buone le strategie, ma non i ...risultati


buone le strategie, ma non i ...risultati

           

            Siamo ben  consapevoli che una strategia benché sia autorevole, ben congeniata e di successo può risultare del tutto o quasi inefficace per alcuni soggetti, perché indicare con precisione, competenza e in accordo con prove sperimentali e protocolli la cura, non equivale affatto a prendersi cura della persona. Così accade ad esempio per le cure mediche, di lievi malanni  come di gravi  patologie: ciascuno di noi reagisce al farmaco e alla cura non solo fisiologicamente bensì anche (molti specialisti affermano "soprattutto") emotivamente. Accade, ne siamo certi e tuttavia quel diaframma e quel rapporto osmotico tra il nostro essere fisico e la nostra sfera emozionale che azzera o enfatizza gli effetti benefici della cura,  continua a sfuggirci, è imponderabile, agisce con tempi e modalità solo qualche volta prevedibili, più spesso imprevedibili. Meraviglioso sistema non lineare quello umano e merita che la cura sempre si accompagni al prendersi cura della persona nella sua interezza e complessità.

Con riferimento al mondo della comunicazione (compreso il "passaparola") e della pubblicità, non è raro (è accaduto anche su queste pagine) che si sottolinei con disappunto il proliferare, ogni giorno con maggiore forza e sapienza mediatica, di "ricette" e cure ben confezionate, strategie risolutive per ogni problema che coinvolga intere comunità, o coloro che si sentono a vario titolo esclusi (e sappiamo che plurime sono le forme di esclusione), che sia problema organizzativo del vivere quotidiano, della ricerca di svaghi, o del senso della vita. Per ogni esigenza, ci è possibile e facile trovare soluzioni declinate da esperti, con perizia allenata, in ben definiti passaggi resi ancor più appetibili da testimonianze di provata efficacia e immediati risultati.

            Se qualcuno tuttavia prova con buona volontà a seguire quei precetti che vengono presentati infallibili, quasi sempre resta deluso, e come counselor abbiamo esperienza di persone che chiedono il nostro aiuto proprio dopo aver tentato alcune di queste soluzioni: non sono persone deluse dalla ricetta e disposte a nutrire seri dubbi sul fatto che possa veramente avere efficacia, sono persone che stanno riversando la delusione verso se stesse. Arrivano a noi dopo che, per giorni o forse anche più, hanno provato a farsene una ragione, o, peggio, a riprovare e ad insistere consultando amici e parenti o a cercare sul web chiunque viva la loro stessa condizione (nell'ipotesi del tutto irreale che possano esistere due persone esattamente identiche) e sono arrivati al punto di compromettere la propria autostima. Che il counselor abbia contezza di che cosa stia accadendo e di quanto fosse prevedibile, non significa che gli sia facile aiutare la persona a risolvere il problema, osservando la situazione con altro punto di vista, tuttavia è sulla base di questa competenza che la relazione counselor/persona in aiuto si andrà a misurare.  

            Il focus del problema può così essere sintetizzato: poiché ognuno di noi evidentemente e inconfutabilmente vive ogni momento della sua vita, ogni situazione e condizione in modo squisitamente personale  e non trasferibile ad altro, soltanto una rara e fortuita combinazione potrà comprovare l'efficacia di una strategia, teoricamente impostata e rivolta genericamente a tutti, anche per   risolvere o far sparire all'incanto il problema che lo assilla.

Se la persona ha creduto per ingenuità -quasi sempre inconsapevolmente- che qualità della strategia e proprio coinvolgimento fossero sufficienti ad assicurare un evidente risultato, al counselor spetta il compito di partire proprio da questa relazione ambigua tra la persona e le sollecitazioni mediatiche, una relazione contaminata nella quale la pressione mediatica, assumendo l'autorità coercitiva del genitore, pone la persona in una posizione di soggezione e dipendenza. Il problema vero è dunque risollevare e nutrire l'autostima della persona in aiuto, ristabilendo una qualche autonomia dalle influenze esterne: la strategia che la persona ha tentato di mettere in atto può in effetti essere precisa e corretta, ma perché possa esprimere quell'efficacia anche corredata di relativi se e quando e come ...occorre che venga personalizzata e declinata su concrete - individuali situazioni fisiche ed emotive.

            Una persona, ad esempio, che non riesce ad appropriarsi della propria vita, che non riesce a prendere decisioni, a fare scelte in grado di rimuovere ciò di cui si lamenta con se stessa e con gli altri, è una persona che mentre desidera, sia pure in termini vaghi e generici, di diventare forte, ammira/invidia coloro che intorno a lei mostrano un comportamento sicuro e tuttavia ogni volta che tenta di porsi una meta anche piccola, si lascia confondere e sovrastare da dubbi, previsioni negative, ostacoli reali e ipotetici, ecc ...fino a che non ritrova le solite e solide giustificazioni all'immobilità, proprio quelle che le restituiscono il suo equilibrio. Una persona che da qualche anno vive in questa condizione (l'esempio non è teorico, bensì è riferito ad una persona reale che ha richiesto il mio aiuto)  come credete possa re-agire quando le accade di provare un esplosione di entusiasmo per una nuova strategia, fosse pure per una dieta alimentare più sana o addirittura per una sua crescita verso l'autonomia decisionale? Credete forse che sia in grado di dirsi la verità, di smetterla di raccontarsi storie, di comprendere che se resta incatenata alla sua condizione è solo perché è questa in fondo la scelta che lei ha fatto. E se quella ricetta che la entusiasma le propone/intima di essere finalmente sincera con se stessa, credete forse che possa essere in grado di comprendere che cosa questo significhi veramente e soprattutto di agirlo? Ad una persona così incerta ad intraprendere una nuova strada e così tenace a mantenersi stretta la realtà che vive, potremmo chiedere di guardarsi allo specchio per dirsi tutta la verità, per raccontar-si tutto (altro invito pressante e gridato a gran voce da strategie vincenti)credendo che possa essere in grado di farlo?

Quella voglia di applicare una strategia d'urto, vedendosi attraverso il proprio comportamento, di desistere dal voler trovare giustificazioni a quanto non si è fatto nel Passato e alla propria immobilità nel Presente, saranno il primo necessario traguardo da raggiungere, il primo atto di una crescita. Soltanto dopo questa conquista sarà possibile aiutare la persona a scoprire tempi e modalità di una strategia risolutrice fondata sui suoi bisogni, emersi da una nuova consapevolezza di sé. Certo, questo percorso è ben più complesso che diffondere una strategia genericamente rivolta a tutti e magari potenzialmente efficace e vincente, basata su princìpi  dei maestri del counseling nei suoi diversificati approcci, ma è il primo irrinunciabile presupposto per un risultato, il prendersi cura della persona che abbiamo di fronte.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

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