L’adulto e l’infanzia, oggi


L’adulto  e l’infanzia, oggi

           Nei momenti di serenità riusciamo ad ammetterlo: noi adulti riteniamo di conoscere così bene i bambini che siamo in grado di intuire  che cosa vogliono e persino di prevenire i loro bisogni. Per questo, ci arroghiamo il diritto-dovere di modellarli fino a che si avvicinino all’immagine che noi custodiamo della vita, invece di accompagnarli, sostenerli, aiutarli a superare le difficoltà e accrescere le loro doti (educazione: ex-ducere-ad).

 

           Non ce ne rendiamo ben conto presi dal vortice della quotidianità, e la condizione che viviamo da mesi, e che non sembra essere giunta alla sua soluzione, ha reso ancor più necessaria una riflessione su come noi adulti  ci poniamo nei confronti dei bambini (e aggiungerei delle giovani generazioni) in quanto ancor più stressati e impauriti, ci siamo come ripiegati su noi stessi, abbiamo tacitamente rispolverato una sorta di egoistico pensare al nostro stato emotivo, ai nostri problemi. Ci siamo ritrovati a vivere come in una bolla, in un film di fantascienza, in un’irrealtà e nei momenti di stasi e inattività forzata, recriminando la perdita di libertà, le tante troppe  rinunce imposte, abbiamo affievolito fino a non sentirla più la respons-abilità di darci risposte di buon senso, di collaborare perché il clima  familiare, sociale non pesasse come un macigno sui soggetti più fragili e su quelli, come i bambini, che per la loro breve esperienza di vita sono indifesi di fronte agli eventi.

Il problema è rilevante per l’intera società, per oggi e per il futuro (qualunque sia), non è compito riservato a chi ha figli o ai soli educatori, in quanto l’immagine che ogni comunità custodisce dei soggetti che la compongono è essenziale per caratterizzarla. Così, da sempre diciamo, è essenziale che si nutra rispetto dell’anziano, dei  genitori, delle norme che la comunità si è data, così è assolutamente necessario che si abbia rispetto dell’infanzia e delle nuove generazioni.

“Rispetto” è parola chiave abusata, ignorata, comunque fraintesa,

Propongo questo testo da:

https://unaparolaalgiorno.it/significato/R/rispetto

Il rispetto è il guardarsi indietro. Si procede, ed è avanti che si guarda, tutta avanti è la nostra attenzione. Ma il rispetto è quel momento di dubbio, di ricerca, di riflessione che ci ferma un attimo. Voltandoci, abbandonando un istante la prospettiva della nostra corsa, del nostro volo, ci si apre tutto ciò che sta dietro, ci si presenta tutto ciò che viene lasciato indietro, quell'enorme cattedrale di sentimento, di pensiero, di valore che non esiste fuori dalle considerazioni del rispetto. Il rispetto non ha il tono assoluto della dignità, si confà male ad usi strepitosi, orgogliosi e cerimoniali. È un fenomeno intimo, di volizione spontanea. Non si può chiedere: il rispetto se lo chiedi si stronca. Chiedendo, richiamando si può suscitare stima, riguardo, consapevolezza, ma la cifra del rispetto sta in quell'istantanea, spontanea, intima volontà di voltarsi - e che solo per modo di dire si porta, si merita, si ha. Forse il rispetto si può soltanto 'fare'.

Chi camminando nel bosco si volta, e vede nell'insieme le proprie tracce, i profili degli alberi in controluce, il silenzioso vivere; chi al funerale sa quando sorridere, e sa dire col corpo ciò che le parole sembrano troppo ruvide per fare; chi pur nelle ombre di un'istituzione ne scorge la storia, il rigoglio di ideali, la rotta sempre migliorata che infinite mani le hanno impresso foggiando e reggendone il timone; questi sanno il rispetto.

        Nella realtà, il rispetto, frequentemente è confuso con il prendersi cura dell’altro o, al contrario, l’astenerci da ogni intervento nei suoi confronti per lasciarlo totalmente libero (ben impegnativo il concetto di …libertà intesa come l’abbandonare l’altro a se stesso!).

Nella relazione dell’adulto con il bambino tanti sono gli esempi riconducibili a questa preoccupante dicotomia. Qui di seguito, scelgo qualche spunto, già allarmante in tempi pre-covid 19.

