Restituire legittimità al sogno. La domanda del miracolo e l'immaginazione creativa

Inviato da Nuccio Salis

sogno fantasiaOgni elemento della realtà tangibile consiste in qualcosa di cui si può fare esperienza senziente. Oggetti, strumenti, opere, piccole o grandi che siano, hanno prima abitato nel luogo dell’immaginario. Una certa filosofia idealista ha sempre ricavato il suo punto di forza proprio da questo aspetto, che ha saputo utilizzare anche per attribuirsi legittimità e spazio all’interno del simposio dialettico fra i vari orientamenti concettuali. D’altronde, non sarebbe certo facile poter negare che la dimensione concreta di cui facciamo esperienza sensoriale non abbia prima allocato nello spazio ideativo chi l’ha generata col pensiero. Inventori, creatori, scienziati o pensatori a vario titolo hanno dovuto prima fantasticare sui prodotti che solo in seguito sono stati fattivamente montati e costruiti da loro stessi o da successori dalla propensione maggiormente ingegneristica. Che il pensiero abbia una forza generativa intrinseca, capace di eccitare azioni concrete per dare applicazione materiale seguente, è un fenomeno che anche la dotta e scientista cultura occidentale ha dovuto incontrare, e con cui ha dovuto confrontarsi e fare i conti. Tale forza è spesso e volentieri concatenata saldamente ad una altrettanta ferma volontà di realizzare un’idea legata ad una nuovo modello di vita. Il fine sembra cioè associato ad una tensione migliorativa dell’esistenza, con l’obiettivo di facilitarla con mezzi ed artifici pratici. Ciò ricorda in pieno e totalmente l’essenza espressiva della creatività, e del suo percorso eventualmente diretto al problem-solving. È noto che per poter risolvere una difficoltà sono necessarie alcune condizioni: prima fra tutte, certamente, la capacità di inquadrare tutti gli elementi all’interno del campo, quindi essere nella condizione potenziale di poter attivarsi alla soluzione, cioè disporre di competenze reali e risorse adatte e congrue allo scopo da raggiungere, e in seguito applicare un processo di soluzione che può richiedere di investire le abilità di pensiero creativo. Per procedere ad una soluzione creativa, spesso si incontrano le due forme di pensiero, rispettivamente logico-concreto ed astratto, che collimano alla ricerca di una sintesi alchemica che dia luogo, per l’appunto, alla creatività. In pratica, il procedimento empirico sperimentale guida e viene guidato al tempo stesso da forme di pensiero maggiormente intuitivo, divergente e fantasioso. Fra l’immaginazione e le mani persiste da tempo una paritetica e costruttiva collaborazione, che solo una certa cultura di matrice dualistica sembra averne rotto l’armonico vicendevole rapporto.

È ora invece di riconsiderare l’aspetto di proficuo equilibrio che può sussistere fra fantasia e concretezza, fra immaginazione e razionalità. Un approccio secondo cui nessun elemento è esclusore dell’altro, al contrario è integrato nella completezza del processo, potrà essere il paradigma da cui partire anche in seno all’approccio della relazione basata sul counseling. Il primo sforzo sarà quello di uscire dalle gabbie di concetti virali e dualistici, secondo cui chi ha immaginazione avrebbe sempre “la testa fra le nuvole” o sarebbe un idealista nel senso magari dispregiativo del termine, e ancora chi usa prevalentemente il pensiero razionale sarebbe austero, convergente e poco sensibile. Sgomberare il campo da contaminazioni concettuali di stampo dualistico, prevedo sia il primo compito in assoluto per decentrarci innanzitutto dal giudizio basato sia sull’azione che addirittura sulla persona. Se ci aiuta, possiamo pensare che quando i fratelli Wright tentarono di costruire il primo aeroplano, furono derisi da tutti. La tecnologia di cui non potevano disporre era ancora da costruire, e come pionieri delle leggi del volo nell’ambito della fisica non potevano che continuare a provare e riprovare. Qualcosa volava molto più in alto del primo prototipo di aereo che riuscirono ad ingegnare: la loro voglia di volare! Il loro desiderio di poter regalare all’umanità il più ricercato di tutti i sogni. Questa immensa passione fu il vero carburante che li condusse coraggiosamente a non demordere dal loro obiettivo, ed infine a raggiungerlo!

