#counsellingper ... gestire le richieste d'aiuto


Ti è mai capitato di ascoltare qualcuno che ti racconta un suo problema e ti chiede aiuto? A noi spesso, e ci scatta la voglia di aiutarlo.

Benissimo, ma in guardia.
Spesso scatta una sorta di “sindrome del buon samaritano” che ci fa fare fatica e ci blocca dal portare veramente aiuto.
Va a finire che senza volere tendiamo a sostituirci alla persona che ci chiede una mano, sobbarcandoci un compito non nostro e superiore alle nostre forze.
Che fare? Dobbiamo imparare a gestire le nostre emozioni e a stabilire la giusta distanza.



La “sindrome del buon samaritano”
Un amico, un collega, il partner che ci parla dei sui problemi 

insormontabili chiedendo a noi consigli e soluzioni inevitabilmente attiva in noi la pulsione naturale ad aiutare l’altro, a costo a volte di sostituirci a lui con indicazioni e incoraggiamento di come faremmo noi per risolvere qualcosa che in fondo è suo.

Invece di aiutare, ci ritroviamo anche noi con un problema!

Spesso in questo meccanismo del “salvatore" del buon samaritano, ci troviamo incastrati e sopraffatti in un ruolo per così dire non proprio funzionale. Per chi poi sente forte questo sentimento di voler salvare tutto il mondo e non ha strumenti per gestire le relazioni e non sa dire di no, prima o poi si trova in un bell’impiccio! Se io voglio esser d’aiuto all’altro devo contenere la risonanza di emozioni che la richiesta d’aiuto provoca in me: altrimenti queste emozioni diventano molto forti, rischio di mettermi a piangere insieme a lui…

Risultato: due persone con un problema invece che una! Chiaro che così non siamo molto utili…

Stabilire la giusta distanza
Per evitare questo dobbiamo ricordarci che: il problema è suo e non nostro, noi non siamo lui, se ci facciamo coinvolgere troppo non siamo di aiuto. Dobbiamo cioè stabilire la giusta distanza.
Giusta distanza di relazione significa quindi poter ascoltare e sentire questa empatia con l’altro come strumento di comprensione, di condivisione ma con la capacità di contenerla senza identificarmi (in essa o nell’altro) ed esserne sopraffatto.

Ecco allora #counsellingPer aiutare davvero
Uno degli obiettivi del counselling (e del Master in partenza a ottobre) è proprio questo: praticare un allenamento continuo a sentire ed essere consapevole del proprio sentito in modo da distinguerlo da quello dell’altro e avere quindi potere di azione, possibilità di vedere altri punti di vista, altre vie di esplorazione di problema e risorse per contenere, sostenere e agire in modo differente e congruente verso le proprie inclinazioni naturali.

 

Dì la tua!
Hai mai sperimentato una situazione del genere? Condividi la tua esperienza qui oppure su Twitter con l’hashtag #counsellingper … saremo ansiosi di conoscerla!

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