Genitori con figli “targati H”: Il Parent Training come sostegno alle famiglie

Inviato da Nuccio Salis

handicapTutti gli operatori socio educativi sanno quanto sia difficile costruire relazioni efficaci, almeno nella maggior parte dei casi, con famiglie in cui almeno uno dei membri è colpito da una situazione personale di svantaggio. Ovvero, le sue caratteristiche fisiche, motorie o psichiche, o una combinazione fra queste, sono delineate secondo espressioni cliniche che richiamano il disagio, la disfunzionalità o la menomazione. Il fatto che una o più di queste aree sia compromessa nella sua funzionalità, infatti, implica che il soggetto interessato esprima le sue istanze mediante una efficacia parziale, mancante, a volte non adeguata o incomprensibile, che necessita dunque l’intervento di forme di supporto compensative da parte di un caregiver. È vero che non è soltanto a tale area che si rivolge la propria attenzione, soprattutto se ci si pone in una prospettiva di aiuto educativo; ed è altrettanto reale la necessità di disporre di informazioni precise, verificate e controllabili per quanto riguarda la misura della gravità, in merito agli aspetti legati agli impedimenti ed agli ostacoli personali ed oggettivi in carico alla persona che rappresenta l’utenza diretta. Abbiamo cioè necessità di intervenire secondo una regola del “doppio focus”, in base a cui agiamo muovendoci su binari paralleli che rappresentano da una parte l’arcipelago delle risorse (potenziali, residue, emergenti o eccellenti) e dall’altra l’area del limite e dello svantaggio diretto e oggettivante.

 

Chiarito questo, occuparsi di un destinatario di cure, richiedente bisogni speciali e conseguenti ausili speciali per soddisfarne le necessità, significa anche, laddove è possibile, entrare in contatto col suo sistema famigliare, primo anello della mappa delle agenzie formative, che come sappiamo ha una incisiva rilevanza sulla qualità di vita e sui vissuti del soggetto in stato di bisogno. Ciò che ci occorre, dunque, per attivare un piano di supporto rigoroso e carico di valenza formativa, diretto al soggetto interessato, è uno strumento di intervento in grado di esercitare sul sistema parentale (in primis quello nucleare)uno stimolo affinchè si solleciti la collaborazione da parte della stessa. È provato in primo luogo dall’esperienza sul campo, che quando la famiglia di un individuo diversabile dimostra una elevata compliance, generando con l’operatore esterno un’alleanza efficace, strutturata cioè su principi di: reciprocità collaborativa, chiarezza del flusso di informazioni, ricerca di unione e di accordo in merito a obiettivi, condivisione di un progetto e garanzia di continuità nella presentazione di un funzionale modello educativo, si può in forza di tali punti agevolare il successo in merito alla progettualità che ci si è proposti di realizzare.
Aiutare efficacemente un utente con difficoltà, dunque, significa per forza di cose creare un clima ed un intervento di supporto (anche se indiretto) sul resto dei componenti della famiglia coi quali l’individuo si relaziona, generando una rete di rapporti dai quali attinge i significati esistenziali e i valori coi quali percepisce e misura la propria esperienza.

 

