Potenzialità evolutive: qualità e natura dei problemi

Inviato da Nuccio Salis

ostacoliAvere problemi non piace, diciamocelo chiaramente. I problemi ostacolano la linearità di un percorso, turbano le nostre aspettative ed il nostro equilibrio interno, si frappongono fra desideri e consapevolezza della reale misura della situazione, ci obbligano a renderci conto della discrepanza esistente fra le mete agognate e quelle concretamente raggiungibili, ci mettono a contatto coi nostri limiti, ci fanno sentire spesso impediti, bloccati, ed implicano inoltre un carico psico-emotivo di difficile gestione. Generano infatti sentimenti di disfatta, frustrazione, malumori, angosce, preoccupazione e senso di paralisi, inibendo la percezione di autoefficacia. Eppure, potremo riuscire ad immaginare una vita priva di problemi? Forse tale domanda meriterebbe una discussione sul concetto stesso di problema. Se molti dei problemi si potessero evitare o prevenire, il guadagno in termini di salute psichica e fisica sarebbe davvero incalcolabile.

Molti di questi, inoltre, sono determinati da congiunture esterne del sistema di cui facciamo parte. Catastrofi, collassi, tracolli e fenomeni macrosociali di varia natura (economica, ideologica, sociale e politica) determinano con un certo spessore di influenza l’andamento della nostra qualità di vita, la sua organizzazione sequenziale per tempi, abitudini e necessità. Davvero non facile sottrarsi completamente a tutto questo. Eppure la maggior parte dei problemi sono creati da noi stessi. Confezionati ad hoc proprio dalla nostra mente creativa. Un esempio: esistono tante coppie la cui unica cosa che le lega sono i loro problemi matrimoniali, eppure Oscar Wilde ci aveva avvisati: “Il matrimonio è quella cosa che genera una serie di problemi da risolvere, che non si creerebbero se un uomo e una donna non si sposassero”; sottile ed efficace.

Stessa cosa vale per i figli, poiché non ci sarebbe nessun problema con loro se non si procreasse, così come il problema di annoiarsi ad un ritrovo parentale si potrebbe evitare semplicemente non andandoci. E che dire di quelle donne che vogliono essere mamme, mogli, lavoratrici e amiche delle amiche, poi non hanno tempo e voglia per nulla e si sentono sull’orlo della crisi di nervi; ma chi ha dato loro la patente di wonder woman se non loro stesse? Chi si da al multitasking pianga se stesso!

Insomma, la maggior parte dei problemi che ci affliggono sono creati da noi stessi. Ora, chi mi ha preso troppo sul serio si sarà risentito, ma quel che desidero dire è che si possono trovare anche aspetti di interessante potenzialità evolutiva nei problemi.

Si ha un problema quando si ha una percezione della propria realtà vissuta come qualcosa di difficile, che procura fastidi e noia. L’entità del problema, dunque, si lega agli schemi percettivi della persona ed alle sue ipotesi di mondo. Per avere un problema, così come per problematizzare la realtà, occorre aver raggiunto facoltà di valutazione mature e complesse, significa a qualche livello riconoscersi un sistema di bisogni. I problemi dell’essere umano non sono relegati esclusivamente alla matrice genetico-ereditaria, ma costituiscono strutture assurte di significati che risiedono in un ordine di valutazione che oltrepassa il substrato primario delle motivazioni legate all’adattamento conservativo. Dunque, prima di tutto, chi si pone un problema o in qualche modo colloca un fenomeno all’interno di un frame degno di riflessione, dimostra a se stesso di possedere importanti facoltà mentali. Ancora di più se si rende conto delle ragioni e dei processi che vi sono legati.

Il problema, dunque, è un modo di rappresentare la realtà, di ridefinirla secondo personali impressioni, vissuti ed inferenze. Noi operatori dell’aiuto, infatti, non siamo soltanto attenti a rifinire con chiarezza la struttura della situazione problemica, ma cerchiamo soprattutto di cogliere e verificare con quali costrutti e percetti personali un individuo arriva a descrivere la natura della sua condizione presentata come problematica. Osservare le modalità con cui ciascuno presenta ed affronta i suoi problemi, e cosa si aspetta dagli stessi,  significa avere accesso diretto al modo con cui si misura la portata dei propri problemi; e questa è una ghiotta occasione per interloquire con il linguaggio dell’altro, comprendendolo e rispecchiandolo.

Cercherò di identificare a modo mio quali aspetti positivi si possono cogliere in un problema, in modo da poter condurre con l’altro un lavoro costruttivo con tutti i crismi previsti dal processo del sostegno alla persona.

