Intelligenza emotiva nel counseling a mediazione corporea

Inviato da Milena Screm

rabbiaUna parola di troppo, una frase pronunciata con un'enfasi particolare, un tono di voce aggressivo e può prendere il via un crescendo di stoccate verbali: un conflitto.

Accade a tutti di assistervi ogni tanto o peggio, di prendervi parte. A volte è inevitabile, qualcuno lo cerca proprio, Sgarbi sembra goderne.

Se le parole sono uno degli strumenti che l'uomo ha per comunicare, quando diventano taglienti, quando sono pronunciate con rabbia, quando hanno l'energia di un ceffone, diventano strumenti di offesa. Suoni articolati che affondano le loro punte metaforiche sia nella morbidezza dell'orecchio sia in quella della pancia. Veri strumenti di belligeranza, in questi casi esprimono giudizi taglienti, manifestano emozioni aggressive e, a volte, intenzioni pericolose. Le sottolinea e spesso enfatizza naturalmente lo sguardo, la mimica facciale, la postura, la gestualità.

Prima di rivolgere l'attenzione al "cosa" fare, e al "come" gestire gli impulsi aggressivi, guardiamo il "perché" le proviamo.

La rabbia è una manifestazione aggressiva "primaria", che ha origine primitive e riguardanti l'istinto. Nel mondo animale scoprire i denti e ringhiare è un comportamento che segnala "Attenzione: sto per aggredire!" Le bestie lo fanno se si sentono in pericolo, quindi devono difendersi, e quando attaccano per sfamarsi; in entrambe i casi si tratta di sopravvivenza.

L'essere umano è di certo più complesso e sofisticato ma anche lui, a volte, proprio come un animale, può attaccare per difendersi, da un pericolo reale o immaginario. Spesso le persone diventano aggressive quando sentono che è stato varcato un confine: un'occhiata pesante, qualche parola secca, un tono "ringhioso" ed ecco che è stato mandato un chiaro messaggio, "Attento, stai esagerando e potresti pagarne le conseguenze!".

Ma esiste anche una rabbia che nasce da uno stato d'irritabilità sottostante e semipermanente; chi ne soffre va facilmente in reazione, anche per cose banali, soprattutto è insofferente. Spesso si tratta, in questi casi, di uno degli effetti causati da situazioni stressanti, nei quali lo stress, diventato distress ovvero situazione conclamata di tensione, innesca una catena di reazioni fisiologiche che alterano anche le condizioni chimiche dell'organismo. L'adrenalina – l'ormone del "sistema attacco/fuga" è prodotto in dosi superiori al necessario (come pure un altro ormone, il cortisolo) e gli effetti collaterali di questo sovraccarico ormonale investono organi, sistemi fisiologici e umore; quest'ultimo diventa, appunto, irritabile e reattivo.

L'ira prodotta dallo stress è un segnale simile a una spia rossa sul cruscotto di un'auto di vecchia generazione: dice "Attenzione, c'è un malfunzionamento in atto, serve un controllo e dei provvedimenti ad hoc"; invita la persona a fermarsi, ascoltarsi e prendersi cura di sé. Le tecniche di rilassamento sono molto efficaci in questi casi; così come tutto quello che facilità il sonno di buona qualità e la distensione nervosa.

Se la radice non è lo stress ma un carattere "fiammifero", è opportuno che l'approccio di gestione segua varie direzioni. Il lavoro di consapevolezza delle emozioni è l'inizio. Che cosa sento? Dove lo sento? Cos'ho percepito? Che cosa ha mosso in me questa sensazione emotiva?

Porsi queste domande, sviluppare quest'ascolto di sé, potersi dare risposte, sono i primi passi da muovere sulla strada di una nuova educazione emotiva. La risorsa respiro, fisiologicamente naturalmente connesso alle emozioni, è il secondo strumento pratico da poter utilizzare; possiede una duplice potenzialità: favorisce l'ascolto dettagliato delle sensazioni e, al tempo stesso, consente d'intervenire fisiologicamente sulla reazione emotiva e di gestirla: il suggerimento "Conta fino a cinque prima di reagire" può essere trasformato anche in "Fai cinque respiri profondi prima di sbottare".

