PROLEGOMENI SULL’AMORE DESTINICO


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Ci sono amori transitori, incerti, amori venefici, distruttivi, amori “prezzolati” ed opportunistici, ed amori destinici, taumaturgici, che ci trasformano, amori che sono “per l’istante e per l’eternità”.

Se gli amori distruttivi si caratterizzano per una forte attrazione fisica o complementarietà psicologica e creano dipendenza, “congelamento emotivo”, stati di fissazione copionica, che impediscono una qualsiasi esperienza di una reale intimità, gli amori destinici raggiungono esiti diversi.

Quali sono le condizioni che favoriscono la nascita di un amore destinico?

Spesso la nascita di un amore destinico fa seguito ad un percorso di riconciliazione con un precedente partner dal quale ci è separati o con un genitore verso il quale abbiamo provato un forte risentimento.

Mi è capitato con alcuni pazienti, bloccati nella rabbia cronica, di chiedere di scrivere una lettera, mai spedita ma letta in mia presenza, ai loro genitori, nella quale venivano ricordate tutte le esperienze negative e positive vissute nell’infanzia. Ciò ha portato ad esiti del tutto non previsti.

Non dopo molto tempo gli stessi pazienti, infatti, mi hanno raccontato di nuovi incontri che avevano cambiato la loro vita.

In altri casi ho utilizzato la tecnica dell’immaginazione attiva.

 

Spesso basta la rievocazione di un’immagine finalizzata alla riconciliazione con un partner precedente, perché si rompa un incantesimo malefico. Appena il cuore si scongela e la capacità di amare rifluisce, “si è pronti per incontrare la persona giusta”.

La riconciliazione prevede la capacità di affrancarci da ogni forma di risentimento, in altri termini di perdonare.

Voglio ricordare che quando parlo di perdono, non intendo riferirmi ad un modo di perdonare come atto di arroganza ed accentuazione egoica, come atteggiamento di intollerabile alterigia di chi salito su un pulpito di cartapesta prima giudica l’altro e poi l’assolve. Mi riferisco ad un perdono che non viene elargito ma semplicemente invocato, dopo che sono state comprese le ragioni che hanno portato .-“entrambi”- a colludere nell’errore.

Si perdona allorchè si comprende che non ci sono colpevoli ed innocenti, ma errori che attendono di essere compresi.

L’incapacità di perdonare dipende solo da “occhi che non sanno ancora vedere”.

Thich Nhat Hanh in una poesia intitolata “Chiamami con il mio vero nome”, parla di profughi che per sfuggire dal Vietnam si avventurarono nel mare della Cina, dove vengono abbordati da pirati che li derubano di tutto e che violentano una bambina di undici anni.

La “piccola” non può sopportare l’umiliazione e si suicida buttandosi in mare.

Nella poesia il poeta ci dice che lui è tutto –l’oceano, la barca con la quale i profughi stanno cercando di fuggire, la bambina violentata e lo stesso il pirata.

Come affermava Pasolini: “non ci sono vittime innocenti”. Siamo tutti complici di un “disegno” di cui non sempre siamo consapevoli.

Se non sappiamo perdonare, ossia “guardare con occhi diversi l’altro” non si è liberi di andare verso un amore destinico.

Ma come è possibile trovare la forza per perdonare e riconciliarci?

Ognuno di noi può leggere tutti i libri che vuole, può fare una miriade di percorsi di evoluzione interiore, ma se non saprà affrontare le proprie paure, potrà semplicemente dire di avere fatto una inutile fatica. Finchè non si vince la paura o non si impara ad agire nonostante la paura, non sarà possibile, né amare né tendere verso la verità.

Ogni volta che si è lacerati dalla paura si diventa inconsapevolmente spinti a “corrompere” l’altro ad amarci. Cosicché il nostro cuore anziché essere traboccante d’amore diventa famelico e pretenzioso.

Non c’è amore per l’altro in chi deve fuggire da sé e dalla propria disperazione, in chi si lascia travolgere da atteggiamenti uggiosi e vittimistici.

Chi “corre verso l’altro” per compensare uno stato di mancanza di gioia ed energia vitale, tenderà a venire rifiutato; per essere accettati occorre che amiamo la nostra vita, che ci prendiamo cura di noi, che diventiamo sanamente egoisti.

Se l’accentuato egocentrismo porta alla separatività, il sano egoismo o amore per se stessi incoraggia l’unione.

Mentre l’egocentrico dice “Mi amo perché sono il migliore”, chi si ama profondamente per amare l’altro, dice “Mi accetto per tutto quello che sono, per la mia unicità, anche con le mie debolezze e le mie fragilità”.

So amarmi nonostante la paura?

So amare accettando l’imprevedibilità dell’altrui risposta?

 

Franco Nanetti 

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