Psicofisiologia dell'esperienza meditativa


Image“ Niente è pesante, basta solo che noi siamo leggeri ”

(Johannes Bours)


Il seguente articolo porrà attenzione ai correlati fisiologici di quelle pratiche che, in una varietà di tecniche e approcci, inducono uno stato di rilassamento profondo e una transizione graduale da uno stato di coscienza ad un altro.

Sulla base degli studi compiuti nel campo della ricerca neurofisiologica negli ultimi quarant’anni, si è rilevato come la pratica costante di tecniche atte a indurre lo stato meditativo sia in grado di provocare modifiche a livello neurocerebrale: in particolare sembra che l’esercizio quotidiano comporti l’inspessimento della corteccia cerebrale e nel complesso modifichi le modalità di lavoro del cervello alterandone gli impulsi elettrici.


A motivo della specificità del tracciato elettroencefalografico rilevato e studiato da numerose ricerche, l’esperienza meditativa è da considerarsi uno “stato mentale” distinto sia dalla veglia sia dal sonno.

Sappiamo che ogni stato mentale, o stato di coscienza, può essere descritto sulla base della rilevazione di parametri neurobiologici oggettivabili: tracciato elettroencefalografico, attivazione del sistema nervoso autonomo, flusso cerebrovascolare. I risultati ottenuti dallo studio dell’EEG in corso di stati meditativi mettono in luce una specificità per quanto riguarda le aree funzionali e gli emisferi coinvolti durante tale esperienza, nonché per quanto riguarda il ritmo cardiaco. Studi condotti su monaci buddisti in corso di meditazione hanno evidenziato infatti un’asimmetria emisferica con passaggio dalla dominanza sinistra a quella destra con potenziamento delle funzioni somatoviserali e cognitive presiedute dall’emisfero destro. Unitamente a ciò, durante lo stato di coscienza proprio dell’esperienza meditativa si riscontrano modificazioni della reattività del sistema nervoso autonomo e un’attenuazione significativa dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenalico(HPA) coinvolto nella risposta da stress (e iperattivo in caso di stress prolungato concorrendo all’eziopatogenesi delle patologie cardiovascolari e neoplastiche).


Sembra dunque che il beneficio della pratica meditativa, comportando l’attenuazione dell’asse HPA anche in caso di stimolazione stressante, sia a ricaduta sul sistema immunitario e cardiovascolare, incidendo positivamente su alcuni fattori di rischio responsabili dei più diffusi quadri patologici dell’uomo moderno.


Per quanto riguarda altre specificità neurofisiologiche dello stato di coscienza del rilassamento avanzato e della condizione meditativa, si evidenzia un incremento del ritmo alfa e un complessivo rallentamento del tracciato EEG nelle fasi iniziali del rilassamento, con riduzione di ritmo cardiaco e frequenza respiratoria per poi passare, con il progredire del rilassamento profondo, ad una risposta elettroencefalografica differente caratterizzata da un ritmo teta, che sembra essere correlato alla fase definita “concentrativa”, in cui i soggetti in meditazione focalizzano l’attenzione su un simbolo o su un mantra (qualora si faccia riferimento a una pratica meditativa orientalista).

Negli stadi ulteriori, nell’esperire il cosiddetto Satori1 e Samadhi2, si riscontra un’intensa attività delle onde beta nella risposta elettroencefalografica. Questa condizione di coscienza viene generalmente associata dal soggetto meditante alla sperimentazione di emozioni di gioia e pace profonda.



Riepilogando, ecco in sintesi i principali benefici riscontrati dall’esercizio sistematico della meditazione o pratiche affini:


  • Riduzione dei livelli di pressione sanguigna in situazioni cliniche e non

  • Riduzione della mortalità cardiovascolare in persone affette da ipertensione

  • Potenziamento del sistema immunitario

  • Benefici per il controllo di crisi acute di mal di testa

  • Benefici in caso di disturbi legati al colon irritabile

  • Abbassamento dei livelli urinari di cortisolo nelle donne post menopausa

  • Riduzione di ansia, depressione, risposte disfunzionali allo stress


Alla luce dei suddetti processi neurofisiologici implicati nell’esperienza del rilassamento profondo e dei benefici psicofisici riportati, è evidente come tali pratiche possano coadiuvare positivamente sia le cure mediche sia le terapie psicologiche, a prescindere dalla matrice culturale della tecnica praticata, che si tratti del training autogeno o della meditazione propria della tradizione buddista o induista: i correlati neurobiologici sono simili e tali anche le ripercussioni positive sullo stato di salute psicofisica della persona.


NOTE:

1- Satori: termine giapponese che denomina, nel buddismo zen, la condizione dell’ “illuminazione”, intesa come risveglio della coscienza ad un più elevato livello di comprensione e prospettiva, uno stato di profonda intuizione dell’autentica natura dell’essere.


2- Samadhi: stato sovracosciente di estasi, campo allargato di coscienza in cui si percepisce il substrato indifferenziato di tutte le cose. Nel percorso evolutivo dello yoga è lo stato di coscienza in cui soggetto meditante e oggetto della concentrazione sono la medesima cosa: stato d’identificazione assoluta senza intermediazione di sensi, mente, intelletto. Stadio finale di ogni via spirituale autentica.

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