LA CONSAPEVOLEZZA DEL PRESENTE


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LA CONSAPEVOLEZZA DEL PRESENTE

 

Ognuno di noi vorrebbe trovare una dimora, un luogo di sicurezza, ma appena si rende conto dell’assoluta impossibilità che ciò accada, si rifugia in comportamenti volti a controllare l’esistenza, rimuginando sul passato o preoccupandosi incessantemente del futuro.

Scrive a questo proposito James Hillman: “Spesso siamo così preoccupati di scoprire la ragione di quello che ci è accaduto e ad esso trovare una soluzione nell’immediato futuro che ci siamo resi incapaci di assaporare la bellezza del vento”.

Nel racconto i “Tre quesiti”, Tolstoj narra di un grande re che era ossessionato dalle risposte che avrebbe dovuto darsi per diventare un bravo regnante:

Quale è la persona più importante con cui stare?”

“Quale è la cosa più importante da fare?”

“E quando il tempo più appropriata per farla?”

 

I vari consiglieri gli offrirono risposte diverse ma talora così contrastanti che si trovò costretto a rivolgersi ad un vecchio e leggendario saggio che conduceva un’esistenza molto semplice da eremita sulla cima della montagna.

Travestito da normale viaggiatore, senza guardie e senza ornamenti del suo potere, il re arriva alla sommità del monte dove trova il vecchio saggio curvo intento a coltivare il giardino. Il re gli comunica le tre domande, ma il vecchio non risponde, lo esorta soltanto ad aiutarlo nel giardinaggio. Il sovrano, pur con qualche perplessità, accetta di svolgere il lavoro, ma dopo un po’ si stanca e si mostra impaziente per le risposte che non riceve.

Il vecchio continua tuttavia a faticare sotto il sole, finchè verso sera il re girandosi nota tra le siepi un giovane ferito. Con sollecitudine si strappa la camicia per tamponargli l’uscita del sangue, lo disinfetta, lo ristora e lo cura, gli salva la vita.

L’uomo, colmo di gratitudine e di vergogna, gli rivela che era giunto fin lì per assassinarlo, e che era stato durante il viaggio ferito da una delle sue guardie. L’assassinio voleva essere la vendetta dell’uomo per l’uccisione del fratello e la confisca delle terre da parte del re. Nell’udire queste parole il re si sentì mortificato e promise di restituire le terre e per il futuro di essere più avveduto.

Dopo questa vicenda il re tornò insistentemente a porre le domande al vecchio saggio, ma questi sorridendo affermò di avere già fornito le risposte.

Il re rimase perplesso, e allora il vecchio saggio fu costretto a dare voce a ciò che riteneva scontato.

La persona più importante con cui stare è quella con cui si è, quella che si palesa in quel preciso momento in cui avviene l’incontro.

La cosa più importante da fare è quella che occupa il nostra tempo presente. Non c’è bisogno di cercare. Occorre essere attivi in quel qualcosa che si sta facendo, senza affannarsi per volere alcuna soluzione. Se il re non fosse rimasto a coltivare il giardino sarebbe stato ucciso dall’attentatore e non avrebbe avuto l’incontro che gli avrebbe fatto comprendere il senso della

propria presenza, i propri errori e la necessità di lasciare fiorire il perdono. Il re si ravvede e si scusa dopo che ha salvato il suo potenziale assassino.

E il tempo più appropriato? Bene la risposta qui è “proprio”scontata: “Il presente è l’unico periodo di tempo di cui abbiamo possesso

Quali sono i significati sottesi al racconto del grande narratore russo.

Un primo sta nel fatto che se vogliamo giungere alla saggezza dobbiamo metterci in ricerca con umiltà e spogliati di ogni presunzione. Il re per incontrare la saggezza lascia ai piedi della montagna vestiti, decorazioni e ornamenti reali.

Un secondo sta nel fatto che dobbiamo abbandonare la fretta di sapere e controllare, perché, come il vecchio saggio ci insegna, le risposte appropriate, quelle più vere, sono la conseguenza di un’attesa “laboriosa” che non rassicura né offre facili soluzioni: “occorre prima di tutto praticare pazientemente il giardinaggio”.

Una terzo sta nel “servizio accidentale”, ossia nel fare le cose con perseveranza e disciplina senza un ipotetica ricompensa, nel fare le cose al meglio per poi abbandonarle, “lasciarle al vento, come un mandala a cui non si deve più aggiungere nulla”.

 

Un affettuoso saluto

Franco Nanetti

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