, interpretando Dio, come protagonista, attorniato, dai suoi piccoli amici, chiamati ad impersonare gli angeli, in una rocambolesca messa in scena, in cui Moreno, si adagiava su sedie affastellate una sull'altra, fino a raggiungere il soffitto, in cima al quale stava il cielo, e quindi Lui.
Da un disturbo dell'identità probabilmente legato ad un impossibile identificazione con un padre, erratico, lontano, sia per i continui viaggi, che per le molte mogli, culturalmente sradicato dalle sue origini di ebreo sefardita rumeno, che non parlava il tedesco, tant'è che pur essendosi trasferito a Vienna nel 1895 con la famiglia, non si integrò mai con la cultura del paese ospitante, eternamente in crisi, probabilmente nacque in Jacob l'idea di rivolgersi a Dio e di trovare il padre in un ideale.
 
La vicenda familiare di Moreno, si svolge in maniera quasi antitetica a quella di G. Bateson, di cui ho parlato in un precedente articolo, eppure entrambi, per ragioni opposte coinvolti in quel drammatico divieto che è il percorso verso l'individuazione, il primo per un eccesso di presenza paterna, l'altro per un eccesso di assenza.
Un altro episodio che si sarebbe rivelato premonitore, rispetto al futuro inventore dello psicodramma, da lui stesso narrato, riguarda il fatto che egli da piccolo affetto da rachitismo, fu guarito da una zingara.
Infatti, questa, impietosita, nel vedere la madre di Jacob piangente davanti la porta di casa, che metteva in mostra il suo dolore, quasi a chiedere aiuto ai passanti, le consigliò di curarlo, mettendolo nudo su un mucchio di sabbia, al sole. Non solo, profetizzò grandi cose per il bambino, dicendo che sarebbe diventato un grande uomo, e che la gente sarebbe venuta da tutto il mondo per vederlo: così una terapeuta selvaggia guarì, con un probabile forte potere suggestivo il piccolo.5
 
Anzi questo episodio, quasi karmico, nel portare simbolicamente in nuce, quelli che saranno i temi fondativi dello psicodramma moreniano, e cioè il gruppo, l'azione, lo sguardo, il contatto fisico, la partecipazione pubblica, gruppale, al conflitto, implicitamente suggerisce una riflessione, e cioè, che da una situazione potenzialmente patogena si può approdare “ad un'altro stadio di saggezza”6.
 
Tra un impossibile appartenenza familiare, perché non ne esistevano le condizioni, come ho già detto, Moreno stesso nella sua autobiografia dice “sfuggii ad un destino di schizofrenia”7, e quindi da uno script drammatico (gli script familiari rappresentano ”le aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli familiari debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti) che sembra lo condannasse ad un destino di “paziente psichiatrico” e un bisogno altro di definirsi, di individuarsi (agli antipodi delle pompe funebri....) egli verosimilmente riuscì ad approdare a quell'apprendimento tre, 9 attraverso “quel caos dove il pensiero diventa impossibile10 per la sua creatività interiore, che insieme alla spontaneità , diede luogo all’invenzione psioco-drammatica.
 
Ma ritorniamo a Moreno, nel momento in cui, il padre, nel 1904 trasferisce la famiglia a Berlino, egli, dopo un pò di tempo, preferisce tornare a Vienna, dove per mantenersi, fa il precettore.
Nel frattempo, la madre separatasi dal padre, lo raggiunge insieme agli altri fratelli, ma la convivenza familiare si rivela molto difficile: i fratelli e le sorelle, guardano Moreno con soggezione e paura, considerandolo, folle, egli dal suo canto, si sente sempre più estraneo nei loro confronti.
 