Allora, personalmente, guardo ad un cliente non soltanto come portatore di bisogno, ma come colui che reca dentro se un bi-sogno, ovvero una dimensione del pensare oltre, dell’azzardo al desiderare, al bramare anche ciò che può sembrare impossibile. Fra l’altro, l’impossibile appare così soltanto agli uomini di poca fede. Mi chiedo, infatti, se ancor prima di chiarire la storia, valutare ipotesi solutorie e ricercare le risorse, sia anche importante misurare e tenere alto il livello di motivazione del cliente, la sua tensione al desiderio che, certamente, dovrà successivamente essere ricondotto e ridimensionato nell’ambito del possibile e realizzabile, senza al tempo stesso nulla togliere dall’esperienza entusiasmante del fascinoso sognare. Accettare dunque l’abbandono estatico ai contenuti dell’immaginazione può essere l’elemento prioritario in grado di creare uno spazio assoluto del possibile e del pensabile, del non giudizio, un luogo ove le logiche del mondo non distruggono e non ostacolano la forma e la sostanza del proprio sogno. Almeno a livello emozionale, tale esperienza può legittimare il cliente a sentirsi autorizzato a consistere anche di un’essenza onirica, di un immaginario trascendente di cui non avere vergogna.

Permettiamo di sognare, di immaginare, poiché tutto ciò che è stato trasformato nella cosiddetta realtà era prima una fantasia. Dunque, se vogliamo migliorare la prima, bisognerebbe prendersi cura della seconda.

Esiste una tecnica di intervento che può aiutare noi ma soprattutto gli altri a cui prestiamo la nostra sensibile attenzione; si chiama “la domanda del miracolo”. Introdotta per la prima volta nell’ambito della psicoterapia dallo psichiatra statunitense Steve de Shazer, verso la fine degli anni Ottanta, tale domanda consiste nel permettere al cliente di accettare la visione delle proprie ipotesi di cambiamento di una serie di dati contingenti. Viene cioè sollecitato a non sottrarsi all’eventualità di pensare ed immaginare un immediato futuro secondo una ristrutturazione degli eventi così come egli stesso vorrebbe. Fa seguito alla domanda miracolo la ricerca di strategie funzionali e piani di azione efficaci ritenuti adatti a perseguire le finalità che ci si propone. La domanda da somministrare è strutturata nel modo seguente:

“Immaginiamo che tu vada a dormire questa sera, che succeda un miracolo e che le preoccupazioni di cui mi parli oggi si siano risolte. Ma dal momento che stai dormendo, non sai che il miracolo è accaduto, fino al momento del tuo risveglio l’indomani. Che cosa ci sarà di diverso domani che ti farà capire che il miracolo è avvenuto?”

Rivolgendo al cliente tale domanda, si offre allo stesso la possibilità di esplorare senza troppo carico un possibile nuovo scenario. È importante far seguire la domanda del miracolo ad ulteriori quesiti che orientino il cliente verso l’assunzione di strategie concrete per affrontare lo scenario ristrutturandone la trama drammatica ed il rapporto fra i vari elementi. Domande del tipo “Come sapremo che il problema sarà risolto?” e “Quali sono le prime cose da fare per mantenere il miracolo?”, annunciano comunque che la fase del sogno può essere conservata se portata ad un livello di tangibilità che giammai tende a distruggerla, quanto invece ne delinea ulteriori orizzonti; verso l’esperienza di un importante apprendimento che riguarda sostanzialmente tutti noi e non soltanto i clienti degli operatori d’aiuto: imparare che per poter realizzare qualcosa dobbiamo credere prima al sogno che ne appetisce il desiderio, e congiungere efficacemente la volontà all’immaginazione.

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