SENTIO ERGO SUM. IL primato dell’anima sulla ragione

Inviato da Nuccio Salis

tao sabbia

La coscienza di essere spirito, entità animica in divenire, non può lasciare spazio a paure e nichilismo. E se le discipline umanistiche si sono secolarizzate, appiattendosi ai modelli meccanicistici e cartesiani, perdendo di vista l’unità non solo dell’individuo singolo ma della sua connessione alle dimensioni cosmiche ed universali, rimane ancora tanto da fare per recuperare almeno circa due secoli di oscurantismo positivista.

Dovrebbe cioè riaffermarsi, nell’ambito dialettico-scientifico, una critica della ragion ‘dura’, che ha condotto il modello empirico alle sue estreme conseguenze: ovvero nel tacitare quel magma di idee e ipotesi che caratterizzano ciascun ricercatore capace perfino di destabilizzare l’establishment accademico, con fantasie teoretiche considerate non affini al paradigma culturale dominante.

Insomma, in molti secoli non è cambiato proprio granché. Gli eretici non sono più messi al rogo, ed i divulgatori di conoscenze complementari allo scibile posseduto, magari vengono irrisi, ignorati, defenestrati da una comunità scientifica che spesso assume atteggiamenti da vera e propria casta sacerdotale, pronta a puntare il dito e censurare ciò che può rivelarsi scomodo al potere costituito. E così, proprio mentre dichiara di proporre apertura, dialogo, confronto, ricerca, elaborazione di nuove ipotesi, agisce invece con la censura, con l’insabbiamento, senza nemmeno rendersi conto di non essere altro che il riflesso di condizionamenti culturali e modelli di rappresentazione della realtà accettata secondo i canoni più comuni.

 

Vi sono dei tristissimi e numerosissimi esempi sia antichi che contemporanei, su questo tema, e che farebbero in pratica concludere che i dogmi stanno alla religione come gli assiomi stanno alla scienza. Ed entrambi hanno le stesse caratteristiche, sono cioè difatti indimostrabili, ma devono essere accettati con obbedienza, pena l’esclusione dalla grande loggia che detiene il sapere, decidendo in modo del tutto arbitrario cosa sia giusto credere e cosa no.

Siamo tutti cresciuti, per esempio, studiando a scuola la teoria del big-bang, il grande scoppio da cui si sarebbe originato l’universo, ed abbiamo imparato che non si mettono in discussione mai le (in)certezze conquistate da anni di studi e di teorie. E così, un’ipotesi del tutto immaginaria e visionaria, e che infatti trova alternative e puntuali oppositori, segue la legge della menzogna ripetuta più volte, che sentita a più riprese finisce per essere assunta a parabola di verità inconfutabile.

Fino a che non venne scoperta e descritta la circolazione del sangue, esso era considerato immobile all’interno del corpo, generato dagli organi dello stesso. Fino ad Einstein, il tempo era considerato lineare ed irreversibile, perché così era esattamente la visione degli scienziati fino a quel periodo.

 

 È molto curioso, peraltro, dover sempre constatare come il guizzo critico si appalesi sempre di fronte a scoperte e conclusioni scientifiche che danno fastidio alla struttura delle credenze e dei valori consolidati. Nessuno si oppone a un astrofisico o a un meccanico spaziale che spiegano l’allunaggio umano, mentre lo spirito di ricerca subisce un istantaneo sussulto quando un anatomista esperto in nutrizione spiega perché l’essere umano è costituzionalmente un frugivoro. Allora si assiste ad un improvviso desiderio di chiedere le fonti delle ricerche in lingua originale, si pretendono citazioni, si esorta a gran voce il richiamo ad eventuali studi comparativi con risultati magari contraddittori. Ci si sente turbati. Questo perché la conoscenza non è mai soltanto il risultato di una raccolta di dati e informazioni elaborate in modo asettico e neutrale, ma il risultato di un punto di vista, di uno stile attributivo del senso della realtà.

L’illusione illuminista dell’uomo razionale, o addirittura “animale superiore”, è soltanto una credenza ridicola e irrimediabilmente sfatata dalle scoperte relative al funzionamento ed ai processi associati alla nostra architettura neuro-anatomica.

L’amigdala, in pratica, ha dato ragione a Freud, almeno in parte, e riposto in soffitta la mistica della ragione suprema. Prima di pensare, sentiamo. Prima di progettare, pianificare, elaborare per mezzo delle funzioni esecutive adducibili alla corteccia frontale, abbiamo reazioni viscerali, si attivano stati affettivo-emozionali, prorompe la fame di soddisfacimento di bisogni primari. Le nostre prime istanze e richieste sono di natura profonda, e l’essenza stessa di tutta la realtà ‘persona’, è un’impalcatura equipaggiata di risorse eccellenti che vanno ben oltre il semplice calcolo deterministico. Noi siamo prima di tutto emozione, intuito, creatività, ci orientiamo nella realtà spesso scegliendo “a naso”, percependo la presenza di un senso totalizzante, ben al di là del limite sperimentato dalle richieste della quotidianità.

Del resto, ben lo sapevano anche tutti i filosofi antichi, che la capacità raziocinante facesse parte di un equipaggiamento complesso, da cui costruire e sviluppare equilibrio e discernimento consapevole.

Se uno scienziato de-sensibilizzato da tutta questa immensa e imponderabile meraviglia, sceglie di non conoscere ciò che gli fa paura, sceglie la miseria spirituale, sceglie la conservazione del suo paradigma considerato incrollabile, non è diverso dal clerico che si rifiutò di non guardare dentro il cannocchiale di Galileo. Aver scoperto e constatato che il pianeta sul quale stiamo ha una forma sferica, è stato un grande trauma, non solo per i religiosi tradizionali, ma anche per i religiosi “laici”, che hanno dovuto ammettere che ciò che spacciavano per scienza, altro non era che un mero agglomerato di credenze e supposizioni, prese per buone e date per scontate.

Oggi si deve fare i conti con la scoperta che la scienza ‘vede’ soltanto  circa il 4% di ciò che chiama realtà, e che tale cornice che ci contiene, rappresenta a sua volta un artificio in gran parte creato dalla nostra capacità di generare e costruire realtà e infiniti mondi. Rinunciando a una pretesa di oggettività, la scienza si trova di fronte ad un impegno di non poco spessore, e per via del quale non sono implicati solamente i mezzi, gli strumenti o le tipologie dei percorsi di ricerca, ma il ruolo stesso che la conoscenza (e soprattutto chi ne è fautore), deve assumere davanti al mistero della vita. Se continuare ad assoggettarla, manipolarla e farne merce di profitto, oppure considerare anche l’etica, e dare primato all’anima, perché lei è la vera psychè, l’autentico soffio vitale di cui parlavano gli antichi greci, prima che venisse mortificata da un dualismo riduzionista, angosciato dalla prospettiva di sondare negli abissi profondi della vera origine e sostanza di ogni creatura vivente nell’UNO.

Se Cartesio fosse fra noi, oggi, accetterebbe di aggiornarsi, ammettendo di essere stato semplicemente figlio del suo tempo. Mentre molto spesso, chi ha la fortuna di far parte in questa epoca, che sta offrendo la straordinaria possibilità di un gran risveglio interiore, continua a scegliere la divisione, il buio, a dividere il mondo fra “chi pensa e chi non pensa”, senza considerare che l’esercizio del pensare, sconnesso dal sentire, è un processo parziale, incompleto, che magari permette di vedere ma senza osservare, di incedere senza andare avanti, di cogliere senza comprendere.

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