L'Angelus di Millet - Parte Prima

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angelus millet"Ho fatto un sogno strano. Mi trovavo immersa in un immenso prato verde completamente piatto. Non c'era nulla, né un albero, né un ruscello, né un animale. Ero sola. Non so cosa ci facessi lì e non sapevo da che parte andare. In qualunque direzione volgessi lo sguardo non vedevo nient'altro che il verde dell'erba. Ad un certo punto cominciai a correre e man mano correvo, dentro di me cresceva la paura; cominciai ad urlare sempre più forte fino a quando, al colmo del terrore, dalla mia bocca non usciva più alcun suono. In quell'istante vedevo tutto nero e mi svegliavo nel mio letto, rimanendo per alcuni secondi nel dubbio tra sogno e realtà. Il cuore batteva a mille e mi girava anche un po' la testa. Da allora non riesco più a dormire e ho paura ad uscire di casa, paura che mi possa sentire male. Come metto piede fuori dalla porta il cuore comincia ad accelerare. Riesco ad andare a scuola solo se mi accompagna la mamma. Mi vergogno, penso che i miei compagni di scuola mi considerino mammona e fifona.

Ma loro non capiscono che la prima a soffrire sono io. Non so più come fare. Ho provato a prendere degli ansiolitici ma dopo qualche giorno trascorso un po' più tranquillamente è ritornato tutto come prima. Sarò malata grave? Guarirò? Cosa devo fare?" Aveva esordito così, ancor prima che potessi dire qualcosa. Instabile sulla sedia, agitata, logorroica ma più controllata nella gestualità delle mani. Mi trasmetteva una certa agitazione. Pensavo all'urlo di Munch...

