ACCETTAZIONE, LASCIAR ESSERE, TRASFORMAZIONE



L’accettazione è sinonimo di “lasciar essere”.
Lasciar essere significa accostarsi alla natura delle cose senza interferire, permettere loro di esistere proprio così come sono e si danno all’esperienza.

 


Nel lasciar essere noi ci cimentiamo nell’arte di “essere d’accordo” con la realtà.
Un arte che prevede un training e un allenamento costante, continuo e specifico.
Parte importante di questo training, come descrive Corrado Pensa in “La tranquilla passione” consiste nel sostenere a lungo lo sguardo sulla nostra non-accettazione, sul nostro chiuderci sul nostro non essere quasi mai d’accordo con quello che accade.


Il lasciar essere, l’accettare le cose così come sono, non implica disinteresse, indifferenza o rassegnazione; al contrario l’essere delle cose o il loro modo di apparire alla coscienza fenomenicamente ci interessano moltissimo.


Ci interessa in modo equanime, o nel modo dell’”indifferenza creativa” come viene descritta nella Gestalt che può essere riassunto più o meno così: “mi interessa sia che sei così, mi interessa allo stesso modo che sei altrimenti .”
Manteniamo un rapporto vivo con le cose rimanendo aperti ad ogni possibilità.


Questo è molto diverso dalla mente ordinaria che dice sempre “mi interessa se sei così, non mi interessa invece se sei in quest’altro modo”.

Significa mettere da parte le nostre preferenze, per aprirci alla realtà così com’è..

Bisogna fare molta attenzione però, perché questi processi sono per lo più inconsci.

Il nostro disinteresse, la nostra non accettazione il nostro “non essere d’accordo con la realtà” agiscono in buona parte sotto il livello della nostra coscienza.

Accettare significa anche permetter alle cose di mostrarci la loro vera natura. ..di mostrarsi a noi nella loro natura.

Il lasciar essere implica il conoscere secondo natura.
Quale natura si evidenzia in particolare?…

La natura di “processo” dei fenomeni.

Quella che nel buddhismo viene chiamata impermanenza.


Quando non accettiamo qualcosa, ci opponiamo, oppure ci accostiamo con mente confusa, impediamo il manifestarsi della natura di “processo” dell’evento favorendone il suo apparire come “cosa”.

Detto in altro modo priviamo noi stessi della facoltà di conoscere le cose, gli eventi, come processi dinamici e mutevoli e li trasformiamo in oggetti solidi, reificandoli.

Sappiamo che tutto ciò che esiste è un processo dinamico in continua trasformazione anche se spesso ci appare come una cosa solida.

Proprio questa natura di processo che ci sfugge quando resistiamo.

Non accettare, resistere è solidificare, non permettere alle cose di cambiare, di mostrarsi nella loro dinamicità .

Prendi ad esempio un dolore lieve o una qualunque sensazione spiacevole.
Questa, conoscendola bene da vicino, è fatta di tanti piccoli momenti diverse di tante sfumature di sensazioni, pressione calore, ecc…
Insomma è un processo continuamente mutevole.

Se invece lo etichetto semplicemente come "dolore," concettualizzandolo ed opponendomi ad esso, cercando di rifiutarlo e di non sentirlo, lo percepirò come un oggetto solido fastidioso stabile, di cui devo sbarazzarmi il più presto possibile.

Ecco la genesi della sofferenza, che come ha insegnato il Buddha, non sta nel dolore in sé ma nel fatto che credo che potrò essere in pace o felice solo dopo essermene liberato.

Mentre se mi permetto di notare e forse di apprezzarne con curiosità le sfumature, alcune più spiacevoli, altre meno, alcune forse interessanti, ne avrò un esperienza sicuramente meno dolorosa.. e non sarò risucchiato nel vortice dell’avversione uno degli inquinanti della mente.

Quindi nella modalità del resistere, ci impediamo di conoscere e di entrare in contatto con l’esperienza attraverso verità e chiarezza, ed entriamo invece in relazione alle cose attraverso confusione e opacità.

Quali domande utili ci possono aiutare ad esplorare questo processo?

“Cosa non sto accettando in questo momento?” diventa anche  "a cosa non sto permettendo di rivelarmi la sua natura?” “Quale verità mi sto impedendomi di vedere?”

L’accettazione è connessa anche alla trasformazione.
Come ci ha insegnato quello che potremmo chiamare il paradosso di Rogers.

Se non faccio un’ esperienza piena di qualcosa mi impedisco di lasciare che si trasformi e mi impedisco anche di trasformarla io stesso creativamente se lo desidero.

Trasformazione creativa, dettata dalla consapevolezza, dal riconoscimento, non dal condizionamento e dalla reattività.

Solo se accetto pienamente un emozione come la tristezza, la posso sperimentare nella sua dinamicità, il suo essere un processo mutevole piuttosto che una cosa.

Mi privo di conoscere la sua natura impermanente, e la solidifico in un concetto.
E cosa succede se la solidifico? Che lei rimarrà lì molto tempo più di quanto farebbe naturalmente, quindi sto aumentando la mia sofferenza, non la sto diminuendo se la rifiuto.

Mi impedisco, inoltre di poterla anche trasformare
creativamente, di farne ad esempio un dipinto, una danza un canto, in quanto l’ho rappresentata a me stesso come un oggetto solido e permanente, sul quale non ho molto potere, privandomi così della possibilità creativa di incidere esprimere e trasformare.

Come trasformare  creativamente le emozioni  di disagio, può essere lo stimolo ad intraprendere un percorso di artcounseling o counseling espressivo, che è quello di cui mi occupo: utilizzare l’arte e ogni forma di creatività per esplorare se stessi e trasformare i propri sentimenti il proprio sentire, le proprie emozioni.

Ma solo dopo averle pienamente accettate. :) 

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