Un terzo strumento da utilizzare, unito agli altri due, sono le pratiche finalizzate a scaricare tensioni accumulate, in modo tale da non accumulare nervosismo in ufficio e poi altro in famiglia. Sono efficaci sia attività semplici come l'attività fisica, sia esercizi specifici finalizzati a esprimere la rabbia come tale, non "contro" qualcuno. Da non sottovalutare inoltre l'uso della scrittura: depositare alla carta gli impulsi distruttivi alleggerisce quanto basta l'umore, quindi dà benessere, senza fare male a nessuno.

  • Che cosa fare quando un collega vomita la sua ira su di noi?
  • Come arginare il salire vulcanico della rabbia quando una persona riesce a farci imbestialire?
  • Quale atteggiamento scegliere in un alterco?
  • Non ci sono "ricette".
  • Esistono strumenti e la possibilità di utilizzarli.
  • Con la chiarezza, all'origine, che non sono gli altri a mettere delle emozioni dentro di noi ma che queste sono la nostra reazione a degli stimoli che abbiamo percepito.
  • Non possiamo cambiare gli altri, abbiamo invece il potere di conoscere e migliorare noi stessi.
  • Come?

Un buon primo passo è sapere qual è la propria personale lista delle emozioni incontrollabili, quelle che riescono a metterci in difficoltà già sul nascere.

Ecco una semplice procedura pratica:

- scrivere una descrizione di come ci si vorrebbe sentirti sempre, qual è l'umore ideale, lo stato interiore con cui affrontare la giornata;

- altro foglio, altra descrizione: gli opposti degli stati d'animo descritti prima.

Se ad esempio la lista iniziale conteneva "felice, soddisfatto, aperto agli altri...", gli opposti possono essere "triste, frustrato, chiuso in me stesso...".

Il secondo elenco è da osservare con attenzione: è la "lista nera" emozionale, quella delle emozioni rifiutate, che vorremmo tenere lontane, perché quando ci sono... ci mettono spalle al muro!

Impariamo già in tenera età a distinguere le emozioni in buone e cattive. E col passare degli anni, tentiamo di diventare quelle che ci concediamo di sentire, e soprattutto di esprimere.

Ci mostriamo agli altri, e a noi stessi, come l'insieme degli stati emotivi "buoni". Utilizziamo questa immagine come una nostra foto, un nostro biglietto da visita, per le altre persone (e anche per noi stessi). Ma quando sentiamo arrivare potente l'energia di un'emozione che non sappiamo gestire, una di quelle da "lista nera", allora... andiamo in tilt.

Normalmente diciamo: sono arrabbiato, sono triste, sono allegro. Quando potremmo usare: provo rabbia, sento tristezza, sperimento allegria. Solo carenza di sinonimi?

Pigrizie linguistiche a parte, esprimiamo in parole un tranello in cui siamo caduti: la sensazione di diventare l'emozione provata.

Quando ci identifichiamo con un'emozione, andiamo inconsciamente a sbirciare se appartiene alla lista "Buoni" o "Cattivi". E attribuiamo così, anche a noi che la proviamo, lo stesso valore e lo stesso giudizio.

A questo punto manifestare o no il nostro stato d'animo, diventa una questione di contesto: a seconda che sia o no socialmente accettata l'espressione di ciò che proviamo, significa: mostrarci buoni o mostrarci cattivi.

Ogni volta che pensiamo di non poterci esporre con ciò che stiamo sperimentando, automaticamente attiviamo dei comportamenti finti ma esternabili: delle maschere.

"Sono invidioso". "Non farlo vedere, sorridi!"

"Mi ha ferito e mi viene da piangere". "Non se ne parla proprio: va via indignato e basta!"

"Ho una rabbia che spaccherei tutto". "Controllo!!! Riordina compulsivamente la tua scrivania."

Dimentichiamo qualcosa? Sì! Che ogni emozione che proviamo ha dei messaggi da comunicarci, che sono fondamentali per la nostra vita e per il nostro benessere.