 Il dato più macroscopico è che l’attaccamento degli adulti ai propri personali obiettivi non si coniuga felicemente con la crescita del loro interesse per l’infanzia e l’adolescenza.[…]L’effetto Internet concerne i genitori, soprattutto i padri, che dedicano gran parte del loro tempo in casa e in famiglia a navigare su Internet o a leggere e/o scrivere posta elettronica, magari per completare o preparare il lavoro di ufficio. La già scarsa risorsa tempo si riduce, quindi, ancor più a danno delle relazioni intrafamiliari. I bambini vengono infatti privati delle occasioni di scambio affettivo, di rapporto intergenerazionale. Spesso ci si riduce ad un rapido, formale saluto. […]

L’aumento dell’offerta televisiva, che non è più solo generalista (cioè, con ogni genere di programmazione) ma anche tematica (solo sport, solo musica e così via), tende ad occupare ogni spazio residuo dell’universo familiare e infantile.[1]

        Ripeterci che importante è la qualità di tempo che dedichiamo al bambino, e non la quantità, è evidentemente una giustificazione impropria, finalizzata soltanto a tacitare quel sospetto che alberga di tanto in tanto in noi che in fondo la qualità della relazione non l’abbiamo neppure sfiorata, perché siamo incapaci di porci in ascolto, anche in quei pochi minuti che gli dedichiamo.

Io credo che ognuno di noi covi il desiderio profondo di tornare bambino, anche forse soltanto per avere l’occasione di riparare ad errori del passato o a sfuggire agli orrori che possa aver vissuto; oppure semplicemente per tornare a fare quelle cose così insignificanti agli occhi degli adulti, ma così importanti nel cuore di un bambino. [2]

         Definire autocelebrativa una simile riflessione non è sufficiente a vederne la pericolosità: l’adulto che così “vede” e rivisita la propria infanzia, vive una sorta di mondo infantile elegiaco dal quale è esclusa la realtà dell’infanzia. 

           Da bambini trascurati ad un eccessivo legame con la madre nocivo per la crescita emotiva dei figli.[…] [3]

Per quelle madri che hanno fatto dei figli la loro unica ragione di vita e che quindi si sono fortemente polarizzate su di loro, può essere difficile cambiare atteggiamento man mano che i figli crescono: il bisogno di mantenere un rapporto fusionale con il figlio le porta a scoraggiare ogni forma di separazione in modi diversi, manipolando i sentimenti, esibendo la propria debolezza, agendo su sensi di colpa. […]

Gli studi che dopo Freud sono stati condotti da René Spitz, Winnicott, Bowlby, Mary Ainsworth, Anna Freud, Alice Miller e altri ancora sull’attaccamento dei neonati alla madre […] ci dicono che il forte legame che si crea nei primi tempi tra il neonato e la sua figura principale di riferimento (la madre) è indispensabile alla sopravvivenza e al senso di sicurezza e di benessere psicofisico del bambino, ma  ci dicono anche che sia necessario che quel legame evolva nel tempo, così da consentire la formazione di altri legami ed evitare una dipendenza che non consentirebbe al figlio di crescere dal punto di vista emotivo. [4]

           Non è di alcun giovamento avanzare giudizi severi su di noi (o peggio sugli altri). Ogni adulto si impegni ad avvertire l’urgenza di una prioritaria necessità insita nella condizione del bambino. Il bambino voracemente imita e introietta ogni stimolo ambientale,  di cui noi adulti siamo i soli responsabili e la sua identità, il suo copione di vita attingerà tutta la vita futura a questi stimoli, per ora in gran parte inconsapevoli. Come ogni individuo, anche il bambino, è “cittadino” del tempo e dell’ambiente in cui vive, dunque i bambini di oggi non sono simili ai bambini delle generazioni precedenti; per questo, incursioni nel nostro passato chiaramente de-contestualizzate e virate secondo il nostro personalissimo punto di vista, confronti con la nostra infanzia, non sono in grado di  aiutarci a comprenderlo.

     Ancora una volta, il counselor è chiamato ad agevolare, a invitare, a indurre voglia di consapevolezza, in primis con il proprio “modo di essere”.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 


[1]Roberto Cipriani, Il bambino oggi, profilo sociologico e affettività, in:

http://www.impegnoeducativo.it/MIEAC/vecchio-sito/www.impegnoeducativo.it/Upload/02e19a38-5a2a-481d-b681-29b4c213906b.pdf

[2]https://www.prometeomagazine.it/2020/09/10/linfanzia-vista-sotto-locchio-pedagogico/

[3]Anna Oliverio Ferrarsi, Come s’è trasformata l’immagine dell’infanzia, in Prometeo, n. 144, dicembre 2018, pag.44.

[4]Ibidem, pag.51

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