Un epicureo al giorno leva il counselor di torno: aiutare a non avere bisogno di aiuto

Inviato da Nuccio Salis

epicuroProgettare, pianificare, organizzare gli obiettivi, scegliere, attuare e concretizzare. Tutti propositi di genere pragmatico, che richiedono uno sforzo della propria parte logica e dei processi razionali del pensiero, ovvero richiamare strutture, concetti e categorie, tutte elaborazioni che hanno molto probabilmente condotto un cliente al punto di stallo in cui si trova. Insomma, spesso nella vita del cliente ma come in ciascuno di noi, sarà pure accaduto di vedere sfumare le proprie aspettative incesellate secondo una progettualità considerata impeccabile. Molto spesso possiamo dare per scontato che ad X deve rispondere necessariamente Y. Mi domando se lo stesso piano di ragionamento potrebbe reiterare nella vita del cliente, anche se su propositi e piani di direzione differenti, quello stesso stile cognitivo che ha prodotto in lui quel naturale boicottaggio da parte delle risorse più insondabili, misteriose e per questo più efficaci dal punto di vista resiliente.

Mi chiedo quanto conti la capacità di destrutturarsi annullandosi, di lasciarsi andare in modo completo, di abbandonarsi ad un naufragio sartriano, da intendersi come un’avventura verso il nulla dove la sfida è vincere il mondo, rinnegarsi, non avere un’identità, spogliarsi di ogni maschera sociale. Forse, questa pratica che induce al controllo di se mediante la pianificazione “scientifica” dei propri obiettivi, è il cascame di una pratica clinica che a sua volta è suggellata a fuoco da una cultura “normalizzante” e correttiva, che tende a ricondurre la persona in una cornice espressiva personologica considerata giusta. Non diamo la soluzione, è vero, anzi conduciamo su un piano di consapevolezza che ha come fine sempre un orizzonte esplorativo aperto, ma tutto finalizzato ad attuare cose concrete, visibili, tangibili, misurabili e verificabili. Il cliente, insomma, come un piccolo Galileo che deve fare sforzi di natura empirica per poter mostrare a se stesso ed agli altri che sta riabilitandosi in una nuova veste, che si potrà apprezzare in quanto questo nuovo abito identitario sarà il mezzo attraverso cui potrà essere riconosciuto e, soprattutto… accettato. Ma la soluzione che il cliente cerca, la cerca veramente lui? Gli appartiene? O si tratta una sottile e sfuggevole compiacenza verso chi ha il compito di aiutarlo? Gli sarà davvero utile? È ciò di cui ha veramente bisogno nella sua vita? È la soluzione politicamente corretta che il counselor applica secondo comandamenti sociali anche non scritti? Il dubbio mi sovviene. Soprattutto se penso che molto scienziati hanno trovato soluzioni alle loro domande, studi e ricerche, attingendo dai loro sogni. La formule chimiche del benzene e del DNA sono un esempio, così come numerose sinfonie musicali scaturite proprio dal surreale mondo del dormiveglia.

Che peccato, mi dico, pensare di irreggimentare una persona dentro un percorso precostituito per quanto, per convenzione, sia considerato accettabile. Eppure la nostra personalità può essere pensata secondo la filosofia del panta rei di Eraclito, che ci insegna come noi forziamo, anche con l’ausilio del linguaggio, il mondo fenomenico a perdere la sua qualità di eterno mutevole. Chiamiamo fiume un corso di acque, e così ce lo immaginiamo immobile, come in una istantanea, mentre altro non è che un continuo fluire di acque che lo rendono sempre diverso in un motto continuo cangiante. Sento che se non tenessi a mente (e soprattutto nel cuore) questa consapevolezza, potrei fare l’errore di impedire al mio prossimo di sognare, fantasticare, di essere creativo nell’illusione, di sognare e credere nell’’impossibile, ovvero, come certuni scienziati che hanno trovato le risposte dal mondo onirico, di avvalersi del diritto di essere svegli durante il sonno.

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