Il complesso meccanismo che governa le emozioni, quando reprimiamo alcuni stati d'animo, reagisce facendoli provare con maggior frequenza, rendendoli visibili nelle persone intorno a noi, trasformandoli in disturbi fisici. Tutto purché riusciamo a ricevere il messaggio che hanno per noi.

Cinque passi verso una sana gestione della vita emotiva.

1. Recuperare l'arte di ascoltare il corpo, luogo in cui le emozioni si manifestano e si muovono.

2. Abituarsi a chiamare le emozioni col loro vero nome, invece della vaghezza.

3. Ampliare i propri punti di vista sulle emozioni, riscoprendo doni e i messaggi che portano.

4. Sviluppare un atteggiamento di non giudizio nei confronti di ciò che si prova.

5. Imparare quali sono le strategie per esprimere in modo sano le proprie emozioni.

Disidentificarsi dalle emozioni, imparando a sperimentarle, ascoltarle, esprimerle: questa la ricetta per un sano mondo emotivo. Facile a dirsi, e nemmeno troppo complesso a farsi. Da soli o ben accompagnati, in un percorso verso una maggiore serenità e autenticità.

RABBIA & COMUNICAZIONE: CINQUE MOSSE VINCENTI

1 - Evitare di confrontarsi quando la rabbia è intensa e ci si sente "ribollire".

La probabilità di perdere obiettività e di scivolare in un conflitto a fuoco verbale, è altissima. Una buona idea è scaricare l'energia in eccesso con dell'esercizio fisico: è salutare per chi lo pratica e non danneggia l'altra persona.

Passata l'ondata di piena, si può passare alla fase operativa: comunicare la rabbia.

2 - Entrare a contatto con i propri bisogni disattesi per conoscerli e dichiararli.

Ogni volta che ci arrabbiamo sentiamo frustrato un nostro bisogno, o violato un nostro diritto: occorre darsi il tempo per identificare qual è la mancanza che abbiamo sentito.

Quindi con chiarezza e rispetto, comunicarla alla persona coinvolta.

Questo ci dà modo di scoprire qualcosa in più di noi, e di capire come si può evitare il ripetersi di certi intoppi. Relax del corpo e contatto col proprio respiro: due elementi preziosi per sondare il nostro mondo interiore e ascoltarlo.

3 - Recuperare la proprietà e la responsabilità delle emozioni che si provano.

Un'altra persona nei nostri panni, potrebbe aver avuto reazioni completamente diverse da quelle che si sono scatenate in noi. Per questa ragione è bene far attenzione a come si dicono certe cose.

Meglio "Mi sono arrabbiato quando hai fatto..." invece di "Tu mi fai arrabbiare perché...".

O ancora "Mi sento ferita quando mi dici..." invece di "Tu mi ferisci quando...".

E anche "Io ti vedo fare... e allora mi sento..." invece di "Sei così... quando... e mi fai..."

4 - Ascoltare l'altra persona

Due passi con le scarpe di colui o colei con cui si è scatenato il conflitto, fanno proprio bene. Dopo aver depositato quanto era dentro di noi, lasciamo all'altra persona la possibilità di esporre il suo punto di vista, rispettando i suoi tempi, ascoltandolo e, per come riusciamo, cercando di comprenderlo stando nei suoi panni.

5 - Proporre di cercare una soluzione assieme e suggerire la propria.

Avviciniandosi a qualcuno con intento accusatorio, facilmente si scatena un atteggiamento analogo. Molto meglio dedicare un po' di tempo per pensare una strategia da proporre, quindi comunicarla e verificarla con l'altra persona. Anche qui qualche attenzione.

È di gran lunga preferibile "Mi piacerebbe che trovassimo assieme una soluzione per evitare che... Un'idea che avevo è...", allo stare lì senza nessuna proposta, o a "Ecco e adesso vediamo che non succeda più!".

Ogni situazione conflittuale ha due protagonisti: sé stessi e l'altro. Entrambi hanno un ruolo in ciò che si è generato, entrambi ne avranno uno nella soluzione trovata.

Attitudini semplici e facilmente applicabili, e molto efficaci. Perché "tornare a sé stessi" in un conflitto, è lo strumento più potente per andare verso una soluzione.

 

di Milena Screm, direttrice Insight e Umberto Catellani, counselor Insight

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