Io, Tu, Noi, gli Altri: i nemici immaginari dell’Ego

Inviato da Nuccio Salis

martin buber1. Conosciamo tutti il pensiero del filosofo e teologo Martin Buber sulla creazione di un rapporto dialogico e interpersonale. Egli sostiene, in sintesi, che ciascuno di noi fonda e determina se stesso fondendosi nell’altro, pur ricavandone a maggior ragione una personale struttura a carattere comunque aperto, quindi non una fortezza ripiegata su di se, quanto invece di natura eteroreferenziale, diretta e proiettata ad incontrare l’altrui da se. La nota espressione utilizzata da Buber è che ciascuno di noi si fa “Io nel Tu”, e sarebbe proprio tale dimensione a determinare l’origine di un rapporto che vede congiungersi due entità simili e speculari, creanti la condizione di una possibile relazione di alleanza e reciproca generazione di significati negoziati e condivisi. Il punto di vista attraverso cui viene proposto tale schema deriva da una matrice di marcata impronta umanistica, ispirata a modelli aderenti a una visione positiva dell’essere umano come co-creatore di rapporti.
Naturalmente oggi sappiamo che per produrre rapporti di cooperazione e di sana e robusta solidità, l’individuo umano dovrà imparare a farlo. Questa capacità, in fin dei conti, non nasce insieme a lui, se non allo stato potenziale, e sarà necessario un percorso di apprendimento, sia pianificato che accidentale, per vari livelli, affinchè si impari ad introiettare ed esprimere tali competenze. Asserire che l’identità ed anche la percezione di se in termini autentici debba comunque essere sempre il risultato dei messaggi retroattivi che recepiamo dalle risposte dell’ambiente sociale, significa anche dover affrontare tale fenomeno cercando di prendere in considerazione anche i rischi e le varie sfaccettature che vi sono connesse.


Se è nell’intreccio Io-Tu, quindi, che si stabilisce e prende forma la natura e la sostanza di ciascuno di noi, in termini di una personale struttura in grado di percepire ed attribuire senso alla propria esperienza, sarà a questo punto molto importante prendersi cura dell’aspetto qualitativo di questo fenomeno di contatto ed unione fra due sistemi di personalità. Nel senso che, le domanda che potremo rivolgerci saranno: “Come deve evolvere tale rapporto?”, “A cosa deve dare luogo, con quali mezzi e con quali finalità?”


Già, perché può non essere sufficiente determinare la nascita dell’Io dall’incontro con l’altro. O meglio, può non bastare se si vuole osservare il prosieguo di tali dinamiche ed auspicarne l’andamento in termini di evoluzione ed emancipazione per ciascuno dei soggetti coinvolti. L’Io si costruisce con la relazione, d’accordo, impeccabile, e sempre più riconosciuto dalle teorie del Sé e della comunicazione interpersonale. Ma se l’Io ed il Tu, putacaso, si mettessero a giocare? Proprio nelle modalità svalutative ed inconcludenti di cui ci parla l’Analisi Transazionale, per esempio? Oppure se guardassimo a questo modello utilizzando le griglie di lettura di una psicologia transpersonale o che ammette comunque la trascendenza, dove l’Ego è rappresentato come una sorta di incantatore che mistifica e corrompe, deviando la persona dalla sua autenticità, allora capiremo che dovremo problematizzare ulteriormente tale teoria, consegnandola ad un orizzonte di riflessione piuttosto ampio, complesso e maturo, che magari si assume l’azzardo di pensare senza tabù.


Dunque, questo rapporto, questo interfacciarsi fra entità dialogiche ha bisogno di ammantarsi di consapevolezza. Senza questa fluida essenza che viene vicendevolmente passata da uno all’altro, l’incontro può dare luogo ad espressioni non qualitatevoli, magari declinate nel disagio del tipo “simbiotico-fusivo”, dato per fare un esempio. Inoltre, non dimentichiamo che lo schema Io-Tu è valido dentro il punto di vista del protagonista, in quanto per il mio interlocutore io sono il Tu, ed egli è l’Io. Quindi, ciascuno di noi contiene già una dimensione del Tu, per quanto possa essere una rudimentale proiezione ideativa dell’altro da noi, più o meno a carattere preconcetto.


