L’ENTROPIA DEL FALSO SE’. L’urgenza del riconquistare la propria unicità

Inviato da Nuccio Salis

io e la mia ombra

Separare e classificare, creare categorie, generare modelli e costrutti, risulta sia nell’ambito scientifico che nella nostra ordinaria attività rappresentativa, la via probabilmente più comoda e facile per avere a disposizione immediati paradigmi comuni di conoscenza e interpretazione del mondo. L’approccio esperienziale di tipo empirico, fra l’altro, spintosi alle sue estreme conseguenze, sembra aver forgiato un tipo di soggetto incapace di leggere la intima natura degli eventi, nel caso in cui egli si ritrovasse in assenza della possibilità di collocarli dentro dei sicuri e condivisi orizzonti concettuali.

 

La ricerca di un contenitore, ove catalogare e mappare ogni fenomeno, diviene peraltro esigenza del tutto legittima, dal momento che all’interno di un percorso di ricerca emerge la necessità di disporre con ordine ogni forma del sapere. Coll’andare del tempo, tuttavia, pare che questo modo di procedere, da mezzo rigorosamente e meramente tecnico, abbia finito con il sostituirsi al fine stesso di un percorso di studio, ovvero sia ormai in grado di suscitare sconcerto e disorientamento in chi mal sopporta di non trovare spiegazioni note a ciò che si presenta come sfuggente e avvolto dal mistero.

Questo tipo di procedura ha sviluppato nel tempo una visione preconcetta nel descrivere la conoscenza, frantumandola in aree specialistiche, isolate a scompartimenti blindati. In pratica, il bisogno iniziale di dare ordine e senso alla complessità, ha trasceso in un riduzionismo che ha frantumato le attività del sapere, disconoscendone l’interdipendenza. Tale fattore, peraltro, risulta proprio l’elemento chiave essenziale per tentare di comprendere le autentiche e profonde caratteristiche di ciò che è oggetto di studio e di riflessione.

L’impegno, ancora corrente, consiste nel recuperare una visione sintetica che non trascuri giammai la possibilità di compenetrare analiticamente ciascun fenomeno in esame, ma che al tempo stesso non lo strappi dall’insieme dentro cui è collocato. Sarebbe in pratica come guardare un mosaico, dal momento che per poterlo osservare non fissiamo i singoli frammenti, ma li cogliamo all’interno di un sistema di rapporti che ci permette di percepirne la globalità.

Un efficace percorso epistemologico, peraltro, consisterebbe proprio nel conservare questo delicato equilibrio fra attenzione verso il dettaglio e visione d’insieme. Si è invece dovuto assistere, purtroppo, con la diffusione di un modello classificatorio e separatista, ad una costante affermazione di uno stile dualista che ha finito con lo scollare non soltanto il rapporto fra le dimensioni della conoscenza, ma anche il soggetto umano da se stesso. Nel senso che l’uomo, da Uno è diventato Due, giacché immerso in questa dominante ottica dualistica, ha perduto l’originaria e primigenia essenza di se stesso, ed ha così imparato a giudicare, se stesso ed i propri simili, sulla base di antinomie che non ammettono dialettiche intermedie. L’idea di Bene contro l’idea di Male, il Bello contrapposto al Brutto, il Giusto avverso al concetto di Sbagliato; tutto rovinosamente precipitato dentro un limitato panorama di illusioni e di verità pretestuose.

E così, ciò che è caratterizzato dall’imponderabile, e che non contemplabile dagli attuali strumenti concettuali o mezzi empirici, viene rigettato nell’Ombra. All’interno di questa tipologia di visione delle cose, in cui tutto si sdoppia, ogni elemento diviene antitesi della sua parte speculare, perdendone così la caratteristica di complementarietà e di corrispondenza. E così Luce e Ombra divengono nemici, agli occhi di chi le considera in questo modo, e vi si nega ciò che è invece il Principio di ogni cosa, proprio in virtù del loro rapporto. Dalle bibliche tenebre che ricoprivano gli abissi, diviene infatti la Luce, che essendo infinita è sempre esistita, e che non ha mai sostituito del tutto il Buio. Questa è peraltro l’essenza riflessa e riprodotta nell’anima dell’essere umano, microcosmo speculare che contiene l’immensità cosmica (“Il Regno di Dio è dentro di te”).

Eppure, perfino una certa psicologia (sia teorica che applicata), ha scisso l’entità umana, e non con poche conseguenze (“L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”). Penso per esempio alla divisione netta fra ‘Self’ e ‘Not Self’, e mi chiedo come sia possibile pensare che possa esistere una dimensione di ‘Non Sé’, dal momento stesso in cui il Sé risulta un enorme bacino potenziale di moltitudini, di possibilità espressive immense, di flessibili e insospettate risposte alle sollecitazioni pervenute dall’ambiente.