Intanto inizia a interessarsi di letteratura religiosa, filosofica ed estetica, accostandosi ad autori come Spinoza, Cartesio, Leibniz, Kant, Schopenauer, Nietzsche e a romanzieri come Dostoievskij, Tolstoj, quei classici che soli insegnano la discrezione, il rigore, l'humanitas, necessari per affrontare la discesa agli inferi, ineludibile, per chi si confronta con il magma delle proprie e delle altrui emozioni.
Dalle letture di questi filosofi e letterati, Moreno trae alcune considerazioni, che poi caratterizzeranno la modalità esperenziale del suo approccio psicodrammatico, in ordine al fatto che tutti questi grandi affrontavano si i grandi temi dell'esistenza, pronunciavano sermoni, predicevano il disastro, “ma nessuno saltò fuori dal libro per tuffarsi nella realtà”.11
 
Il tema, quindi, diretto al dramma, all'azione (drama, drein: l'agire, il fare fra e insieme agli altri) alla pragmatica delle emozioni agite sul campo, sarà fondamentale per Moreno, che inizierà, lavorando con i bambini, ancora giovane studente di medicina a Vienna, nel 1908, interpretando ancora Dio, nel grande giardino ad Augarten.
Egli, seduto ai piedi di un albero, circondato dai piccoli, attratti da lui, come un flauto magico....., come riferisce nella sua autobiografia, attraverso le fiabe raccontate ai bambini, cercherà di portare un idea vivente di Dio all'interno della civiltà moderna, attraversata dall'ateismo, e dall'agnosticismo.
Il suo lavoro sarebbe stato così una dimostrazione contro la teoria psicanalitica dei geni e degli eroi, allora rampanti a Vienna, che dicevano tutti di essere pazienti un pò matti.
 
Alla fine, egli voleva dimostrare (questo è il pensiero tratto dalla sua autobiografia) che un uomo con tutti i segni della paranoia, della megalomania e dell'esibizionismo, con un “delirio mistico” che lo avrebbe potuto trasformare in nuovo caso Schreber! e con altre forme di cattivo adattamento sociale e individuale, poteva essere sufficientemente ben controllato e sano.
Addirittura, si proponeva come l'antitesi vivente della dottrina psicoanalitica, con cui fu sempre in polemica, e come protagonista, nella sua stessa vita, dello psicodramma: ”L'unico modo per liberarsi della sindrome di Dio è rappresentarla”12.
 
Egli racconta che, Freud mentre egli frequentava una sua lezione, nel 1912 a Vienna, quando gli altri studenti se ne erano andati, scelse lui e gli chiese cosa facesse. Moreno rispose, che mentre lui, Freud, incontrava i suoi pazienti nell'artefatto dell'ambulatorio che era il suo studio, lui li incontrava nel loro ambiente naturale.
Inoltre Freud analizzava i loro sogni, mentre lui, Moreno, cercava di infondere loro il coraggio di sognare.
Anzi significativamente nella sua autobiografia diceva che la psicanalisi e la teoria kraepeliniana lo lasciavano indifferente.... il vero guaritore è un protagonista spontaneo, al centro del gruppo, come Gesù, Budda, Socrate, Gandhi, che Freud avrebbe catalogato come pazienti.... probabilmente compreso lui, aggiungo io: l'allusione a se stesso, tra l'altro appare chiara.
 
Anche se, per quanto attiene la polemica con la psicanalisi, è necessario farne una lettura contestuale e storica, nel senso che, Moreno, rifiutava la psicanalisi perchè gli psicanalisti a quel tempo dicevano di non “voler mescolare il puro oro dell'analisi con il vile metallo di tutte le altre psicoterapie,”13 ma in realtà egli riconosceva “la sua anima analitica” pur ovviamente, non perdendo di vista le profonde differenze tra i fondamenti teorici di tipo metapsicologico della medesima e di tipo fenomenologico viceversa dello psicocdramma.
 
Sottolinea in proposito, Paola De Leonardis, come “Moreno stesso rivendichi esplicitamente e non ironicamente l'appropriatezza del termine analisi riferito allo psicodramma, nel senso, che come nella psicanalisi, attraverso la rappresentazione psicodrammatica si fa dell'archeologia oltre che dell'architettura; si riattiva il passato, lo si esplora, lo si ricostruisce insieme al soggetto; si attiva il confronto con parti interne, anche arcaiche, sconosciute e nascoste, si scoprono ruoli formati o abbozzati, ma non riconosciuti dal soggetto”.14
Come non scorgere, somiglianze, con la narrazione sistemica, seppure in un setting profondamente diverso?
 