Inoltre, cosa dire se vari nuclei di Io-Tu, “ingrappolati” in una struttura gruppale a carattere magari autoreferenziale, producono un conseguente senso del “Noi”, che li mette in rotta di collisione distruttiva con tutto il resto del contesto al di fuori del gruppo? Ecco che non è davvero sottovalutabile la dimensione della qualità del fenomeno aggregante fra le varie particelle “Io-Tu”.
Non preoccuparsi e non prendersi carico di queste valenze significa relegare il modello “Io-Tu” ad una mera speculazione dialettica, magari illustre e meritevole per la sua facondia ma assolutamente inadatta a regolare il principio della qualità nella relazione “Io-Tu”. Insisto su questo aspetto,in quanto motivato dal fatto che chi fa i conti con i processi concreti delle dinamiche interpersonali, ha bisogno di utilizzare modelli che producano affidabili riscontri e un discreto margine di utilità costruttiva, per quanto aleatorio possa essere il fenomeno dell’incontro fra individui.

 

2. Tenderei inoltre a sottolineare con forza come le teorie sociali hanno sempre dato assoluto rilievo alla componente dell’influenza ambientale, inteso come campo di forza entro cui agiscono gli attori coinvolti. Questo ha portato ad intendere un fenomeno complesso come l’identità, per esempio, attraverso la controparte speculare dell’alterità. A produrre cioè un parallelo fra “senso dell’Io che passa attraverso l’altro come soggetto unico” e “senso del Noi che passa attraverso l’altro come soggetto collettivo”.


Seguendo questi paradigmi, ed i loro interessanti sviluppi, si giunge a concludere in modo pressoché logico che l’essere umano non può esistere senza l’esperienza dell’incontro. Secondo certi antropologi, sarebbe proprio la scoperta dell’esistenza di altri gruppi ed organizzazioni sociali a delineare un contenitore ispirato ad un sentimento del “Noi”, ad un comune percepire di far parte di una comunità, connaturata da quel punto in poi anche da un senso di appartenenza fra i membri che la compongono. Questo darebbe luogo anche a concetti mai conosciuti prima d’ora: civiltà, confine, Stato, patria, nazione, etnia, identità. Concetti con valenze positive? Il dibattito è aperto: personalmente credo che l’uomo strumentalizzi ciascuna di queste espressioni per avanzare diritti e rivendicazioni che non hanno davvero nulla a che fare con il concetto di libertà e di verità. Personalmente, non posso trattenermi dal scriverlo, credo che i concetti precedentemente elencati siano frutto dell’Ego, non dell’Anima, quindi prodotti relativi e transeunti, già vinti dalla caducità del relativismo e dell’arretratezza spirituale dell’essere umano (“you may say i’m a dreamer, but i’m not the only one”).

 

3. Insomma, per ritrovarci, pensarci e percepirci come soggetti oltre che naturali anche politici, è necessario una rilettura speculare da altri mondi di significato, una restituzione di noi attraverso l’altro. Così sembrano perlomeno suggerirci le teorie sull’identità collettiva, più o meno istituzionalizzata. Questa è proprio un’arma a doppio taglio: perché se ci sentiamo soli, ed abbiamo bisogno di qualcuno, finchè siamo ben disposti, animati da buone intenzioni, generosi ed amorevoli, forse cercheremo un amico. Cosa succederebbe se ci sentissimo soli ma dentro noi risuonano tempeste rancorose di sentimenti di vendetta, brame di conquiste e volontà di sottomettere il prossimo, di renderlo strumento dei nostri diabolici piani distruttivi, generati dalla rabbia, dalle ferite, dai fantasmi interiori dell’Ego? Forse, in questa condizione, avrei bisogno di un nemico, e se non ci fosse me lo inventerei , me ne procurerei uno, proprio come fa la pittoresca banda di “Fascisti su Marte”, uno strampalato manipolo di militari del regime, spediti sul pianeta rosso per allargare le mire espansionistiche “anche in verticale” dell’allora duce Mussolini.

I poveretti non avrebbero certo potuto ritornare a mani vuote, fallendo la loro missione; pertanto si ritrovano a proiettare sui sassi quell’intrinseco miscuglio di sentimenti a valenza negativa quali la paura, il disorientamento, il ribollio del desiderio del potere e della fierezza della conquista. I sassi, a cui viene attribuita nazionalità inglese (anglosassi), vengono manganellati, imbottiti a olio di ricino, li vengono chiuse le sezioni di partito, sono fatti prigionieri e bendati. Un autentico capolavoro di psicologia dell’essere umano e di come funziona il suo Ego, di come è in grado di proiettare fantasmi e mostri, soprattutto se nutrito via cavo da una cultura come la nostra, che sollecita fenomeni disgregativi nella comunità e soprattutto dentro ciascuno di noi.
Quindi va bene guardarci attraverso gli occhi dell’altro, a patto che questo sguardo sia pienamente puro, disincantato, accogliente, teso a produrre un terreno il cui lo spazio dell’immaginario possa essere concepita come una distesa su cui coltivare vita e verità, anche nella prospettiva dell’essere insieme.

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