una difficoltà di comunicazione che ci coglie impreparati...


una difficoltà di comunicazione che ci coglie impreparati...

 

            È per lo più sottaciuta, fagocitata da altri aspetti relazionali altrettanto problematici che occupano il centro dell'interesse di media, formatori, educatori, sociologi e osservatori della nostra complessa società: è la difficoltà di relazionarsi tra quarantenni e sessantenni.

            Le difficoltà di comunicazione più urgenti e complesse in base alla risonanza mediatica sembrerebbero essere quelle che gli adulti incontrano con le nuove generazioni, bambini e soprattutto adolescenti. Non c'è dubbio che educare i bambini o relazionarsi con gli adolescenti, soprattutto oggi, richieda agli adulti una competenza e un savoir faire tutto nuovo, ma, proprio per questo, quando gli adolescenti arrivano alla soglia della giovinezza e poi entrano in quella che -un tempo- si chiamava l'età matura come è possibile che il problema sia scomparso?

 

            Che la relazione tra quarantenni e sessantenni non sia identica a quella che piega e sferza educatori e adolescenti, è di tutta evidenza a chi la vive: il quarantenne si considera anch'egli un adulto, come adulto è quel sessantenne, genitore, datore di lavoro, ecc.. che, secondo un diffuso e condiviso pensiero, non è in grado ormai di capire il presente e dunque dovrebbe lasciare campo libero ai nuovi adulti.

            Se appare quasi impossibile dialogare con gli adolescenti e si parla più di ripetute tentate soluzioni fallimentari da parte di educatori, che di soluzioni accettabili o efficaci, come potrebbe d'incanto nascere il dialogo tra ultracinquantenni e trentenni, tra sessantenni e quarantenni?

Dialogare con un quarantenne è impresa impossibile anche a chi è abituato a gestire il  divario tra generazioni, per un piccolo infinitesimale particolare: è una relazione di fatto ancora asimmetrica (esempio genitore-figlio), ma vissuta da entrambi e per motivazioni evidentemente assai diverse, come simmetrica. Il figlio si sente adulto come il padre, il padre, più avvezzo a comportarsi da amico che non da educatore, avverte in pieno la propria inferiorità rispetto alle conoscenze, abilità, capacità del figlio, così che rifiutando in modo morbido e impercettibile ogni giorno di più il proprio ruolo, subisce il confronto (appunto previsto solo tra pari).

            Non c'è nessuna magica materializzazione, il dialogo permane introvabile, tanto che si è indotti a credere che persino sia inesistente in natura, una chimera inventata da abili manipolatori di business e marketing.

            Il problema è reso ancora più stringente oggi in quanto non è raro che i figli quarantenni vivano ancora nella casa dei genitori. Il nodo non è, come in tanti con tracotanza hanno affermato trovando anche tanti seguaci, l'incapacità dei figli a staccarsi dal nido, ad assumersi le proprie responsabilità, anzi più spesso è proprio la loro visione realistica, concreta e priva di slanci di utopia che li induce a rendersi conto che di fatto non possono permettersi completa autonomia economica neppure se hanno un lavoro. Quando si parla di "sdraiati" o peggio di nullafacenti, forse è il caso che riflettiamo su come le generazioni che li hanno preceduti -cioè le nostre- hanno scippato dalla loro vita sogni  e convinzioni che hanno il meraviglioso potere di rendere audaci, di lottare con coraggio nonostante tutto, nonostante la realtà sia ostica e nemica. A noi questa forza è stata concessa, forse talvolta non abbiamo saputo usarla ma è stata così potente che ancora resta vitale in noi.  Dunque questi quarantenni, spesso single e i sessantenni, figli e genitori, tutti adulti vivono una co-abitazione. E da quando in qua la coabitazione è condizione desiderabile o semplice?

            Siamo convinti che nelle relazioni affettive non può esserci un vincitore e un perdente  e così in quel complicato sistema famiglia o si vince tutti o si perde tutti: ecco, appunto, il timore è che in questo specifico caso l'incomunicabilità la faccia da padrona.  Se provassimo a riconoscere che le difficoltà, per quanto diverse, attanagliano noi genitori e loro, i figli?

            Chiediamoci: qualcuno ha permesso loro che sperimentassero la fiducia in se stessi e nel diritto individuale di avere successo nella vita? 

La fiducia in se stessi è una condizione indispensabile per raggiungere delle prestazioni d'eccellenza; senza di essa la persona è carente della convinzione essenziale per accettare, lungo il percorso della vita, nuove e appaganti sfide.

Strettamente correlata al senso di fiducia è l' autoefficacia, espressione della forza della nostre convinzioni e della capacità di credere nella possibilità di realizzare noi stessi.

Per garantirci la nostra espressione non basta sapere che abbiamo delle capacità, ma è necessario credere fermamente in esse: Abbiamo collaborato in qualche modo a creare le condizioni perché questo fosse possibile?

            Il pensiero mi corre alla gestalt,  l'approccio che si propone proprio come l'esplicitazione e conoscenza di quanto è ...ovvio, visibile intorno a noi e in noi.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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