Quanto detto, anche se all'analisi discorsiva di Freud, Moreno contrappose l'agire, il drama, all'interno di uno scenario, quello della vita, che ha il gruppo come supporto al singolo, e tra l'altro come osserva, a mio avviso, giustamente, Diego Napolitani: “Nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente presente, come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in questa accezione, attraverso la relazione telica più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso psicologia sociale.”15
Su una scia, che privilegiava l'azione e la rappresentazione, Moreno, appena ventenne, giovane studente di medicina, aveva, infatti preso in carico una ragazzina difficile, bugiarda incoercibile, di nome Elisabeth Bergner, che la madre gli aveva affidato, per l'aura di magico di guaritore che già accompagnava la sua immagine.
 
Moreno intuì che la bambina aveva un forte talento teatrale, per cui consigliò alla madre di iscriverla ad una scuola di arte drammatica, il risultato fu, che questa superò il conflitto familiare e divenne un attrice affermata delle scene tedesche.
Quest'episodio è significativo, rispetto al metodo adottato da Moreno, che riuscì a risolvere un conflitto psichico e relazionale potenzialmente patologico, canalizzandolo in positivo, attraverso l' interazione con gli altri: un vincolo, in altri termini diventa una risorsa.
 

Lo Psicodramma in situ

In nuce, si trattava già del cosiddetto “psicodramma in situ che egli come giovane medico neolaureato(si laureò in medicina a Vienna nel 1917) esperenziò, poi, fuori da un setting terapeutico propriamente detto, ma nel kairòs del vivere e cioè dovunque la vita fosse vissuta, ponesse conflitti e cioè tra marito e moglie, genitori e figli ecc.
Anzi pare, che spesso Moreno, affrontasse i problemi familiari dei suoi pazienti, elaborando diverse tecniche di rappresentazione dei conflitti, discutendone apertamente con gli interessati, e facendo in modo che la riattualizzazione di episodi penosi potesse portare ad una elaborazione della tensione, verso il cambiamento.
 
Questa terapia della famiglia con metodo attivo, venne definita da Moreno”teatro reciproco,”dove ognuno diventava agente terapeutico per l'altro, attraverso la relazione telica che Moreno definisce ”l’unità sociogenica", che serve a facilitare la trasmissione della nostra eredità sociale. Esso è una struttura primaria della comunicazione interpersonale in parte filogeneticamente trasmessa, ma che per esprimersi ha bisogno di un catalizzatore e cioè la spontaneità.
Il tele è la base di tutte le relazioni spontanee e creative, in quanto espressione propria dell'essere umano ad entrare in relazione emozionale con i suoi simili, è un organizzazione fisiologica legata a processi affettivi, che vanno dall'attrazione al rifiuto, viene proiettato a distanza ed è a differenza dell'empatia, reciproco.
 
L'osservazione dei gruppi, sembra presentare ridondanze, tali da far ritenere che i contatti fisici fra gli individui fossero all'origine molto stretti, e che solo attraverso una maggiore specificità del sistema nervoso, con lo sviluppo del telencefalo e dei telepercettori, gli esseri umani si sono emancipati.
Ciò nonostante, “il legame che univa i membri di un gruppo non è stato spezzato. Ne sussistono certe vestigia, le quali rappresentano forse una protezione in circostanze critiche”. 16
 
Successivamente, per due anni dal 1915 al 1917, si occupò come medico di un campo di profughi italiani a Mittendorf, dove studiò le relazioni del gruppo, ponendo le basi del sociodramma, che consente di osservare le dinamiche di attrazione e rifiuto nel gruppo, compresa la leadership, e che prefigura l'approccio sistemico relazionale, secondo me.
Dal 1918 al 1922 pubblica la rivista Daimon, alla quale partecipano Max Brod, grande amico di Franz Kafka e il più autorevole dei suoi biografi, Alfred Adler, Martin Buber, con il quale Moreno trovò gradi affinità di pensiero, proprio in ordine ad alcuni temi fondamentali dell'esistenza umana, che riguardano la relazione tra uomo e uomo e cioè che l'uomo si definisce come persona e come soggettività, solo nella relazione io-tu .
 