2. Prendersi cura di questi aspetti diventa il compito a cui è chiamato l’operatore socio educativo. Cosa dobbiamo conoscere, preferibilmente, onde promuovere un intervento di natura facilitante e realmente valido dal punto di vista dell’aiuto?
Impariamo, innanzitutto, a tenere in calda considerazione come l’evento dell’arrivo di un figlio disabile, in famiglia, produca inevitabili smottamenti e destabilizzazioni nella vita famigliare. Talvolta, anzi spesso, tali cambiamenti conducono a dinamiche centrifughe che portano la coppia o altri membri a dividersi, separarsi e, in certi casi, in presenza di una famiglia numerosa con membri anche “adulti”, a stratificarsi in un sistema di alleanze e contrapposizioni. Chi scappa, chi rimane, ecc. Riemergono fantasmi, ferite, rivendicazioni, sensi di colpa (dati a se od attribuiti a qualcun altro). La famiglia che ospita l’handicap, teniamone conto, può aver attraversato una storia lacerante, dura, che può averla sfiaccata e resa esausta e sfiduciata su tutto e su tutti. Adeguiamoci alle possibili reazioni che tale evento può avere generato. Esse possono essere le seguenti:
_ Discrepanza fra figlio immaginato e figlio reale: Il parto, si sa, comincia dalla testa, ne parla anche il mito di Atena. Immaginazioni, aspettative, speranze, investimenti affettivi, tutto questo si agita nella testa dei genitori ancor prima che il futuro nascituro venga alla luce. A chi somigliera? Che carattere avrà? Che mestiere farà? I genitori immaginano, macinano fantasie e preparano l’accoglienza. L’handicap rivoluziona ogni genere di aspettativa. Il “bambino della notte” è ben diverso dal “bambino del giorno”, e la realtà si manifesta con tutta la sua crudezza, obbligando a rinunciare a sogni e fantasie, ed attivarsi in modo speciali per prendersi cura di chi avrà bisogno di cura per tutta la sua vita.
_ Delusione delle aspettative e delle proiezioni dei genitori sul futuro del figlio: È continuo alla precedente argomentazione. La rottura fra il bambino immaginato ed il bambino reale costringe a ridimensionare al ribasso le aspettative ed i progetti, con notevole dispendio di forze psichiche.
_ Pesantezza del carico emotivo: Organizzare la propria vita sulla base dei bisogni particolari del figlio disabile comporta rinunce, sovraccarico emozionale, tensioni, stanchezza; facilmente si perde la lucidità, la pazienza e la fiducia, in sé e nel mondo.
_ Sentimenti di inadeguatezza e frustrazione dovuti a mancanza di servizi e risorse: I genitori dei figli diversamente abili, chi ne conosce tanti, come me, potrà constatare che sono sempre molto arrabbiati, e non credono più a niente ed a nessuno. Le loro richieste politiche, fondate su diritti già acquisiti o da riconoscere, sono la storia di soprusi ed incapacità di ascolto ed umanità da parte delle istituzioni che, si sa, sono razionalmente concepite per essere forti coi deboli e deboli coi forti.
_ Destabilizzazione psicologica in seguito alla riorganizzazione delle proprie abitudini: Come già accennato, l’esperienza della immane incongruenza fra figlio immaginato e figlio reale, genera un terremoto psicologico, ed un carico di nuove responsabilità verso le quali ci si può sentire inadeguati ed avere un basso senso di autoefficacia.

 

3. Come possiamo aiutare una famiglia in questo stato di cose, ad attivare le proprie risorse funzionali? Dunque, intanto, quando interloquiamo con una famiglia che ha in carico un membro affetto da una qualunque forma di disabilità, dobbiamo sforzarci di mettere un po’ da parte il nostro sapere acquisito, e metterci in una posizione di ascolto rispettoso. Non è semplicemente la regola dell’uomo di strada, perché questo significa considerare il fatto che la famiglia può aver già dato corso nella sua biografia a un proprio piano di interventi, e magari ne è conseguito un insuccesso, o forse un imparziale insuccesso. Lasciamo che ce lo raccontino. Sottolineiamo e rimandiamo l’impegno profuso nel procedere ad un loro piano di aiuti, secondo naturalmente la loro generale inclinazione ad affrontare le cose, che scaturisce da un sistema di credenze, narrazioni, miti, eredità valoriali della famiglia allargata che ha trasmesso modelli e principi dell’essere e dell’agire. Dobbiamo tenere conto di tutto questo, che è il calderone del “beliefe system”della famiglia. Ciascuna ha il proprio. Rispettiamolo. Non è semplice, a volte, poiché mostra con evidenza limiti, tare o arretratezze culturali, superstizioni e poca capacità di recepire la necessità degli aiuti esterni.
Teniamo conto, inoltre, che la famiglia può interagire secondo diverse modalità. Esaminiamone un elenco:
_ Iperprotettiva: La famiglia si eleva a paladina di tutte le istanze e i bisogni del membro più debole, fino però a renderlo ancora più dipendente di ciò che è, esasperandone cioè la condizione di difficoltà, depotenziandolo a causa di un abito mentale da samaritanesimo ed evitandogli di fatto l’esperienza della crescita psichica e sociale. L’amore diventa la gabbia dorata che impedisce il contatto col mondo, e in fondo alla sua apparente superficie di equilibrio possono nascondersi sensi di colpa e iperinvestimento compensativo del proprio ruolo.
_ Rifiutante: Per alcuni nuclei famigliari, la nascita di un figlio disabile è insopportabile. La famiglia disinveste il proprio ruolo genitoriale, può mascherarlo di fatto con una permissività che rappresenta solo indifferenza e mancanza di cure appropriate, in linea coi bisogni educativi e della maturazione psichica della persona.
_ Accettante: Alcune famiglie realizzano quanto è avvenuto, magari anche dopo aver accettato di elaborare l’evento luttuoso che determina tale evento. Questa condizione è maggiormente quella più facilitante in merito all’attivazione di un piano collaborativo di presa in carico, in accordo con la famiglia, in quanto essa può accedere a una visione obiettiva dei bisogni e delle risorse.
_ Reattiva: Alcune famiglie ricercano spasmodicamente la soluzione al dramma vissuto. Interpellano medici, specialisti, luminari, seguono le teorie che più aprono speranze. L’aspetto positivo è che raccolgono dati, si informano, studiano, si aggiornano, seguono corsi, con un atteggiamento di fondo che ha come matrice la difficoltà di valutare per intero la situazione.
_ Ambivalente: Esistono poi nuclei famigliari, soprattutto laddove si è in presenza di disagi associati quali la presenza di genitori inefficaci a causa di malattie psichiatriche, devianza, abuso di alcol o droga, dove in tal caso i modelli famigliari non seguono regole fisse. Essi piuttosto, con estemporanea instabilità, si spostano da un atteggiamento ad un altro, possono essere un giorno rifiutanti, poi iperprotettivi, poi assumono ancora altre forme di interazione. Sono questi i casi in cui, naturalmente, il trattamento secondo counseling si rivela insufficiente o inadatto, a causa della non possibilità di programmare accordi e processi di mediazione per mancanza di strumenti di base nella capacità relazionale o affettiva dei genitori.
_ A doppio stile: Quando l’ambivalenza risulta come una discrepanza fra due modelli genitoriali contrapposti che invece di complementarsi a vicenda si guerreggiano. Es: (madre curante e padre trascurante, oppure madre permissiva e padre contenitivo).

