L'inevitabile scandalo del pregiudizio


In senso letterale “pregiudizio” significa anticipazione non meditata e quindi acritica di un giudizio - il quale può naturalmente essere positivo, benevolo o addirittura adorante - ma di solito presuppone un atteggiamento svalutativo e ostile nei confronti di qualcuno o di qualcosa. Se però non ci si vuol fermare a questa prima, superficiale e generica definizione, sarà opportuno distinguere i punti di vista secondo cui può essere indagato; il pregiudizio può infatti riguardare le opinioni, o, se si preferisce, le ideologie altrui; i valori, per esempio quelli lontani o alieni rispetto a quelli dominanti in un determinato ambiente socioculturale; le abitudini, anche alimentari, e i costumi, poniamo, di minoranze etniche o religiose; e persino le inclinazioni sessuali di una persona.

Bisogna anche mettere in chiaro che nessuno è del tutto esente da pregiudizi: basta parlare per rivelare la nostra appartenenza linguistica, il nostro stile e la nostra cultura, quindi le convenzioni sociali che abbiamo assorbito più o meno consciamente e, in definitiva, i nostri inevitabili limiti. Per Freud il pregiudizio verso i gruppi esterni è funzionale alla coesione interna di ogni gruppo: “E’ sempre possibile riunire un numero anche rilevante di uomini che si amino l’un l’altro fin tanto che ne restino altri per le manifestazioni dell’aggressività”.

Le tifoserie sportive, tento per non andar lontano, sembrano dargli ragione. Il pregiudizio è anche funzionale, secondo Adorno, al potere delle personalità autoritarie, le quali, incapaci proprio per la loro struttura caratteriale a risolvere i propri conflitti interni, li proiettano sul debole, sullo straniero e sul diverso. Gli esempi storici, purtroppo, non mancano e le cronache ce ne forniscono conferme quotidiane. Sembra proprio che certi pregiudizi siano troppo radicati per sperare che si possano estirpare, magari con l’educazione e le buone leggi.

Per lo psicologo statunitense Allport il pregiudizio è una forma di semplificazione cognitiva che permette alle masse di orientarsi più facilmente nella complessità del mondo circostante. E infatti, a ben considerare, il pregiudizio ci serve a mantenere integro il nostro sistema valoriale e di salvaguardarlo dai pericoli di revisione provenienti da altri sistemi: più rigido e accentuato è il nostro coinvolgimento anche emotivo riguardo a determinati valori, più resistente è la chiusura nei confronti delle nozioni e degli argomenti che li mettono in discussione.

Se a questo si aggiunge una situazione conflittuale permanente dovuta al sistema sociale competitivo in cui viviamo, si comprende come il pregiudizio si trasformi facilmente in discriminazione. Se dall’ambito psicologico ci spostiamo a quello ermeneutico, scopriamo che per Gadamer il pregiudizio è solo un giudizio che viene emesso prima di un esame completo e definitivo di tutti gli elementi oggettivi. Ora, quando mai sarà completo e definitivo questo esame dei dati oggettivi se lo stesso metodo scientifico non esclude, anzi, presuppone la possibilità di nuove scoperte che rimettano in discussione le conoscenze già acquisite?

Per Gadamer è dunque un pregiudizio anche la pretesa di eliminare ogni pregiudizio. Che faremo allora, ci rassegneremo ad accettare acriticamente i pregiudizi dominanti? Non è questa la conclusione di Gadamer, per il quale si tratta di “stare nel modo giusto nel proprio pregiudizio”, cioè, anzitutto riconoscere i nostri condizionamenti e la relatività dei nostri punti di vista, quindi non chiuderci all’esperienza e all’imprevedibilità dei fenomeni che possiamo incontrare nella storia umana e in quella naturale. Mi rendo conto che questo atteggiamento non è precisamente quello di chi non ammette i propri pregiudizi, per esempio in fatto di omosessualità o di celibato, ma che possiamo farci?

Se a questo mondo fossimo tutti uguali e della stessa opinione verrebbe meno quella prerogativa essenzialmente umana che si chiama libertà, ma se togliessimo la libertà agli uomini e alle donne non andremmo contro la stessa volontà di Dio che ci ha voluto liberi persino di peccare?

 

Fulvio Sguerso

www.foglidicounseling.org

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