Se il soggetto rimane semplice osservatore, del suo simile, la relazione si struttura tra un io e un ciò dando luogo alla manipolazione dell'altro, al predominio, alla dipendenza, che può sfociare in una patologia vera e propria.
Questo modo strutturalmente se non ontologicamente relazionale di concepire il rapporto con l'altro, esiterà nello scritto ”Invito a un incontro” dove egli comporrà addirittura dei versi intitolati “Motto“, che rappresentano veramente la quintessenza della sua estetica della conoscenza per sensibilità, proprio attraverso la relazione.....”un incontro di due: occhi negli occhi, volto nel volto. E quando tu sarai vicino io coglierò i tuoi occhi e li metterò al posto dei miei e tu coglierai i miei occhi e li metterai al posto dei tuoi, allora io ti guarderò coi tuoi occhi e tu mi guarderai coi miei.”
Ritengo che questa sia la massima espressione della relazione telica, di cui ho prima accennato, e dell'estetica della relazione, tanto cara a Bateson, e alla Sistemica.
 
Il concetto di incontro, una sorta di struttura che connette gli esseri umani è un caposaldo della teoria moreniana, in quanto fenomeno relazionale dotato di un grande potere alchemico, in ordine al cambiamento, proprio, della cosiddetta “religione dell'incontro” (movimento umanitario creato da Moreno, a Vienna, con alcuni seguaci tra il 1908 e il 1914 con fini anche terapeutici fondati su incontri di gruppo) attraverso cui una persona può diventare agente terapeutico di un altra persona, come abbiamo detto.
Da ricordare, perchè certamente significativo rispetto al concetto di storia che ho enunciato a proposito della narrazione sistemica nel precedente articolo, che la rivoluzione psicodrammatica di Moreno sorse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, epoca in cui nacque il cosiddetto teatro naturalistico e il teatro impressionista, quest'ultimo, in particolare centrato sul mondo interiore e la soggettività dell'uomo: basti pensare ad August Strindberg, Frank Wedekind, Artur Schnitzler, che fece parte della redazione del giornale Daimon fondato da Moreno.
 
In questo particolare humus culturale, di grande rivoluzione artistica e antiborghese, che caratterizzò la nascita del Teatro moderno, in cui si faceva strada appunto, la nozione di verità soggettiva, che divenne centrale nella concezione di Moreno, sorse lo psicodramma, teatro terapeutico, vera mimesi di una trasfigurazione di senso del teatro tradizionalmente inteso.
Di particolare rilievo, per la corrispondenza tra la concezione del nuovo teatro e le elaborazione psicologica che ne fece Moreno, in ordine ai concetti di creatività e di spontaneità, fu la poetica del teatro del suo tempo, che trovò la suggestiva esposizione di Stanislavskij, attore regista e teorico teatrale russo. ( nato a Mosca nel 1863 ed ivi morto nel 1938)
Egli studiò soluzioni con gli attori, con improvvisazioni e ricerche sulla gestualità, approfondì , inoltre, ricerche su voce, movimento, rapporto tra testo e psiche dell'attore e nel suo “Il lavoro dell'attore su se stesso.”
 
Descrisse infatti, il proprio metodo, come addestramento all'espressione autentica e spontanea, attraverso l'elaborazione di tecniche atte a sviluppare la creatività, portando alla luce il “sé magico” che ciascuno possiede, e che è la risultante delle proprie esperienze emotive personali.
Moreno tenne, però, a precisare, che il suo teatro della spontaneità non aveva alcun rapporto con il metodo Stanislavskij, in quanto l'improvvisazione legata alla spontaneità propugnata da quest'ultimo, era funzionale a rivitalizzare la conservazione culturale, a produrre un grande Romeo e un grande Lear, e non a provocare cambiamento.17
Moreno, in altri termini aveva capito che il teatro, poteva diventare un potente mezzo estetico, atto a curare e ad innescare il cambiamento, facendone una pratica terapeutica, che doveva coniugare la rappresentazione scenica di tipo teatrale e il mondo tragico della sofferenza del malato psichico: da un teatro trasportivo a un teatro trasformativo!
 