 

4. La famiglia ha dunque molti volti, e sta a noi effettuare il tentativo di leggerne ed osservarne le dinamiche entrandovi in punta di piedi, con atteggiamento valorizzante, di chi ha il compito di potenziarne le risorse e di promuovere un processo dell’aiuto che favorisce l’autonomia e le capacità di cura della famiglia. Certamente mostrando anche esempi, modellando anche coi nostri interventi. Alcune famiglie potranno anche essere favorevoli ad accogliere percorsi di parent training per la genitorialità efficace.
Metterò dunque in evidenza i principali pilastri per una buona conduzione di un percorso formativo di PT:
_ Accogliere ed accettare il modello culturale della famiglia: Lo scrivevo già in precedenza. Tutto ciò che la famiglia pensa, sente ed agisce, è in riferimento al proprio modello storico-narrante. Occorre allenarsi ad ascoltarlo. Esso rappresenta l’epicentro del senso che la famiglia da a se stessa.
_ Ricercare punti di forza, risorse e comportamenti efficaci già in precedenza agiti: Spesso le famiglie hanno già attivato il proprio sistema di caring. Quindi, evitando di dire cosa andrebbe fatto, chiediamo cosa hanno già fatto? Con quali risultati?
_ Individuare insieme alla famiglia priorità e bisogni, e trasformarli in progetti: La famiglia va coinvolta attivamente e responsabilmente nel processo di cura, specie se si tratta di abilitare una famiglia delegante a compiti educativi. Essa va ricondotta sempre sul piano di realtà, stabilendo obiettivi ed allenandosi insieme ad osservarli e commentarli, spostandosi dal piano dell’ideazione a quello della realtà. È uno dei traguardi più difficili per un operatore socio educativo. La famiglia vive di miti, proiezioni e fantasmi, è un compito difficile e destabilizzante, per espletare il quale occorre lavorare sull’alleanza e sulla relazione.
_ Mettere in evidenza in modo descrittivo i comportamenti disfunzionali e offrire alternative, sollecitando la compliance e richiamando alla necessaria collaborazione: Essere descrittivi e fare rimandi verificabili ci aiuta a mostrarci in una posizione non giudicante. Allenare la nostra assertività e curare la restituzione di ciò che osserviamo può favorirci per consolidare i patti di collaborazione che abbiamo stabilito con la famiglia.
Un compito davvero complesso, che mette alla prova la nostra esperienza e la totalità della nostra persona, che diventa parte attiva a questo processo, con tutto il suo carico di emotività da usare come mappa e modello nella relazione dell’aiuto che siamo chiamati a promuovere.

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