Ma come si può soltanto pensare di ridicolizzare in questo modo un essere umano? Come si può accettare di mortificarlo così atrocemente, e col dolo della perseverazione, inducendolo a pensare che egli sia (s)composto di due microentità distinte? Se io, come operatore dell’aiuto, mi trovo a dover assolvere il compito di salvaguardare il senso di integrità del mio interlocutore, come posso fomentarne la schizoidia, convincendolo che è fatto di due parti contrapposte?

La proposta di una tale considerazione di sé è contraria a ogni principio di unità, e dunque lede a mio parere ogni prospettiva di equilibrio e di salute nel rapporto con se stessi e con gli altri.

Nel momento stesso in cui mi dico ‘io sono ciò che non sono’, compio una contraddizione in termini, e induco a suddividermi, a negarmi ogni potenziale, a ricacciare nell’abisso ciò che invece dovrei guardare ed affrontare a viso scoperto. È molto semplice affrancarsi da qualità dell’essere che non vorremmo avere, e con cui non desideriamo identificarci e nemmeno venirne a contatto. Ed infatti non si tratta di forzarle in un ghetto da cui non vorremmo che emergessero, per non parlare di noi. Si tratta invece di imparare ad accogliere anche tutto ciò che nella nostra cultura è considerato non pertinente e sconveniente, per la personalità che deve avere caratteristiche mediamente riconoscibili, codificabili ed accettate dai più. Però è proprio questo che dovrei sollecitare nell’altro, il percorso inverso in direzione della sintesi, della riconquista di sé, del ritrovamento di quegli elementi autentici da cui ciascuno di noi viene derubato e sprovvisto, nel nome di un adattamento sociale che invece di produrre integrazione, molto spesso aliena e sopprime l’individualità. Ciò ci strappa dal rapporto con noi stessi (separazione dell’Uno) e dal contatto col la Fonte (separazione dall’UNO), rendendoci dimentichi della nostra vera essenza e natura, cacciandoci in quel limbo attorcigliato dei disagi quotidiani, che altro non sono che l’effetto di questa rottura dall’Unità Originaria. Si apre così il sipario di una tragedia i cui protagonisti sono i nostri Sé rinnegati, e tutti quei processi e vissuti che nutrono una parte di noi che non chiamerei ‘Non Sé’, quanto un falso Sé, che comincia ad ergersi a commediante principale, una sorta di primo attore che finisce per impersonificarci, per possederci e mostrare una propria volontà indipendente. Questo ‘Io parassita’ vive di esperienze ricacciate, di blocchi energetici e vitali, che ricoltiva a sua volta, come in un circolo vizioso. Egli risucchia le forze positive della persona da cui ha trovato terra fertile per la sua mortifera attività. In pratica, ogni forma di energia inespressa, poiché non può disperdersi ma soltanto trasformarsi, diventa cibo per questo mostro interiore, che divora e spolpa dall’interno la sostanza di cui ciascuno di noi è costituito dagli albori: pura Gioia.

Dover constatare che molti esseri umani debbano compiere un cammino per riappropriarsi di ciò che già sono, è prova schiacciante del fatto che le influenze sociali pervertono  verso una involuzione, ed accecano sulla propria reale natura, invece di sostenerci per continuare il nostro percorso di crescita e di apprendimento, che ci ha motivati a compiere l’esperienza che stiamo svolgendo.

Utilizzando il linguaggio proposto dallo psicanalista junghiano Pierre Daco, potremmo affermare che c

ciascuno di noi nasce già come “metapersonalità”, già totalmente avvicendata con la trama dell’Universo, e che viene ridotta e pressata ad essere una “infrapersonalità”, uniformata ai caratteri sociali richiesti, e a cui sono disconosciute e disprezzate tutte quelle manifestazioni che hanno legami con il trascendente: sogni, premonizioni, sincronie, illusioni, senso del magico. E così la personalità umana viene annichilita dentro una scatola da cui non può permettersi di uscire. Ed allora la salute umana diviene una vera e propria sfida alle convenzioni ed ai meccanismi rituali che stoppano l’evoluzione spirituale umana, e la rinascita di sé passa allora proprio per lo smembramento di questo grande incantesimo indotto.

E solo l’uomo che impara a dialogare con la propria Ombra, potrà scoprire che questo dia-lògos, per l’appunto, è tutt’altro che realtà sdoppiata che interloquisce, ma è sempre se stesso che compie l’esperienza più impegnativa ma anche più gratificante: diventare persona.

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