Da rammentare, d'altro canto, che sin dai suoi primordi, il Teatro aveva messo in scena la sofferenza, umana, ineludibile compagna dell'esistenza, basti pensare alla tragedia greca, che come diceva Aristotele era suscitatrice negli spettatori di quei sentimenti estetici, che sono pietà e terrore, generatori di una catarsi liberatoria, attraverso un meccanismo di proiezione e di identificazione con i personaggi del dramma.
Nel corso del XVIII secolo e del XIX secolo, in psichiatria, erano stati sperimentati tentativi di cura, sia da parte del marchese de Sade, che dei professori Reil e Hoffbauer, attraverso il teatro su pazienti, chiamati però a rappresentare, destini a loro estranei, con scarso successo.18
Quindi, forse, più vicina alla concezione moreniana di un nuovo teatro, è quella proposta da Antonin Artaud, che segna un momento decisivo nella storia del teatro del Novecento, attraverso “Il teatro e il suo Doppio,”testo pubblicato nel 1938: il doppio del teatro è la vita stessa, la cui presentazione e non la rappresentazione può consentire di scoprire il vero spettacolo.
 
In questi climi emotivi, in queste atmosfere ricche di nuovi fermenti culturali, che attraversano l'inquieta Mitteleuropa, Moreno, fondò appunto lo Stegreiftheater, il teatro della spontaneità, dove egli condusse drammatizzazioni a canovaccio, muovendo dai suggerimenti forniti dal pubblico, in modo che alla drammaturgia si sostituisse la creaturgia: ogni spettatore diventava creattore delle proprie battute; cade, così la quarta parete, e quindi tra palco e platea si crea un interscambio.19
Questo fu lo scenario in cui organizzò la prima sessione psicodrammatica ufficiale, in un famoso teatro il Komodienhaus, senza attori e senza testo, davanti a un pubblico di più di mille persone.
L'intento di Moreno era quello di curare una sindrome culturale patologica, nella Vienna del dopoguerra, dove non c'era nessun re, nessun leader, e l'ultimo monarca asburgico era fuggito in Italia.
 
Quando si alzò il sipario, il palcoscenico vuoto aveva come solo ornamento una poltrona rossa e dorata, dallo schienale alto e imponente che sembrava il trono di un re.
Erano presenti politici, ministri scrittori, che Moreno invitò a salire sul palcoscenico, per recitare la parte del re, e quindi il dramma collettivo di un Austria lacerata dai conflitti, alla ricerca della propria anima.
Tutti si affollarono su quel palcoscenico vuoto, che però restò “vuoto,” perchè nessuno significativamente riuscì a dare vita a “quel trono”: fu un fiasco.... rivelatore della crisi, e cioè dell'effettivo vuoto di potere che logorava la Vienna post asburgica.20
 
Moreno, intanto, nell'Austria in cui si diffondeva il nazionalsocialismo, come ebreo, cominciò ad avere serie difficoltà, che egli esplicita nella sua autobiografia, narrando di un episodio di aggressione, in cui per difendersi da un nazista che lo aveva apostrofato come “ebreo”, nello sferrargli un pugno, riuscì a metterlo in fuga attraverso quasi “un incantesimo carismatico”.
Quì è interessante, come Moreno qualifica l'episodio, sottolineando il potere connotativo della parola, che con i suoi rinvii di senso, definisce la relazione e le sue regole...”Che il Mosè storico fosse egiziano o ebreo, è irrilevante: divenne ebreo nel momento che abbattè quell'egiziano. Allo stesso modo divenni ebreo nel momento che in cui atterrai quel nazista.”21
Quest'episodio, però, gli fa comprendere che è venuto il momento di lasciare l'Austria, per cui nel 1925 si trasferisce in America, a Beacon.
 
Quì aprirà nel 1936, il suo primo teatro terapeutico presso il Beacon Institute, articolato in Centro terapeutico, Centro di formazione e Centro di produzione editoriale, dedicato alle sue opere.
Introduce la psicoterapia di gruppo, settore molto diffuso in America, e mette a punto la sociometria, negli anni 30, funzionale allo studio delle relazioni interpersonali e delle caratteristiche psicosociali di una collettività.
Quest'ultima tecnica, sperimentata su ragazze ricoverate in un riformatorio americano e sui detenuti del carcere di Sing Sing, è tuttora utilizzata in molti contesti socio-educativi.
Pubblica tre volumi sullo psicodramma, oltre ad un giornale sulla psicoterapia di gruppo, e riesce a diffondere il suo metodo in tutto il mondo, ma soprattutto in USA e in America latina.
 
