Il diario come cura

Inviato da Lucia Balista

diarioLa scrittura del diario ci cura perché è uno specchio apparente: riflette immagini di esperienze che ci hanno attraversato, ma alla ricerca di un altro autore. La scrittura del diario, in generale,  è quasi sempre automatica, è un’espulsione la più rapida possibile di parole interne e pertanto virtuali e potenziali. Il diario è chiamato a seguire le pulsazioni emotive e disordinate della nostra intrinseca doppiezza. Vive alla giornata, di intervalli ed accelerazioni. Non obbedisce ad un piano, non ha una strategia ed un disegno. Per tale motivo ogni diario è multiforme e vario. Al contempo esso è unico, come unico è l’alter ego di ciascuno di noi. Talvolta, così, il diario è un insieme di pensieri sparsi; talaltra,  annota versi e ciò che è accaduto, ciò che si è udito per caso, talaltra ancora, è perfetta descrizione di ciò che ci sta circondando o avvolgendo in un dato momento.

Nel mondo della scuola, ad esempio, si può assegnare agli studenti, come compito, la stesura di un diario. Personalmente riscontro dei risultati proficui.  L’amore per la parola, in effetti,  non soltanto ci cura ma ci avvicina agli altri e ci esclude da diventar misantropi. L’odio per gli esseri umani è fuga dal loro ascolto e sfiducia nei confronti delle loro storie.

La scrittura, inoltre, nasce come elemento di rassicurazione, perché consente di vivere il cambiamento con un minore coinvolgimento personale. La voce narrante -che è la voce del doppio- è apparentemente estranea alle vicissitudini del soggetto, narra talvolta con tono quasi impersonale e ciò le consente un maggior controllo dell'ansia di fronte al mutamento.

La narrazione autobiografica racconta come i rapporti sociali vengono interiorizzati e trasformati in strutture della personalità. Ci si richiede un momento di arresto per riflettere, per meditare; c’è la richiesta d’ascolto, un ascolto che solo il silenzio della sospensione del rumore quotidiano può dare.

È necessario, infine, osservare che nei diari e nei resoconti a carattere personale, il racconto necessariamente è inconcluso, sia perché esso rimanda al presente e al futuro, quindi ad una dimensione aperta, sia perché non è possibile completare sul piano temporale il racconto della propria vita. In questo senso, ogni racconto autobiografico è una rivisitazione e una revisione di ciò che è accaduto alla luce degli insegnamenti tratti. Chi scrive, lo fa per comunicare le sue esperienze e la lezione che ha ricavato da esse.

Ma questi stessi insegnamenti assegnano alle esperienze compiute significati che esse non avevano nel momento della loro attuazione; in questo senso le esperienze sono “manipolate” perché acquisiscono un senso a posteriori.  In quest’ ottica, noi siamo ciò che raccontiamo, la nostra identità consiste, infatti, nel racconto di quello che siamo stati e di quello che siamo. Noi agiamo in base a questo racconto ed ogni nostra azione è frutto di esso. 

Anche quando l’azione appare disarmonica e non omogenea al racconto, vi è comunque una relazione con questo, perché l’armonia o la disarmonia del nostro agire è tale solo in relazione al passato, cioè al racconto della vita che presentiamo a noi stessi ed agli altri.

Lucia Balista

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