quando l'accettazione dell'altro ci induce ad ignorare i nostri confini ...


quando l'accettazione dell'altro ci induce ad ignorare i nostri confini ...

 

            Ci accade talvolta di sentirci gravati dal peso delle relazioni interpersonali, al lavoro, in famiglia, persino con gli amici, una condizione quasi mai legata alla reale difficoltà di rapporto con l'altro, bensì ad un progressivo dispendio di energie e, dunque ad uno stato mentale-emotivo di mancanza di risorse, insomma di pura e semplice stanchezza.  In questi momenti, ci accade di desiderare di allontanarci dagli altri, a cui continuiamo comunque a sentirci legati, abbiamo bisogno urgente di ritrovarci, di passare un po' di tempo soli con noi stessi.

 

L'espressione del nostro volto,  il tono della voce, gli atteggiamenti che assumiamo e persino i nostri comportamenti appaiono allora -e sono- diversi dai nostri abituali. Tutt'intorno a noi avvertiamo sguardi interrogativi di colleghi, amici, familiari, e  qualcuno di loro con grande garbo ci chiede che cosa ci sta preoccupando o se per caso ci ha offeso in qualche modo.

            Alla nostra stanchezza interiore si aggiunge l'evidente e incolpevole incomprensione degli altri, di quelle persone a cui pure teniamo e con cui desideriamo continuare ad avere legami di amicizia e condivisione di interessi, valori, occupazioni, progetti e così... finiamo per cedere. Cediamo sì, ma non alla stanchezza, mantenendo il nostro momentaneo "esilio" dalla comunità, finiamo per cedere alla delicata pressione degli altri e ci imponiamo di sorridere per non lasciarli in allarme, ignorando il nostro pur legittimo bisogno.

Il nostro comportamento non è risolutivo, non ha in sé neppure un briciolo di strategia, ma ci appaga e quasi ci comunica una sensazione di protezione, liberandoci dalla naturale curiosità indagativa altrui, quella curiosità che proprio noi, con il nostro comportamento enigmatico abbiamo suscitato.

            Un counselor, dopo averci ascoltato, ci indurrebbe a intravedere una soluzione al problema e presto sentiremmo che a noi occorre ri-stabilire il confine, quella sottile ed essenziale linea di demarcazione tra noi e l'altro, fondamento di una relazione equilibrata, certamente non defatigante. Prenderemmo consapevolezza che abbiamo semplicemente inteso la relazione con l'altro sempre fondata su  ascolto, osservazione, capacità di adattamento, definizione e risoluzione dei problemi dell'altro, curiosità, apertura mentale, pazienza, tolleranza, perseveranza, flessibilità e rispetto dell'altro, ma non ci siamo affatto curati di guardarci dentro per porre attenzione alle nostre emozioni, ai nostri bisogni, alla nostra capacità di gestire un dialogo con l'altro su posizioni e valori diversi e di gestire lo stress che questo comporta. Forse proprio per sconfiggere l’ansia di una relazione in cui siamo chiamati ad esprimerci lealmente anche in disaccordo con l'altro, abbiamo preferito l'accettazione dell'altro comunque e sempre, ignorando di fatto che cosa sia empatia. Da qui origina la nostra fatica e la nostra stanchezza.

Indubbiamente ri-stabilire il confine significa stabilirlo di nuovo, ri-posizionare la linea di demarcazione tra me e l'altro come desidero e ho in precedenza sperimentato, ma se quel confine io proprio non l'ho mai posto, o almeno non delineato con efficacia, comincerò a comprendere che quel  confine va  "costruito" ex-novo.

Da adulti e con  il ritmo frenetico che la vita quotidiana oggi impone non è impresa facile, anche se siamo determinati e sorretti da una forte volontà. Un confine improvviso e apparentemente immotivato -perché tale apparirebbe anche alle persone a noi più care- implica numerosissimi problemi e per affrontarli, prima ancora che per risolverli, occorrono spiccate abilità comunicative in grado di evitare una serie di fraintendimenti che, per quanto ingiustificati, esploderanno con forza. Noi abbiamo per primi creato situazioni relazionali improntate ad una tale disponibilità verso l'altro da renderle difficili da sostenere e tuttavia proprio perché coinvolgono altri, non possiamo modificarne quelle regole, che implicitamente noi e gli altri da tempo abbiamo accettate, unilateralmente senza insomma che l'altro, gli altri ne provino sorpresa e forse rifiuto. Ci aspetta un cammino arduo e che procederà con passi piccoli e lenti, ma è un piccolo prezzo se il traguardo che otterremo sarà l'acquisizione della nostra autentica autonomia dagli altri di cui continueremo ad essere profondamente  rispettosi come avremo imparato ad esserlo di noi stessi.

            Prossimamente sarà opportuno saggiare qualche motivazione del come possa accadere di comportarci come se ci sentissimo "non ok" di fronte a tanti che "sono ok", attribuendo agli altri ruolo di priorità si di noi.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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