Vorrei concludere con le stesse parole con cui Moreno chiude la sua autobiografia e che sembrano riecheggiare il tema della struttura che connette, di batesoniana memoria, tutti gli esseri viventi con l'universo intero, in una sorta di religiosa immanenza...” la domanda finale è come concretizzare l'immagine di Dio Padre.
Un modo di espandersi quando si ha solo un semplice corpo di uomo è essere l'intero universo, “espandersi come esso, avere più cervello, più occhi, più braccia più gambe, più polmoni, più cuore. Un'altro modo è di accogliere tutto ciò che è già universo, tutta la gente, riunirla, tutto ciò che è separato, uomo e donna, uomo e animale, uomo e pianta, uomo e pianeti e stelle, integrazione del mondo.”22
 
Questa era la sua identificazione con Dio Padre, da cui aveva mutuato quella spontaneità e quella creatività, con cui era riuscito ad approdare a quell'apprendimento 3, al suo script psicodrammatico, senza cadere “lungo il margine della strada”, come Martin Bateson, finendo tra coloro cui “spesso la psichiatria attribuisce la qualifica di psicopatici”, anzichè a quella categoria cui appartiene più spesso il genio, come nel caso di Moreno, la cui migliore connotazione vorrei ancora trarla da una riflessione di G. Bateson, per la forte risonanza estetica che riesce a conferire alla vicenda umana e psicodrammatica del Nostro.. “Per altri più creativi, la risoluzione dei contrari rivela un mondo in cui l'identità personale si fonda con tutti i processi di relazione, formando una vasta ecologia d'interazione cosmica. Sembra quasi miracoloso che alcuni di costoro possano sopravvivere, ma forse alcuni sono salvati dall'essere spazzati via in un empito oceanico di sensazioni dalla loro capacità di concentrarsi sulle minuzie della vita: è come se ogni particolare dell'universo offrisse una visione del tutto.
Questi, sono coloro per cui Blake scrisse il famoso consiglio in Auguries of Innocence e cioè “Vedere il Mondo in un granello di sabbia, /e un Paradiso in un fiore selvatico/racchiudere l'Infinito nella palma della tua mano/ e l'Eternità in un ora.”23
 
1 2002 Jacob Levi Moreno, Il profeta dello psicodramma, Di Rienzo Editore, pag.38
2 ibidem pag 14
3 ibidem pag 22
4 ibidem , dalla prefazione di Ottavio Rosati pag. 8
5 ibidem pag 9
6 G.Bateson, Una sacra unità, op. citata, pag 422.
7 Dall'autobiografia, pag 37
8 John Byng –Hall, Le Trame della famiglia, Ed Cortina 2006 pag 18
9 Bateson ritiene che detto apprendimento riguardi processi di ristrutturazione del Sé e quindi possa avvenire, seppure molto difficilmente, nel corso di conversioni religiose o nell’ambito controllato e protetto di una psicoterapia. Infatti, in detto contesto , compito dello psicoterapeuta è promuovere percorsi di indagine e di cambiamento delle premesse acquisite tramite il cosiddetto apprendimento due, la cui acquisizione avviene durante l’infanzia , è inconscio e come tale inestirpabile.
10 Mente e Natura, ,pag 192
11 Dall’autobiografia op. citata, pag.34
12 ibidem pagg. 46, 47
13 2004 G.Gasca, Psicodramma Analitico,pag.52, ed Franco Angeli
14 ibidem, pag 52
15 1987, Diego Napolitani, Individualità e gruppalità, pag 260, BollatiBoringhieri, Torino,
16 1980 , Principi di sociometria , psicoterapia di gruppo e sociodramma, Etas Libri, Milano pagg, 290, 291
17 1980, Moreno, Il teatro della spontaneità, Nuova Guaraldi, Firenze,, pag. 235
18 Grete Anne Leutz, Rappresentare la vita, pag 36, ed Borla
19 Ad vocem Moreno , pag 730,Dizionario dello Spettacolo del 900, a cura di Felice Cappa e Piero Gelli, ed Baldini e Castaldi
20 autobiografia pag 87
21 IL Profeta dello psicodramma, op citata, pag. 109
22 ibidem pag 162
23 1976, G. Bateson , Verso un ecologia della mente, ed Adelphi , pag 335


Rosanna PizzoRosanna Pizzo
Consulente relazionale (counsellor), esperto dell'ascolto e della comunicazione e del processo di aiuto alla coppia, alla famiglia, al singolo e all'adolescente.
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