Empatizzare con le vittime della pedofilia: il counselor alla prova


counseling_bambini_vittimeUno degli aspetti più delicati della nostra professione consiste nel ricercare la “giusta” dimensione della carica empatica che ci lega al Cliente. Come fare? A mio parere occorre cercare di immedesimarsi nel profondo con chi ci chiede ascolto, provando, senza paura, a metterci dalla sua parte, davvero. Un modo che serve a calibrare le nostre emozioni ed il transfert. Ecco un esempio di ciò.

“Buio, notte fonda. Un caldo insopportabile, ma non riesci a scostare le coperte, i tuoi muscoli sono rigidi, non ti rispondono. Non è tuo quel corpo che pure ti urla di soffocare dal caldo. Non sai dove sei, che ora è, nulla, il buio è dentro di te, nella tua anima.

Dura poco, piano piano i tuoi muscoli si riattivano e iniziano le fitte, lancinanti, riesci a scostare le coperte, a muoverti, non sai ancora dove sei, poi arriva il freddo, arriva intenso sul corpo madido di sudore, si diffonde dalla parte dell’animo più nascosta, quella che non mostri mai, quella che vuoi dimenticare con tutte le tue forza. Un incubo, un sogno vivido, un ricordo che disperatamente tenta di riaffiorare. Per liberarsi e, finalmente, dissolversi, per liberarti. Ma tu lo sai che non puoi permettertelo, mai.

Controllo, ci vuole controllo. Allora non importa cosa hai sognato, non ti deve importare, è passato. Quelle mani te le senti ancora addosso, ma non importa per quello non era il tuo corpo, in fondo il tuo corpo non ti interessa, non ti piace e non ti è mai piaciuto. Tu lo sai, ricordi quando è successo, quello che non sai per quanto tempo è successo. Ma non importa, non eri tu, o meglio lo eri ma ora non sei più quella bambina. Tu lo sai che non avevi neanche cinque anni, lo sai perfettamente che di li a poco hai cominciato la scuola. Lui era ancora in casa, tu non potevi dire niente, avresti distrutto tutto.

Eri piccola, o forse non lo sei mai stata sul serio. Era un’altra la bambina che giocava, prima. Dopo, ti è bastato che gli altri ti credessero una bambina. Lui l’ha passata liscia, forse altri avranno intuito, forse, tu sola hai saputo. Meglio non ricordare, meglio. Meglio non correre il rischio di sapere, sapere tutto. Non importa se ogni tanto di svegli nel cuore della notte ed il tuo corpo non è più tuo, di tuo c’è solo il dolore che ti lacera i muscoli, di tuo ci sono le lacrime che ti hanno bagnato il viso e intriso il cuscino.

Ora, non importa più. Tu sai che hai dimenticato quasi tutto, non avevi scelta. Ora sai che mai l’hai avuta. Tu eri solo una bambina e ti sei caricata sulle spalle colpe non tue, ma non importa, non importa più. Ora lo sai, ma è troppo tardi. Il passato non si cambia e col presente bisogna conviverci, questo lo sai e, forse, lo hai sempre saputo. Controllo, ecco cosa serve, semplicemente controllo. Ma i sogni, tu lo sai, non li puoi controllare. Certo, ci provi, in tutti i modi.

Ma l’ipnotico dopo poche ore non basta più e l’incubo torna. Oh certo, non sempre, però torna. Non importa, tu sei più forte. Quella bambina è stata forte. Ha vinto lei, ha controllato la situazione. Ora tu sai che ha vinto lei, su tutto e su tutti. Pedofilo si chiamava, lui. Ora lo sai che si chiamava così, anche se viveva in casa tua, se aveva la fiducia di chi ti ha messo al mondo. Tu li hai protetti tutti. Come hai potuto, hai protetto anche quella bambina, dimenticando tutto. Quasi tutto.

Restano gli incubi, il caldo, il dolore. Resta quel corpo che è tuo e non lo è. Ti resta il controllo, quello si. Ti ricordi che ti ci sei aggrappata, era la tua sola prospettiva di sopravvivenza, lo è ancora.”

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