Credo che in primo luogo, il problema porti con se una domanda di crescita e cambiamento. Spesso il problema è il risultato di una situazione incancrenita, un groviglio di potenziali disagi mai risolti o affrontati, che si sono ritrovati puntualmente in un crocevia che ora richiamano la persona a confrontarsi senza più scappatoie.

Il problema offre inoltre la possibilità di ritrovare o riconoscere le proprie motivazioni. Se si ha un problema, credo che in parole povere significhi che le cose non stanno andando come si vorrebbe, ed ecco che ciò vuol dire che si hanno idee, mete e valori, percepiti come lontani rispetto all’attualità vissuta.

Il problema reca in se una forte componente di tensione esplorativa, in quanto può stimolare in modo crescente il dovere di reperire le risorse per incamminarsi verso la risoluzione della propria situazione di natura problemica.

Di conseguenza, il problema apre l’esperienza della scoperta. Il problema mette in contatto con se stessi ed accresce la profondità dello sguardo, sia su di se che della situazione vissuta, trovando ed esperendo nuove ed insospettate capacità.

Il problema chiama all’appello anche i nostri schemi percettivi, sottoponendoli a revisione, ristrutturazione ed aggiornamento. Sviluppare atteggiamenti efficaci per la soluzione di un problema, infatti, significa anche fare i conti con le nostre matrici di collocazione dell’entità di un problema, e quindi a un conseguente impegno su un processo di ridefinizione dello stesso, coinvolgendo tanto sia l’area cognitiva che quella emozionale, in modo correlato.

Va da se che il problema è un messaggio di SOS che può anche essere condiviso e messo all’attenzione di qualcuno. Se si accetta di farsi aiutare, soprattutto in modo funzionale, questo da occasione di creare apertura e relazione, usufruendo di elementi e punti di forza in più all’interno della propria rete degli aiuti.

Inoltre, ci tengo a evidenziare questo con una certa marcatura, tutta l’esperienza umana dell’apprendimento è in gran parte centrata sulla soluzione di problemi. L’apprendimento strutturato, presentato come esperienza programmata all’interno dei curricoli scolastici, per esempio, determina e valuta il raggiungimento delle unità di apprendimento mediante quiz, test, compiti, quesiti, verifiche e, per l’appunto, problemi.

Partendo da questo specifico contesto, è possibile creare già una certa confidenzialità con la natura dei problemi, generando ghiotte occasioni, durante le varie fasi dell’età evolutiva, di presentare problemi strutturati che incitano all’uso della creatività e del problem-solving di gruppo, migliorando abilità prosociali ed elevando la qualità della comunicazione interpersonale. Insegnando in pratica che non tutti i problemi vengono per nuocere, come enuncia un saggio detto. Il noto ricercatore Professore Guido Petter, per esempio, ci parla a tal proposito di come sia possibile suggerire per le scuole esperienze di presentazione agli allievi di problemi e situazioni problemiche che abbiano aspetti accattivanti e coinvolgenti, tali da sviluppare e tenere alta l’attenzione e l’interesse degli allievi, affinchè l’apprendimento possa diventare anche un’esperienza gioiosa e motivante, da ricordare e possibilmente interiorizzare. Ciascun insegnante, a detta dell’illustre studioso pocanzi citato, dovrebbe portare con se una valigetta delle sorprese, un contenitore che comunica sensazioni di magia, che genera aspettative, curiosità, domande e desiderio di apprendere e costruire esperienza. Tale strumento deve essere costruito ed utilizzato in modo da creare e suscitare domande e fame di conoscenza. Esso può contenere materiali audiovisivi, giochi, oggetti vari da combinare ed esplorare, unità problemiche con ipotesi di ricerca; insomma tutto ciò che è polarizzato positivamente sul lato problemico, e che ne assume una valenza costruttiva, che include il piacere del sapere e dell’apprendere.

Certo, le forme e l’entità dei problemi degli adulti hanno una declinazione certamente differente e, come dicevo proprio aprendo questo articolo, tale esperienza può essere tuttaltro che divertente. Tuttavia, riconfermato questo, credo che cominciare ad educare l’essere umano ad affrontare i problemi, con tutte le complesse implicazioni che determinano, possa essere utile a beneficio di tutti noi che in vario modo ne siamo portatori e per l’intera comunità in quanto si doterebbe di strumenti più sofisticati per comprendere, risolvere o meglio prevenire problemi comportanti espressioni di estremo dolore e disagio. 

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