tutti, nessuno, mai sempre...generalizzazioni che ci allontanano dalla nostra concreta realtà


tutti, nessuno, mai sempre...generalizzazioni che ci allontanano dalla nostra concreta realtà

 

            La Programmazione Neuro Linguistica con rapidità tende a darci la misura di quanto ogni generalizzazione, operazione molto praticata da ciascuno di noi, sia così infida che mentre sembra offrire un razionale sostegno ad ogni nostra convinzione, in realtà la priva di ogni plausibile fondamento.

Generalizzare potrebbe aver una qualche validità se gli uomini fossero simili, almeno un po', a sistemi lineari, ma ognuno di noi addirittura ama rivendicare la propria diversità, anche se millesimale, rispetto ad ogni altro. Ognuno di noi è convinto di nutrire un mondo interiore che non è facilmente comprensibile agli altri, in quanto esclusivamente proprio, appunto.

 

            Dunque, ogni volta che affermiamo con convinzione che per tutti sempre o mai è valido un certo principio, in realtà non stiamo convalidandone l'efficacia, stiamo solo astrattamente ipotizzando che, se tutti fossimo uguali, quel principio varrebbe per tutti. Le occasioni per cadere in una simile strettoia da cui poi è difficile e arduo allontanarsi, sono più frequenti di quanto non si creda, suggerite e addirittura canonizzate dalla omologazione dilagante, l'effetto più macroscopico e parcellare della globalizzazione.

            La riflessione che da tempo mi attrae riguarda in particolare il Therapeutic Touch: una forma d’interazione umana che, da decenni diffusa, viene proposta con maggiore convinzione e adottata negli ambiti più diversi con atteggiamenti sicuri e che non ammettono dubbi.

Non intendo in alcun modo mettere in  dubbio la validità di questa formula che per tanti aspetti si avvicina al corretto modo di prendersi cura autenticamente della persona in difficoltà, piuttosto ciò che intendo sottolineare è che troppo frequentemente tale metodo viene dai nuovi e numerosi adepti accettato del tutto acriticamente come la panacea di ogni male. Credo, insomma che dovremmo, come consapevoli operatori nell'ambito della relazione d'aiuto, mantenere attenta la nostra osservazione su circostanze, condizioni e soprattutto sulle peculiarità del tutto individuali di ogni persona di cui ci occupiamo.

Ciò che accade per tanti rimedi, per tante scoperte, accade anche in  tale ambito: ci si infervora a tal punto da dimenticare i se e i ma, finendo per assolutizzare risultati ed efficacia (così che decantano i vantaggi strabilianti di questo magico tocco, anche professionisti affermati e autorevoli). Approfondire, costruire, studiare, confrontare esperienze, coinvolgere e rassicurare l'altro: questa è la strada per far sì che quel tocco abbia effetti benefici, che sono e debbono restare ben lontani dalla magìa.

            Il Therapeutic Touch deriva da uno dei più antichi metodi esistenti: la pratica dell`imposizione delle mani. Questa tecnica, ripresa e sviluppata negli ultimi 30 anni è insegnata, impiegata e sperimentata negli Stati Uniti. Fu introdotta nel 1971 dalla dott.sa Krieger nella New York University School of Education, Division of Nursing, che aveva iniziato le sue ricerche in questo campo alla fine degli anni 60 ottenendone dati scientificamente rilevanti.

Il metodo è stato introdotto come parte del corso di studi della Division of Nursing dalla New York University dove la dott.sa Krieger ha insegnato fino agli anni 90. Attualmente grazie agli sforzi indefessi della dott.sa Krieger e Dora Kunz, e i loro enormi contributi al campo infermieristico, derivanti dall'avere portato una tecnica complementaria all’interno di una cornice scientifica, il Therapeutic Touch è insegnato in quasi tutte scuole di infermeria e nei colleges e università americane, come metodo complementario per personale infermieristico. Il primo libro “How to use your hands to help and to heal” (come usare le vostre mani per assistere e guarire) e gli altri libri della dott.sa Krieger sul Therapeutic Touch sono diventati i manuali degli operatori che esercitano Therapeutic Touch negli Stati Uniti.

In Italia “Il contatto Terapeutico” Mediterranee, “Il Tocco terapeutico” La forza guaritrice del Therapeutic Touch. Maud Nordwald Pollock "Dal cuore attraverso le Mani"

[http://www.maud-nordwald-pollock.com/un_nuovo_metodo_art.htm]

            Non sono in discussione fondamenti e procedure del Therapeutic Touch, ma soltanto le modalità con cui siamo tenuti ad usarlo. In fondo, si tratta di norme basilari che riguardano due aspetti essenziali: la persona che abbiamo di fronte (non un ipotetico cliente/paziente) e la solidità o meno della reciproca intesa/collaborazione tra perdona in auto e operatore, a risolvere il problema posto.

Riguardo alla persona, ad esempio, possiamo dare per scontato che ami essere avvicinata e toccata e che sia in grado di percepire quel fluido che dal mio tocco si trasferisce a lei come benefico e salutare? Direi proprio che non possiamo, al punto che molti di noi counselor sanno bene quanto sia opportuno evitare all'inizio del primo incontro persino quella semplice stretta di mano, che poi risulterà del tutto naturale condivisa e con calore al momento del congedo, dopo che si è instaurata una autentica relazione improntata alla fiducia. E, in riferimento alla prossemica,  quante volte ci è accaduto di ascoltare chi, geloso della propria sfera personale, rivela di nutrire un vero e proprio fastidio ad essere sfiorato, a sentire l'altro che gli parli da distanza troppo ravvicinata?

L'altro aspetto, della intesa/collaborazione (comunemente definito alleanza terapeutica e che trovo inadeguato al counseling che non è terapia) riguarda quel profondo e importante elemento di condivisone di fiducia e affidamento al counselor, senza il quale nulla che il counselor decida di operare avrà effetti efficaci e duraturi sulla persona in aiuto.  Sarà essenziale arrivare a costruire questa intesa, prima ancora di affidarsi alla tecnica, sia pure di così comprovata  efficacia come quella su cui si rifletteva poco fa, come di qualsiasi altra tecnica o di qualsiasi approccio di counseling.

            Ciò che come counselor siamo chiamati a realizzare è l'autenticità di un percorso di crescita per noi e la persona in aiuto, nel quale mai la tecnica prenda il sopravvento su qualità e intenzioni squisitamente umane e professionali consapevolmente adattate alle necessità, ai bisogni, alle richieste della persona che ci sta chiedendo aiuto.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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