Non avrei avuto difficoltà nel dare spazio alla parola. Nel seguito del colloquio diverrà meno logorroica fino ad assumere un tono di voce monotono e privo di variazioni emozionali. Statura media, 17 anni, capelli neri corti, non truccata, occhi marroni, sguardo penetrante e determinato. Veniva difficile pensarla come una persona fragile. Il vestire jeans e maglia nera con stivaletti altrettanto neri le dava un tono ombroso che si ripercuoteva dentro di me con un senso di preoccupazione. Non fu difficile entrare nel suo mondo. Chiara, viveva con i genitori e due fratelli più piccoli di 14 e 11 anni. La madre casalinga, il padre commercialista. Una famiglia dal tenore economico elevato. La madre oltre ad occuparsi dei figli e delle faccende domestiche (non aveva voluto una domestica perché avrebbe ficcato il naso dappertutto), trascorreva il suo tempo libero a plasmare vasi con la creta, vasi che poi dipingeva e conservava gelosamente. Il seminterrato di casa era così diventato una specie di magazzino di terraglie. In famiglia si erano abituati a questa convivenza e nessuno a quanto pare sollevava problemi. Stranamente le terraglie non comparivano mai nell'arredo di casa. Certo, mi chiedevo se dietro questa passione afinalistica della madre per la creta, non ci fosse qualche problematica di fondo. Per il momento preferii non chiedere nulla a Chiara al riguardo. Il padre pur lavorando fino a orari impossibili, specie nei periodi di denuncia dei redditi, era abbastanza presente e si informava costantemente dell'andamento familiare. Spesso si cenava alle nove per attendere il suo arrivo. Questo, alcune volte, ingenerava nei figli, soprattutto nei due fratelli minori, atteggiamenti di insofferenza. Ma la madre era intransigente e bisognava aspettare il papà. Una famiglia dunque apparentemente ideale pur con le sue peculiarità "organizzative". Chiara frequentava il quarto anno del liceo scientifico. Lo studio le era sempre piaciuto e riusciva ad ottenere dei buoni risultati senza un impegno eccessivo. Era benvoluta dai compagni di scuola e al di fuori frequentava un gruppo di tre amiche con le quali si trovava a proprio agio essendo persone tranquille come lei. Con loro ascoltava musica, a turno nelle rispettive abitazioni. Ogni 15 giorni andavano al cinema. Lei era particolarmente appassionata di cinema. Le piacevano i film impegnati pur non disdegnando pellicole più leggere. A volte il cinema le forniva gli spunti per la sua attività scolastica come l'ultimo film intitolato "Il cerchio" (storia di tre donne iraniane che si scontrano col potere maschile in Iran) che le era servito per svolgere un tema sull'emancipazione femminile. Aveva dunque una discreta capacità di cogliere le opportunità. I rapporti con i genitori li descriveva buoni, mai un conflitto o una discussione. Non le facevano mancare nulla e la paghetta settimanale era buona rispetto alla media dei compagni. Ma al di fuori del cinema e di qualche CD era piuttosto parsimoniosa. A volte litigava col fratello di 11 anni a suo dire un po' dispettoso. C'era anche una nonna paterna, l'unica rimasta ma che viveva in un'altra città e che vedeva solo tre o quattro volte l'anno in occasione delle varie festività e alla quale non si sentiva particolarmente legata. La descriveva come una signora dagli atteggiamenti un po' ricercati e fredda, sempre vestita elegantemente. In effetti non manifestava un particolare trasporto affettivo nel descriverla. Del resto manifestava una certa freddezza anche nel raccontare la propria famiglia e nella descrizione lo sguardo diveniva fisso e vuoto. Più il colloquio andava avanti e più mi sentivo pervaso da quel tono di ombrosità che avevo avvertito all'inizio, come se Chiara riferisse una versione recitata, mentre una diversa realtà era in incubazione. Diceva di non aver ideali particolari, a parte l'amicizia, ne riteneva di possedere una fede religiosa pur credendo genericamente nell'esistenza di qualcosa dopo la morte. Non possedeva nemmeno un'ideale politico. Raggiunta la maggiore età non avrebbe votato o quantomeno si sarebbe orientata verso la scheda bianca. Non aveva ancora un'idea su cosa avrebbe fatto dopo il Liceo. L'orientamento attuale, anche se con poca convinzione era verso una facoltà letteraria. Mi dava l'impressione di una persona che fosse arrivata in fondo ad un vicolo e lì si fosse bloccata, indecisa sul da farsi. Una persona che avesse, per così dire, fermato il tempo, restando in attesa di non si sa quale evento, senza dei valori o ideali precisi ai quali far riferimento. In due parole mi sembrava un po' allo sbando. Il tutto contrastando con la famiglia ideale precedentemente descritta. Alle domande sui suoi vissuti affettivi tentava di svicolare e si innervosiva. A quanto pare era un terreno insidioso, fonte di agitazione o almeno così mi sembrava e mi riproposi di affrontarlo successivamente. Non aveva particolari ricordi della sua infanzia, trascorsa a quanto pare in modo tranquillo e sereno. L'unica "defaillance", che ricorda era in relazione alla nascita del fratello di 11 anni di cui pare fosse gelosa e per questo provocava qualche disastro in casa, al fine di recuperare un po' di attenzione. Il resto dell'infanzia, scuola materna, elementare e media, trascorsero, a quanto pare, all'insegna della tranquillità. Mi sentivo abbastanza sconcertato. Empaticamente continuavo a percepire quel senso di ombrosità, come se il quadro idilliaco descritto mascherasse una situazione minacciosa. Nonostante avessi scandagliato la sua vita non riuscivo, nonostante la sua capacità di cogliere le opportunità, a vedere altre risorse in lei, mentre continuavo a percepire una minaccia non ben identificabile. Paradossalmente in quel prato, descritto nel sogno, cominciavo a trovarmi pure io. E come lei mi ponevo la stessa imbarazzante domanda: cosa devo fare? Era come se mi avesse condotto in quel prato per aiutarla a trovare una soluzione. Presi dunque tempo e la "liquidai" dandole un appuntamento la settimana successiva. Mi guardò perplessa, ma accettò. Dopo, a mente più lucida, mi resi conto di aver messo a rischio l'obiettivo dell'alleanza. Altre volte mi era accaduto ma per stanchezza o fretta. Stavolta credo per paura. Paura senza oggetto, indefinita. La sua paura probabilmente. Ma paura di che? Avrei avuto una settimana di tempo per studiarmi il da farsi ma, come sempre avviene, quando non si vorrebbe affrontare una situazione, rimandai la cosa di giorno in giorno fino ad arrivare al colloquio successivo senza aver "studiato" alcunché tenendomi tutti i miei dubbi e le mie domande.

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